IGNAZIO di Loiola, santo
Fondatore della Compagnia di Gesù, nato probabilmente nel 1491 riel castello o nella casa solar. de Loyola nel centro della Guipúzcoa. Ultimo dei tredici figli di don Beltrame Yáñez de Oñaz y Loyola e di donna Marina Sáeuz de Licona, ebbe il nome di Inigo, che verso il 1538 mutò stabilmente in quello di Ignazio.
Oriundo di una stirpe di soldati, del soldato spagnolo degli albori del Cinquecento ebbe tutte le luci e le ombre. Paggio dapprima presso il Contador mayor, o supremo cassiere della Castiglia, don Juan Velázquez de Cuellar, entrato nella gioventù fu milite mesnadero di una compagnia militare del viceré di Navarra, don Antonio Manrique, nella quale, raggiunto il grado di capitano, mostrò doti di fine diplomatico accoppiate con quelle di combattente inaccessibile alla paura. Occupata Pamplona dalle genti di Francesco I, persuade alla resistenza gli scarsi e stremati difensori ritirati nella cittadella e già risoluti di arrendersi. Venuto il nemico all'assalto (21 maggio 1521), una palla di bombarda gli spezza la gamba destra e lo ferisce nella sinistra. Caduto Inigo, cade con lui la fortezza, e i Francesi, a onorarne il valore, lo mandano a curarsi nel paterno castello di Loiola. Seguono parecchie tormentose operazioni chirurgiche che mettono l'infermo in pericolo di morte, felicemente scampato, come egli credette, per grazia dell'apostolo San Pietro (29 giugno).
Durante la lunga convalescenza, nella quale Ignazio, con la mente libera, era pur sempre costretto a giacere, i libri della Vita di Cristo di Ludolfo di Sassonia e la Leggenda Aurea di fra Iacopo da Varazze, presi a leggere malvolentieri e sol per non aver potuto ottenere i richiesti romanzi di cavalleria, gli suscitarono presto nell'animo ben altri pensieri e ben altre idee che quelle un tempo vagheggiate, quando, come scrisse il Polanco suo segretario, "viveva abbastanza libero in cose di donne e di giuoco, e in sostenere con le armi il punto d'onore".
Di qui ebbe origine tutta un'interna lotta; quindi la prima scintilla d'amore a Gesù Cristo, poi la brama di recarsi a Gerusalemme a convertire gl'infedeli, infine il proposito d'una vita di grande austerità, non tanto per soddisfare i peccati commessi, quanto per dare gloria al Signore vilipeso nella prima giovinezza.
A mezzo il febbraio 1522, rimessosi in forze, cavalcando una mula esce dalla casa paterna e inizia il tirocinio, in cui, senza avvedersene, va gradatamente formandosi fondatore e capo di una spirituale milizia, devota per la vita e per la morte alla maggior gloria del duce dal quale si noma. Il primo passo lo muove con l'imitare i simbolici riti, con cui la cavalleria medievale consacrava i nuovi cavalieri. Recatosi al santuario di Montserrat in Catalogna, si confessa; indi al terzo giorno, rivestito un ruvido saio di pellegrino e appese spada e daga al cancello della cappella, trascorre l'interrotte dal 24 al 25 marzo vegliando e pregando presso l'altare della Vergine; intendendo di consacrarsi, con questa singolare veglia dell'armi, cavaliere di Gesù alla presenza di Maria, la celeste dama del cuore, che ha preso il luogo della dama terrena, oggetto dei giovanili suoi sogni. Discende quindi a Manresa, con animo di fermarvisi pochi giorni, finché non spunti il momento opportuno per trasferirsi a Barcellona e di là navigare ai Luoghi Santi. Ma circostauze al tutto impreviste ve lo trattengono più di dieci mesi, passati fra le maggiori austerità dei romiti: Manresa gli diventa la patria spirituale, il primo noviziato dove si fonda egli stesso nelle vie della perfezione cristiana e si rivela, con gli Esercizî spirituali (v.), colà composti nelle sostanziali lor parti, insigne maestro di ascetica.
Al principio del 1523 va a Barcellona, donde il 20 marzo salpa per l'Italia approdando a Gaeta il 13 o 14 aprile. Di là sempre a piedi, e sostentandosi d'elemosina, si reca a Roma per impetrare da Adriano VI la licenza del passaggio a Terrasanta; ottenutala, prosegue alla stessa maniera verso Venezia e da quel porto salpa per Gerusalemme, dove entra il 4 settembre 1523. Vietatogli il soggiorno in Palestina, nella lotta dei pensieri a che dovrà appigliarsi in futuro, gli apparisce chiara la necessità dello studio per giovare alle anime. Eccolo quindi, più che trentenne, in una scuola di Barcellona ad apprendere il latino; ivi rimane sino al marzo o all'aprile 1526, quando passa in Alcalá de Henares, e dà mano simultaneamente alla dialettica, alla fisica e alla teologia, non omettendo d'insegnare il catechismo ai fanciulli, di coltivare nella pietà alcuni giovani dell'ateneo e di comunicare con altri gli esercizî spirituali. Presto viene in sospetto d'illuminato; gli si vieta di andare scalzo e di far conventicole ascetiche; poi, tra il 19 e 21 aprile 1524, lo gettano in carcere, donde esce il 1° giugno con precetto di vestire in tutto alla maniera comune dei chierici o dei laici, e di astenersi da ogni insegnamento pubblico e privato di materie religiose, finché non abbia compiuto il corso teologico. Allora va a Salamanca, e qui, rinati subito i sospetti d'Alcalá, è posto in ferri; quando poi, dopo una ventina di giorni, lo ritrovano immune d' eresia, viene rimandato libero con una stretta ingiunzione di desistere non già da ogni discorso di spirito, ma da quelli soltanto nei quali entrava a dare la distinzione tra peccato mortale e veniale.
Impeditogli così di giovare al prossimo con la parola, emigra a Parigi, nella più celebre università d'Europa (2 febbraio 1528). E innanzi tutto corregge due errori commessi nella Spagna; cioè la mancanza del debito ordine negli studî, e la soverchia effusione nelle opere esteriori di zelo. E quanto alla prima si rifà dalle lettere latine, studiandole un anno e mezzo (febbraio 1528-agosto 1529) nel collegio di Montacuto; quindi passa alla filosofia in quello di S. Barbara, e compiutala con divenirne maestro, incomincia nel 1533 la teologia, il cui corso quadriennale gli è forza interrompere nel marzo 1535 per ritornare in patria a sperimentarvi, come ultimo rimedio alla sanità perduta, il beneficio dell'aria nativa. Ma quanto al secondo errore, se da principio, aiutato dall'ignoranza della lingua del paese, pose quasi interamente da parte l'apostolato, non appena fu a S. Barbara vi si diede di nuovo, in mezzo alla scolaresca parigina, varia di nazioni, d'ingegni, di costumi. Caduto anche questa volta in sospetto, si rinnovarono le delazioni e le inchieste dell'Inquisitore, col solo effetto però di metterne in mostra la purezza della dottrina e della vita. Ma quei cinque anni (1529-1534) rimasero memorandi per lui, segnati come furono dalle spirituali conquiste, che tanto poi poterono nel decidere le sorti della restante sua vita. Poiché, datosi a conversare con gli studenti, con sei di essi specialmente strinse amicizia, e furono Pietro Fabro, Francesco Saverio, Giacomo Lainez, Alfonso Salmerone, Simone Rodriguez, Niccolò Bobadilla, infiammandoli nello stesso tempo d'un vivo desiderio di non cercare altro che il maggior servizio di Dio.
Il 15 agosto 1534 li ebbe compagni al Monte dei Martiri per emettere tutti insieme voto di povertà, di castità e di peregrinare a Gerusalemme per ivi consacrarsi alla salute degl'infedeli: fatto capitalissimo nella vita del futuro fondatore della Compagnia di Gesù (v.), come quello dal quale, divenuto poi impossibile il pellegrinaggio, doveva scaturire, o certamente maturare, l'idea di conservare la piccola comitiva degli studenti parigini, trasformandola in famiglia religiosa. Il seguente triennio fu da I. trascorso parte in Parigi, parte in patria (aprile-ottobre 1535), parte infine nel Veneto. Giunto a Venezia allo spirare del 1536, attese privatamente alla teologia, procurando frattanto di accostare ecclesiastici e laici di conto per indurli agli esercizî spirituali e a vita di perfezione.
I compagni rimasti in Francia non tardarono a raggiungerlo a Venezia (8 gennaio 1537), donde proseguirono il viaggio per Roma a fine d'impetrare da Paolo III il passaggio a Gerusalemme e la promozione agli ordini sacri. Ottenuta l'una e l'altra cosa, il 25 giugno Ignazio si ordinava sacerdote; e poiché non intendeva celebrare la prima Messa senza premettervi un anno e più di preparazione, come di fatto fece, se ne uscì alla campagna presso Vicenza, ritirandosi in un convento abbandonato. Il 1537 volgeva al termine; la speranza del pellegrinaggio, dichiarata la guerra tra la Serenissima e il Turco, era fallita; non rimaneva quindi che compiere l'altra parte del voto, offrirsi cioè al vicario di Cristo perché con i suoi l'adoperasse come e dove più gli fosse piaciuto.
Distribuiti pertanto i compagni in Padova, Bologna e Siena, sedi di università, e per ciò opportune a farvi proseliti, egli col Fabro e il Lainez s'avvia a Roma e vi entra da porta Flaminia alla fine di novembre. (Per la maniera onde la comitiva dei maestri parigini si trasformò in questo tempo in ordine religioso v. compagnia di gesù). Il 19 aprile 1541 il voto unanime dei compagni eleggeva il Loiola, invano riluttante, a primo preposito del nuovo istituto.
Così entrava nell'ultimo stadio di sua vita, nel quale la storia di lui si distingue appena da quella della Compagnia di Gesù.
Nel principio, allorché il suo lavoro di preposito generale si riduceva quasi a inviare i pochi compagni in varie regioni del mondo, lo troviamo attivissimo in opere di bene religioso e sociale per l'Urbe. Mediante il suo zelo sorgono in Roma la casa dei Catecumeni a S. Giovanni al Mercatello, quella di S. Marta per le cortigiane ravvedute, l'altra per le vergini miserabili a S. Caterina dei Funari, nell'antico Circo Flaminio. Per lui si ravviva l'orfanotrofio a S. Maria in Aquiro per i piccoli derelitti vaganti a frotte nella città, e si forma un'associazione di gentiluomini segreti limosinieri dei poveri vergognosi. Dopo lunghe e delicate pratiche ottiene che sia rimessa in vigore la decretale di Innocenzo III Cum infirmitas, per provvedere in tempo, col sacramento di penitenza, alla salute eterna degl'infermi, e che venga istituito il tribunale dell'Inquisizione o del S. Uffizio Romano. Piantate su salda base queste opere, appartenenti al primo periodo del suo generalato, le affida ad altre mani e si volge a due imprese di maggiore portata, quali la fondazione del Collegio Romano e del Germanico. Col primo, allato alle imperfette scuole a pagamento dei maestri rionali dell'Urbe, apre le scuole gratuite di "grammatica", "umanità" e "dottrina cristiana", accessibili tanto ai figli del patrizio, quanto a quelli del mercante o del povero artigiano. Col secondo poi prepara ai paesi settentrionali una schiera di sacerdoti di stirpe germanica, esperti nella lingua del paese, i quali, formatisi allo spirito romano, tornino in patria a contrastare il campo ai protestanti e a riacquistare il terreno perduto. Nello stesso tempo si dedica attivamente all'ufficio di capo della sua Compagnia. La storia degli antichi ordini religiosi non conosce governo più centrale e personale di quello di I. La maggior parte dei candidati, specie se adulti, erano chiamati a formarsi per alcun tempo sotto il suo magistero a S. Maria della Strada. Ai religiosi lontani, già da lui conosciuti e provati, fossero in missione o al governo di qualche casa o collegio, continuava il santo a essere loro presente, dirigendoli, ammonendoli, rinfrancandoli con paterne, frequentissime lettere: lo attestano i dodici volumi del suo non completo carteggio, contenente in gran parte non più che un brevissimo sunto delle missive. Alla cura di questo continuo commercio epistolare univa l'altra di dare un codice di leggi all'ordine nascente. Le Constituciones con las Declaraciones da lui dettate tra il 1547 e il 1550 rivelano, con gli Exercicios espirituales para vencer á sīmismo, l'eccellenza del suo intelletto, acutamente pratico, mirabile soprattutto nella scelta e coordinazione dei mezzi per raggiungere il fine che gli era rifulso alla mente dapprima negli ozî della convalescenza in Loiola, e che con gli anni s'era poi ingigantito sin quasi a divenire vita della sua vita: la glorificazione di Dio da parte dalle creature.
È opinione comune di coloro che vollero studiare sulle fonti di primissima mano la figura del Loiola ch'egli senza volerlo, e sol portatovi dalla necessità dell'argomento, nel capo II della IX parte delle Costituzioni desse la più fedele descrizione di sé medesimo. In quelle pagine nelle quali numera le doti che si convengono al preposito generale della Compagnia, si ha la numerazione di quelle virtù che tanta autorità gli conciliavano in Roma, dai papi ai più semplici popolani. Erano esse una profonda umiltà cristiana nutrita da intima unione con Dio nell'orazione; piena e calma padronanza sulle sregolate passioni, sagace prudenza, intera dedizione a cose egregie per il servizio divino, non impedita né raffreddata da ostacoli e persecuzioni, superati gli uni, sopportate le altre con animo invitto; spirito infine ardente e sereno, che altra felicità non sa scorgere in terra se non militare, vincere, morire sotto il vessillo della croce di Cristo.
S. Ignazio morì in Roma il 31 luglio 1556. Paolo V lo dichiarò beato nel 1609; l'immediato suo successore Gregorio XV, il 12 marzo 1622, con F. Saverio, con Filippo Neri, con Isidoro di Madrid e Teresa di Gesù lo canonizzò fissandone l'annuale festività ai 31 di luglio.
Fonti: Per la vita del santo, dalla conversione alla fondazione della Compagnia si hanno in primo luogo: a) Acta p. Ignatii, dei quali Ludovico Gonzales de Cámara (sotto il cui nome vengono citati) non fu più che estensore e quasi amanuense, essendone vero autore lo stesso I. che a lui fece il racconto della sua vita. Un'edizione critica dei medesimi nel testo originale, castigliano e italiano, a cura degli editori di Monum. hist. Soc. Jesu, è in Mon. Ignatiana, s. 4ª, I, pp.1-96; b) le Lettere, dal 1524 al luglio 1556, raccolte e criticamente pubblicate nei ricordati Mon. Ignatiana, s. 1ª, I-XII; c) la Carta del Lainez, Bologna, 17 giugno 1547; d) L. Gonzales de Cámara, Memoriale; e) P. Ribadeneira, De actis P.N. Iqnatii con altre scritture del medesimo; f) i ricordi di personaggi che conobbero e trattarono il Loiola, tutti, op. cit., s. 4ª, I, pp. 441-627, g) le deposizioni dei testimonî nei processi di beatificazione, op. cit., II, pp. 597-925. Oltre a queste fonti, importanti sono i carteggi dei primi compagni ignaziani (S. Francesco Saverio. P. Fabro, G. Lainez, A. Salmerone, S. Rodríguez, C. Jaio, P. Broët, N. Bobadilla) pubblicati nei Mon. hist. Soc. Jesu. A questi si debbono aggiungere (benché pel solo vol. I) le Epistulae et Acta di S. Pietro Canisio edite da O. Braunsberger (1896-1922).
Bibl.: Tra le vite numerosissime vengono prime per ordine di tempo e valore critico le latine di P. Ribadeneira (1ª ed., Napoli 1572), di G. P. Maffei (Roma 1585), di N. Orlandini nell'Hist. Soc. Jesu, parte 1ª, edita dal Sacchini (Roma 1615) e il Commentarius praevius di J. Pien negli Acta Sanctorum, luglio VII, Anversa 1731. Tra quelle in italiano vanno innanzi a quelle di N. Nolarci (pseudonimo di Luigi Carnoli) Venezia 1687 e di A. F. Mariani (Bologna 1741) i cinque libri Della vita e dell'istituto di S. I. di L. di D. Bartoli (Roma 1650), da alcuni a torto avuti in conto di un quasi romanzo storico, anche se talora attraverso il fedele attingere dei monumenti storici appaia la mano del "terribile" ferrarese. Alla maniera del Bartoli s'avvicina quella di Fr. García, Vida, virtudes y milagros de S. Ignacio de Loyola, Madrid 1685, divulgatissima nella Spagna. Queste soltanto le principali nell'antica Compagnia. Risorto l'ordine gesuitico (1814) e ripresi gli studî storici secondo i progressi della critica sul diretto esame delle fonti, due buone vite diedero in Francia C. Clair (Parigi 1891) e L. Michel (Bruges 1893), traducendo liberamente con copiose aggiunte e illustrazioni, il Ribadeneira e il Bartoli. In Germania Ch. Genelli compose nel 1848 un Leben des hl. Ignatius von Lyola; poi notevolmente ampliato nella 3ª ed. da V. Kolb (Vienna 1920), lavoro assai pregevole per l'uso che l'autore vi fece degli scritti, specie delle lettere ignaziane; alla maniera del Genelli-Kolb molto si avvicina l'olandese W. Wan Nieuwenhoff, Leven van den H. Ignatius van Loyola, Amsterdam 1891-1892. Nei tempi moderni una copiosa e critica biografia ignaziana è quella di A. Astrain, nella sua Historia de la Compañía de Jesús en la Asistencia de España, 2ª ed., Madrid 1913; con l'altra di P. Tacchi Venturi nella Storia della Comp. di Gesù in Italia, voll. 2 (Roma 1922), qui però si tratta solo il periodo dalla nascita alla fondazione della Compagnia. Piena di sana novità è l'opera postuma di A. Huonder, Ignatius von Loyola: Beiträge zu seinem Charakterbild, Colonia 1932. - Fuori della Compagnia, cui appartengono gli autori qui nominati, la biografia e le opere del Loiola furono trattati anche da autori protestanti, per i quali v. il ricco elenco bibliografico unito a Füllop Miller, Die Macht des Geheimnis der Jesuiten, Lipsia 1920 (trad. ital., Milano 1931). Speciale menzione nel campo degli studî ignaziani meritano tra i più moderni protestanti, per il lodevole sforzo di riuscire obiettivi, H. Stoeckius (Heidelberg 1913) e H. Böhmer, il quale ultimo, dopo avere pubblicato a Lipsia nel 1902 tradotti in tedesco gli Acta P. Ignatii del Gonzales de Cámera, diede in luce Studien zur Geschichte der Gesellschaft Jesu, Bonn 1914.