CUOMO, Ignazio
Di questo architetto, operoso a Napoli nel sec. XVIII, non si conoscono i dati anagrafici.
La sua notorietà è legata, quasi esclusivamente, alla realizzazione di una delle superstiti ville settecentesche della costa vesuviana, cioè quella di Giuseppe Maria Di Lecce a Portici, che rappresenta la sua opera più significativa per impegno di programma e per esecuzione. Ad eccezione dell'abbondante materiale documentario relativo alla suddetta dimora patrizia, infatti, le fonti bibliografiche non forniscono di lui che scarsissime notizie. Malgrado ciò e a dispetto dei severissimi giudizi espressi a suo riguardo da Luigi Vanvitelli, sembra legittimo presumere che sia stato professionista di ampi interessi e competenze.
Al 1744 risale la proposta del C. intesa a risolvere il difficile problema dell'approvvigionamento idrico dei siti reali di Capodimonte e di Portici; a tal fine suggerì, senza fortuna, di utilizzare l'acqua del Serino, restaurando l'acquedotto romano. Sempre in tema di opere idrauliche, circa un decennio più tardi, il C. tentò di far prevalere la propria idea sul modo migliore di recare l'acqua nella reggia di Caserta. Al riguardo esiste la sola testimonianza del Vanvitelli, consistente in due lettere del 9 apr. 1763 e del 12 maggio 1772 (Di Stefano, 1973, p. 242; Strazzullo, 1973).
Nella prima, diretta al fratello Urbano, infierisce sul temporaneo rivale, il cui progetto si sarebbe dimostrato assolutamente inconsistente, qualificandolo come ignorante e ciarlatano. Nella seconda racconta a Gennaro Pallante, commissario generale dell'Azienda gesuitica, il suddetto episodio, allo scopo di screditare la perizia redatta per la cupola della Trinità Maggiore di Napoli dal C., che definisce turbolento, ignorante e presuntuoso.
Di fronte all'ingerenza di un tecnico locale nei suoi rapporti con Carlo di Borbone, la reazione del Vanvitelli appare sproporzionata. Sta di fatto che, allo stesso modo di come si era regolato nei confronti di Mario Gioffredo (Fiengo, 1976), reo di essergli stato antagonista nell'ideazione della reggia casertana, non lasciò cadere le occasioni che gli si offrirono per vendicarsi del malcapitato proponente.
Almeno in due circostanze il C. ebbe modo di confrontarsi ancora, nell'ambito della capitale borbonica, col più quotato ed agguerrito collega. Ciò accadde, innanzi tutto, allorché si dové provvedere ad ovviare agli inconvenienti prodotti dalla cosiddetta lava dei Vergini.
Furono elaborate allora quattro soluzioni: la prima da Francesco Sciarretta, Martino Buonocore e Pietro Cimafonte, la seconda da Luca Arinello, la terza da Bartolomeo Vecchione e l'ultima, nel giugno del 1766, da Gennaro Papa, Gaetano de Tommaso e, appunto, dal C. (Di Stefano, 1973, p. 214). Ma la radioale opera di sistemazione fognaria e viaria fu progettata e realizzata, in quel medesimo anno, dal Vanvitelli.
L'altra opportunità di scontro si verificò, come si è detto, per il restauro della cupola della Trinità Maggiore; problema che interessò, tra il 1769 e il 1774, tutti i maggiori architetti della città e per il superamento del quale anche il C. esibì una perizia volontaria, accettata tardivamente dal re con dispaccio del 23 apr. 1772 (Ceci, 1921); ma essa fu respinta, dopo che il Vanvitelli la trovò irrilevante. Tuttavia, appaiono assai inopportune le ingiuriose espressioni rivolte da quest'ultimo all'indirizzo dell'estensore del parere, che era ormai defunto in data anteriore al 7 sett. 1770, giorno in cui la Camera della Sommaria riferiva al sovrano che Vincenzo Bisogno pretendeva la "piazza" di tecnico regio, vacante per la morte del Cuomo.
L'ufficio di ingegnere camerale straordinario fu espletato forse dal C. limitatamente all'ultimo decennio della sua vita. là lecito presumere, pertanto, che tale condizione di Privilegio gli procurò numerosi incarichi, di cui, però, quasi nulla è dato conoscere. Le sole circostanze note, infatti, concernono la relazione, da lui presentata il 4 maggio 1758 (Strazzullo, 1979) congiuntamente a Michelangelo Porzio, in merito alla definizione dell'ammontare del fitto di alcuni locali alla Riviera di Chiaia, sede della Regia Fabbrica di specchi e cristalli di Boemia, e la valutazione dei macchinari e dei materiali usati nella suddetta cristalleria, effettuata, nel dicembre 1761, insieme con il maestro Clemente del Moro (Strazzullo, 1979).
Allo stesso periodo è da riferire la sua attività, sotto la direzione di Antonio Joli, di costruttore delle macchine e di macchinista del più prestigioso teatro napoletano del tempo, il S. Carlo; mansione che richiedeva notevoli doti di ingegnosità e destrezza.
La maggior occasione, come architetto della libera professione, gliela fornì l'avvocato di Lucera, G. M. Di Lecce, con l'affidamento della progettazione e della direzione della sua dimora di Portici, oggi meglio conosciuta come collegio Landriani (Fiengo, 1979).
Nella villa, iniziata nel 1748, e praticamente terminata nel 1752, il C., pur rifacendosi ai correnti prototipi di spiccato gusto rococò, ricorse all'uso di un timido linguaggio ciassicistico, tentando cosi di affrancarsi da quel valori formali che sembravano ormai inadatti, dopo le scelte di Carlo di Borbone, alla nuova visione architettonico-urbanistica. Seppe conferire all'insieme. comunque, carattere di praticità, facendolo aderire felicemente alle locali condizioni di natura.
Contemporaneamente, il C. fu impegnato, a Napoli, nell'arredamento dell'appartamento del Di Lecce (1746), nella trasformazione della residenza di Gaetano De Roberto a Chiaia (1748), nella ristrutturazione di quella di Gennaro Corletti sempre a Chiaia (1751), nella realizzazione della masseria di Filippo Quattromani alla Salute (1753) e nella sistemazione della casa del Quattromani al Carminiello di Palazzo (1754; Fiengo, 1977). Da quest'ultimo anno, e per almeno un quinquennio, prestò la sua opera di progettista al servizio di Raimondo di Sangrò, principe di Sansevero, una delle più interessanti figure dell'illuminismo napoletano, curando l'esecuzione del laboratorio e della fonderia dei cristalli in un sotterraneo del palazzo patrizio, di piazza S. Domenico Maggiore e dirigendo il rinnovamento dell'annessa cappella di S. Maria della Pietà (Nappi, 1975).
Mori in data anteriore al 7 sett. 1770 (Strazzullo, 1969).
Bibl.: N. Del Pezzo, Siti reali: la Favorita, in Napoli nobiliss., s. 1, II (1892), p.. 166; G. Ceci, note a P. Napoli Signorelli, Gli artisti napol. della seconda metà dei sec. XVIII, ibid., s. 2, II (1921), p. 92; L. Santoro, Il palazzo reale di Portici, in Ville vesuviane del Settecento, Napoli 1959, p. 230; A. Venditti, L'architetto G. Astarita e la chiesa di S. Anna a Porta Capuana, II, in Napoli nobilissima, s. 3, I (1961), p. 177; F. Mancini, Appunti perunastoria d. scenografia napol. del Settecento. Il periodo della decadenza: 1762-1806, ibid., II (1962), p. 152; F. Strazzullo, Archit. e ingegneri napol. dal '500 al '700, Ercolano 1969, p. 359, Id., Autogrqfi vanvitelliani della Bibl. naz. di Napoli, in Restauro, num. speciale in occasione delle celebrazioni vanvitelliane, 1973, pp. 46 s.; R. Di Stefano, L. Vanvitelli ingegnere e restauratore, in L. Vanvitelli, Napoli 1973, pp. 214, 242; E. Nappi, La famiglia, il palazzo e la cappella dei principi di Sansevero, estr. dalla Riv. internaz. di storia della banca, 1975, n. 11, pp. 10r, 106, 122, 132; G. Fiengo, Gioffredo e Vanvitelli nei palazzi dei Casacalenda, Napoli 1976, p. 183; Id., Docum. per la storia d. architettura e dell'urbanistica napol. del Settecento, Napoli 1977, pp. 31 ss.; Id., L'architetto I. C. e la villa di Giuseppe Maria di Lecce a Portici, in Storia dell'arte, XI (1979), 35, pp. 59-76; F. Strazzullo, Le manifatture d'arte di Carlo di Borbone, Napoli 1979, pp. 226 s., 237.