CIAIA, Ignazio
Nacque a Fasano (in Terra di Bari, oggi provincia di Brindisi), il 27 giugno 1766, da Michele a da Camilla Bibiana Pepe.
Il padre discendeva da una antica famiglia toscana (quella dei Ciaja o Della Ciaja), trasferitasi in Puglia, agli inizi del Seicento, al seguito di amministratori spagnoli. La madre proveniva da famiglia di proprietari terrieri di varia e ricca tradizione culturale. Un fratello minore, Francesco Antonio, ebbe anch'egli parte negli avvenimenti della Repubblica napoletana, in quanto componente della legazione inviata dal governo provvisorio a Parigi presso il Direttorio, nel febbraio 1799; poté così scampare alla reazione, rientrare in patria durante il regno del Murat e vivere fino al 1849.
Dopo gli studi elementari compiuti in casa fino all'età di nove anni, nel 1775, secondo la tradizione delle famiglie benestanti dei tempo, entrò nel seminario di Monopoli, ma ne uscì nel 1780, dopo aver seguito gli studi di "grammatica" e mostrato insofferenza per quelli "teologici", che avrebbe dovuto affrontare negli anni successivi. Rientrato a Fasano, studiò retorica f. filosofia alla scuola del dotto padre antoniano, di ardente spirito liberale, V. Cofano, almeno fino al 1786, anno in cui si trasferì a Napoli per intraprendere gli studi di diritto sotto la guida del giurista F. P. Abrusci. Ma piuttosto che alle pandette la sua indole lo portava al culto della poesia e agli ideali libertari, coltivati in quel periodo dagli ambienti aristocratici e borghesi più illuminati. A vent'anni, nella capitale dei Regno, il giovane C. entrò in contatto con le correnti più vive della cultura illuministica e riformatrice firequentando i salotti aristocratici e i circoli letterari e politici.
Così si dà a scrivere poesie col nome arcadico di Aiace Telamonio (e dedica nel 1787 un'ode al suo primo amore, la cantante, già allora famosa, Celeste Coltellini), ma si interessa soprattutto alle lezioni del padre benedettino Emanuele Caputo (a cui dedicò, nel 1791, un componimento poetico in versi sciolti), insegnante di paleografia all'università, sotto la cui guida il C. si appassionò agli studi letterari e storico-filosofici, tralasciando del tutto i non congeniali studi giuridici (non risulta che conseguisse la laurea in legge).
Ottenne, invece, il posto di "soprannumerario" nella segreteria di Stato per le cose ecclesiastiche nel marzo del 1792. Tale anno segna una svolta decisiva nella sua attività di poeta e di uomo politico. Mentre, infatti, con gli sciolti in onore del Caputo abbandonava i moduli arcadici, operando un profondo rinnovamento della sua poetica, cominciò ad esercitare la sua azione nei circoli di intellettuali giacobini che si andavano formando a Napoli, sul tronco del riformismo illuminato, incoraggiati dalla fervida attività di Carlo Lauberg, dall'arrivo, nell'agosto, dell'ambásciàtore francese Mackau e, nel dicembre, della flotta francese al comando dell'ammiraglio Latouche-Tréville.
Decisivo fu l'incontro col Lauberg, un ex frate scolopio, originale figura di scienziato e uomo di azione, al quale il C. si sentì subito legato da fervida amicizia e da comunità di ideali. Attraverso un'Accademia di chimica, da lui fondata a Napoli nel 1792, il Lauberg aveva diffuso le idee giacobine fra studenti e giovani che ardevano di realizzare in Uglia i principt della Rivoluzione francese e ne discutevano i testi e i fondamenù ideologici. All'Accademia subentrò la Società patriottica, nata sul tronco dell'antica massoneria, nella quale sia il Lauberg sia il C. ebbero un posto di primo piano, destando i sospetti della corte borbonica, che appunto per reprimere ogni forma di cospirazione, su istigazione di Maria Carolina, divenuta più intollerante e spietata dopo il regicidio di Parigi, nominò una giunta di Stato per la ricerca e la punizione dei sospetti. Il C. sfuggì, non si sa bene come, alla prima repressione che si concluse nel 1794, benché fosse coinvolto nell'Eiccusa di aver collaborato coi Lauberg alla traduzione italiana della Dichiarazione dei diritti e di aver partecipato alle cospirazioni che portarono all'arresto di numerosi patrioti e all'impiccagione, il 3 ott. 1794, di tre giovani, Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani; mentre il Lauberg si metteva in salvo con la fuga, per proseguire la sua opera in Francia e rientrare a Napoli nel 1799 al seguito delle truppe francesi. All'esule il C. dedicò una elaborata ode, alla quale si aggiunse l'anno successivo una canzone "alla Francia", in cui si ribadivano gli ideali repubblicani e l'attesa messianica dell'intervento francese. composta poco prima dell'arresto del C. e del suo internamento nel carcere di Castel Sant'Elmo.
Dopo i processi del 1794 e la partenza del Lauberg, capo riconosciuto dei giacobini napoletani, i più compromessi fra i patrioti lasciarono Napoli e si rifugiarono nei loro luoghi di origine: il C. riparò a Fasano, mentre a Napoli il primo ministro Acton assumeva personalmente la direzione delle indagini che portarono all'arresto, fra gli altri, anche del C., avvenuto il 26 luglio 1795, forse su denuncia di un tal Filippo Carelli di Conversano, come risulta da una nota apposta sul manoscritto dell'ode all'amico fasanese Vincenzo Notarangelo, oppure di un cognato, il Colucci-Latilla, appartenente alla famiglia intorno a cui si raccoglievano i borbonici di Fasano, o di una torbida figura di prete, tal Pier Nicola Patarini di Gioia del Colle, come credettero i suoi primi biografi, il Del Re, il D'Ayala e il Pepe, sulla scorta di non sempre attendibili cronache locali. Più certo appare il movente occasionale dell'arresto riportato dal D'Ayala nel suo profilo di Ettore Carafa, vale a dire il ritrovamento in casa del C. di una lettera del Carafa inviatagli da Parigi.
Dei tre anni trascorsi in carcere abbiamo scarse testimonianze, rappresentate principalmente dalle ultime poesie, le più malinconiche e sconsolate, e da due lettere ai genitori. Ma tuttavia, in una pur così scarna documentazione letteraria, emerge, oltre alla matura raffinatezza dei mezzi espressivi nelle poesie, una ardentissima e intrepida fede nei valori della libertà, di cui la Francia sembrava in quel momento depositaria e garante presso i popoli oppressi, fede che appare sempre accompagnata dalla ferma consapevolezza storica della, necessità della rivoluzione e della fine certa di ingiustizie e disuguaglianze.
La liberazione del C. avvenne il 25 luglio 1798 per effetto di "rescritto sovrano" e al termine di un lungo precesso, sollecitato dall'opinione pubblica e anche delle mutate relazioni della cone borbonica con la Francia. Tra i "rei di Stato" degli anni 1794-95, oltre al C., furono dimessi dalle carceri ventotto "giacobini": gli altri lo saranno all'arrivo delle truppe francesi l'anno successivo. Il C., privato dell'ufficio statale da lui ricoperto, ritornò a Fasano, ma nel settembre dello stesso anno, a seguito di una perquisizione nella sua casa di Napoli, fu di nuovo arrestato e relegato a Bisceglie. Frattanto, dopo l'infelice intervento di Ferdinando IV nella coalizione antifrancese e la marcia nello Stato pontificio, seguita dalla precipitosa ritirata dell'esercito borbonico al comando del generale Mack, i Francesi entrarono in Napoli il 23 genn. 1799 con alla testa il generale Championnet, che proclamò subito la Repubblica e chiamò il C. a far parte del governo provvisorio costituito da 25 membri e presieduto dal Lauberg. L'arrivo a Napoli del C. sarà segnalato dal Monitore napoletano (n. 5) del 16 febbraio: evidentemente il C., liberato a Bisceglie, volle recarsi a Fasano per riabbracciare i suoi prima di partire per Napoli; pochi giorni dopo, il 19 febbraio, succede al Lauberg come presidente. Come membro del governo provvisorio era stato assegnato al Comitato centrale (uno dei sei comitati in cui si divideva la municipalità). La sua presidenza durò fino al 23 marzo; passò quindi a far parte della Commissione esecutiva di cinque membri, insediata a Castel Nuovo per la difesa della città che, dopo la partenza dei Francesi l'11 giugno, era assediata da truppe borboniche e dai "lazzari" scatenati dal cardinale Ruffo. Il 19 giugno, ottenuta promessa di libertà a seguito delle trattative condotte dal cardinale Ruffo, avvenne la capitolazione. I patrioti, e Era essi il C., si imbarcarono sulle navi da trasporto della flotta inglese per essere espatriati in Francia; ma poi il Nelson, su, pressioni della corte napoletana, non mantenne i patti, per cui nei giorni successivi il C., insieme con gli altri, fu fatto sbarcare e poi rinchiuso iá Castel Nuovo. La giunta di Stato, messa subito in moto, procedette rapidamente a processare gli arrestati come "rei di Stato".
Il 30 settembre il C. comparve davanti a V. Speciale, consigliere della giunta di Stato, per essere interrogato, nel carcere di Castel Sant'Elino, dove era stato trasferito insieme con il Pagano e con il Cirillo, per l'interrogatorio. La sentenza si ebbe il 6 ottobre, la condanna a morte fu subito ratificata dal re, che si trovava di nuovo a Palermo, il 26 ottobre e l'esecuzione fissata per il 29 dello stesso mese. Il C. ebbe ancora una volta a compagni Mario Pagano e Domenico Cirillo, ai quali si aggiunse nelle ultime ore Giorgio Pigliacelli, impiegato governativo. L'esecuzione, per impiccagione, avvenne nel Castello del Carmine. Il Conforti ci ha conservato il documento relativo all'incarico alla Compagnia dei bianchi di assistere i condannati e la nota delle spese per l'esecuzione. Furono seppelliti nella chiesa del Carmine Maggiore; ma la loro tomba non è stata più ritrovata.
Il C. è il tipico rappresentante di quella classe colta, di provenienza aristocratica o borghese, che si illuse di poter realizzare, dopo l'89 francese, quel passaggio dal riformismo illuministico alla istituzione di liberi ordinamenti repubblicani, che avrebbe dovuto costituire lo scopo finale della rivoluzione napoletana del 1799, Nel quadro drammatico e contraddittorio di un esperimento repubblicano limitato alla sola capitale, mentre le province erano devastate dall'anarchia, la figura del C. ("una delle più belle anime e uno dei più squisiti ingegni di quella generazione" è il giudizio del Croce), con la coraggiosa affermazione dei valori della libertà che ispirarono le sue poesie e la sua azione rivoluzionaria. si colloca con forte rilievo in quel generoso tentativo, che non diede risultati concreti, ma valse a creare una tradizione di patriottismo liberale nel Mezzogiorno d'Italia.
Del C. ci resta un manipolo di poesie, in tutto dieci, pubblicate dal Del Re (1851), dal Pepe (1899) ed, infine, con l'aggiunta dell'epitalamio A Maggio, edito recentemente (1964) dal Giannantonio, dalla Semeraro Herrmann (1976) nelle rispettive monografie. Restano, inoltre, quattro lettere: due, in unico foglio datato 13 genn. 1798 e indirizzate dal carcere alla madre e al padre, pubblicate dallo Spinaz ola; altre due, al fratello Francesco Antonio, inviato a Parigi con la delegazione della Repubblica napoletana presso il Direttorio, del 6 marzo e dell'8 apr. 1799, pubblicate dal Croce. Ma non è azzardato ritenere che parecchio debba essere andato perduto tra rivoluzione e reazione.
Fonti e Bibl.: Sulla partecipaz. del C. agli avvenimenti del 1799 a Napoli, oltre alle ben note opere del Cuoco f. dei Colletta, vedi D. Marinelli, Igiornali..., a cura di A. Fiordalisi, Napoli 1901, pp. 450 ss.; C. De Nicola, Diario napol., a c. di P. Ricci, Milano 1963, ad Ind.; G. Fortunato, INapoletani del 1799, Firenze 1884, pp. 138 ss. (poi in Scritti vari, Trani 1900, pp. 256 ss.); L. Conforti, Napoli nel 1799, Napoli 1889, pp. 86 ss.; V. Spinazzola, Ricordi e docc. ined. della rivoluzione napol. del 1799, in Napoli nobilissima, VIII(1889), pp. 125 ss.; B. Croce-G. Ceci-M. D'Ayala-S. Di Giacomo, La rivoluzione napol. del 1799..., Napoli 1899, pp. 36 ss.; B. Croce, La rivoluz. napoletana del 1799, Bari 1912, ad Indicem;N. Nicolini, Le origini del giacobinismo napol., in Riv. stor. ital. IV(1939), pp. 3-41; C. Salvati, La repubblica napol. del 1799negli atti originali del suo governo, Napoli 1967, pp. 18 ss.; R. Moscati, Dalla Reggenza alla Repubblica Partenopea, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, pp. 721-789, Sul C. in particolare: G. Del Re, I. C. poeta, in Pantheon dei martiri della libertà ital., I, Torino 1851, pp. 117 ss. (ripubblicato col titolo I. C. e le sue poesie, Napoli I 860; incluso nella monografia di L. Pepe, citata più avanti, alle pp. 7-24, col titolo I. C.);M. D'Ayala, I. C., in Vite degli Italiani benemeriti della libertàedella patria, uccisi dal carnefice, Torino 1883, pp. 160 ss.; L. Pepe, I. C. martire del 1799elesue poesie, Trani 1899; G. De Ninno, I. C., in I martiri e i perseguitati polit. di Terra di Barinel 1799, Bari 1915, pp. 130 ss.; B. Croce, Diun poeta giacobino: I. C., in Quaderni della critica, II (1946), pp. 26-38 (poi in La letter. ital. del Settecento, Bari 1949, pp. 226-251); G. Magli, I. C. ela legislazione monetale della Repubblica napoletana, in Arch. stor. pugliese, XVII(1964), pp. 81-94; P. Giannantonio, L C. ed un suo inedito epitalamio, in Filologia e letter., X(1964), 37, pp. 45-90; Id., I. C. primo poeta martire delMezzogiorno e dell'Italia moderna, in Rass. pugliese, I(1966), 9, pp. 1-13; P. Sorrenti, I. C., Bari 1966; M. Sansone, I. C. poeta civile, in Terra di Bari all'aurora del Risorgimento (1794-1799), Atti del I Convegno di studi sulla Puglianell'età risorgimentale. Bari 1970, pp. 81-118; M. Semeraro Herrmann, I. C. Impegno civileeopera poetica, Fasano 1976.