BUSCA, Ignazio
Nato a Milano il 31 ag. 1731 dal marchese Ludovico e da Bianca Arconati, si laureò inutroque iure a Roma il 26 apr. 1759. Iniziò quindi la carriera prelatizia come governatore di Rieti dal 1761 al 1764 e di Fabriano dal 1764 al 1766. Rientrato a Roma, fu nominato nel 1767 prelato domestico di Sua Santità e divenne ponente della Sagra Consulta, dando ottima prova delle sue capacità: in questo periodo fu anche referendario delle due Segnature. Designato alla nunziatura di Fiandra, prese gli ordini sacri il 20 ag. 1775; l'11 settembre fu nominato arcivescovo di Emesa e assistente al soglio pontificio e il 3 settembre nunzio apostolico a Bruxelles.
Il decennio trascorso dal B. nei Paesi Bassi austriaci fu caratterizzato dal pieno sviluppo delle riforme giuseppine in campo ecclesiastico: prodromo di queste fu l'estensione, con editto imperiale del 1781, della giurisdizione della nunziatura di Bruxelles ai ducati di Limburgo e Lussemburgo, già soggetti al nunzio di Colonia. Il B. non fece forti opposizioni, seguendo anche le istruzioni della Curia; ma in effetti Giuseppe II, oltre ad affermare con tale atto la sua autorità circa sacra, otteneva il concreto obiettivo di far coincidere frontiere politiche e frontiere religiose con la mira di sottrarre alla giurisdizione di vescovi e superiori stranieri tanto il clero secolare quanto quello regolare; e il fatto che ciò avvenisse al di fuori di ogni intesa con la nunziatura, mostrava la chiara volontà di privarla gradatamente di ogni autorità. Pochi mesi dopo, infatti, il 17 marzo 1783, un altro decreto imperiale imponeva la soppressione di numerosi conventi, ritenuti inutili, continuando quella riforma ecclesiastica che culminerà nella creazione del seminario generale di Lovanio. Mentre a Vienna il nunzio Garampi era portavoce della protesta della S. Sede, duramente respinta dal ministro Kaunitz, il B. si limitò a tenere informata Roma e a mantenere a Bruxelles un sostanziale riserbo, fino al termine della sua missione.
Come vicesuperiore delle missioni di Olanda, il B. esercitò giurisdizione anche sulle cinque diocesi olandesi. Molto attento nel rilevare gli abusi disciplinari e rituali nelle tre visite compiute negli anni 1778, 1780 e 1783, mostrò invece scarsa sensibilità per le controversie religiose che agitavano il territorio della missione, sottovalutando - forse a ragione, da un punto di vista politico - l'importanza della giansenista Chiesa scismatica di Utrecht e mostrandosi pago della minore penetrazione in Olanda della filosofia dei lumi a confronto con il Belgio e con altre regioni d'Europa.
Nominato governatore di Roma il 1º marzo 1785, il B. riprese il ruolo, a lui più congeniale, di esperto dell'amministrazione interna dello Stato pontificio. Dopo aver tentato invano di realizzare alcune modeste riforme, ostacolato più dal rigido immobilismo delle strutture statali che dalla "mediocrité de son esprit" imputatagli dal malevolo Bourgoing (Mémoires historiques et philosophiques sur Pie VI et son pontificat,jusqu'à sa mort, Paris 1800, II, pp. 277 s.), preferì mettersi in vista come "homme sensuel" e "facétieux" nella vita mondana, specialmente nel salotto della principessa di Santa Croce, ove strinse utili relazioni con i diplomatici stranieri e in particolare con il ministro spagnolo Azara. Né è da escludere che anche questi meriti contribuissero a fargli ottenere il 30 marzo 1789 il cappello cardinalizio con il titolo di S. Maria della Pace. Nominato prefetto della Disciplina regolare, il B. divenne poi membro di varie congregazioni: Propaganda, Vescovi e Regolari, Consulta, Concistoriale, Acque.
Il 9 ag. 1796 il B. era chiamato da Pio VI a succedere nella carica di segretario di Stato al cardinale de Zelada, dimessosi ufficialmente per l'età avanzata e per motivi di salute.
In realtà il mutamento era dovuto alla necessità di sostituire il responsabile della politica estera pontificia nel momento in cui si allentavano i legami fra la S. Sede e la Spagna - in conseguenza dell'infruttuosa mediazione da questa svolta durante le trattative di pace di Parigi tra lo Stato pontificio e la Francia - e si tentava una stretta intesa con l'Austria (non si dimentichi che il B. apparteneva ad una delle più ragguardevoli famiglie della Lombardia austriaca), considerata unica potenza in grado di rovesciare ancora la situazione militare nell'Italia settentrionale. Tale scelta aveva anche il pregio di non essere sgradita alla Spagna per gli stretti rapporti d'amicizia che legavano il B. all'Azara (il quale, anzi, secondo il Gendry, avrebbe ispirato al papa tale nomina).
Il B., appena eletto, intavolò nuove trattative di pace con i Francesi a Firenze, ricorrendo ancora alla mediazione dell'Azara (settembre 1796). Le Istruzioni affidate al plenipotenziario pontificio L. Caleppi riflettono una piena sfiducia nella disponibilità dei Francesi al negoziato e suggeriscono la volontà di esprimere una posizione di dignitosa intransigenza prima della definitiva rottura e della temuta aggressione, ritenute ormai inevitabili. Nella drammatica congregazione cardinalizia del 13 sett. 1796, il B. non fu comunque tra i fautori di un immediato rifiuto dei negoziati, che riteneva almeno utili per guadagnare tempo, nella speranza di un aiuto da parte del Regno di Napoli o dell'Austria; ma della sua scarsa fiducia in un accordo con i Francesi era chiara testimonianza il rifiuto da lui opposto a continuare la gravosa esecuzione dell'armistizio di Bologna.
Fallita nell'autunno un'intesa con il governo napoletano, scartata l'idea di una missione speciale a Madrid per chiedere la protezione della Spagna, un ultimo tentativo fu fatto dal B. per ottenere una alleanza con l'imperatore: a questo scopo nell'ottobre 1796 era stato inviato a Vienna monsignor Giuseppe Albani. L'azione del B. però, già limitata dagli interventi personali di Pio VI e dai discordanti pareri dei membri del Sacro Collegio, fu in questi mesi decisivi troppo inconcludente, incerta e oscillante; né egli seppe valutare la concreta situazione militare e gli interessi politici dei governi a cui chiedeva aiuto, specialmente di quello austriaco che prima pretese compensi territoriali ai danni dello Stato pontificio, poi - dopo i rovesci militari del novembre - avrebbe desiderato soltanto che il papa si facesse banditore di una crociata controrivoluzionaria. Anche su quest'ultimo punto, che nel dicembre trovava l'adesione del Sacro Collegio, il B. preferì seguire la solita tattica temporeggiatrice, cosicché quando il Bonaparte, venuto a conoscenza delle trattative austro-pontificie, ritenne infranto l'armistizio e invase lo Stato, Roma si trovò senza alcuna alleanza militare. Nella circostanza il B., contro il parere della maggioranza tanto all'interno della Congregazione di Stato quanto del Sacro Collegio favorevole ad una lotta ad oltranza, si pronunciò per una ripresa dei negoziati, appoggiato dal consenso di Pio VI. Ma anche in questa occasione egli si lasciò dominare dagli avvenimenti, che sfociarono nel trattato di Tolentino (19 febbr. 1797) voluto e imposto dal Bonaparte. Le clausole erano certamente pesanti dal punto di vista territoriale (lo Stato pontificio cedeva le legazioni di Ferrara, Bologna e Romagna e rinunciava ad ogni diritto su Avignone e il Contado Venassino), economico (pagamento di 30 milioni di lire tornesi) e politico; ma non pregiudicavano in alcun modo la situazione religiosa. La soddisfazione che il B. manifestava al riguardo (egli scriveva il 25 febbraio all'Albani: "Le condizioni sono dure, ma restando intatta la cattolica religione tutto si può soffrire in riflesso di questo vero, unico ed essenziale vantaggio": vedi Pásztor, p. 356) non era però coerente con la sua azione precedente, che si era svolta in sostanziale contrasto con i gruppi più intransigenti nel sostenere le prerogative della Chiesa nel campo spirituale. In realtà il B. compiva un ultimo vano tentativo per salvare le cadenti strutture di uno Stato in sfacelo, facendone ricadere. Ponere sulle popolazioni costrette a sopportare le spoliazioni del proprio governo per pagare le contribuzioni ai Francesi; cosicché il trattato e il B., che ne era ritenuto il responsabile, vennero aspramente criticati proprio dagli "zelanti" che vedevano ricadere altro discredito sul governo della Chiesa. A queste critiche, che rasentavano l'accusa di tradimento, si aggiunse con tutto il suo peso politico la protesta dell'Azara, che imputava al vecchio amico la colpa d'aver compromesso la regina di Spagna in lettere divenute pubbliche (in effetti il B. durante le trattative aveva espresso dei dubbi sulla lealtà della mediazione della Spagna, che avrebbe avuto come obiettivo il conseguimento di vantaggi territoriali per il duca di Parma, fratello della regina, ai danni dello Stato pontificio). In seguito a quest'episodio fu il B. stesso a offrire il 9 marzo le proprie dimissioni, che respinte da Pio VI furono rinnovate il 15 ed accettate il 18 marzo. Era d'altronde logico che l'accanito sostenitore di un'alleanza con l'Austria fosse sostituito con un uomo più gradito alla Francia, come il cardinale Giuseppe Doria.
Nel 1798, formata la Repubblica romana, il B. trovò rifugio nel Regno di Napoli, rimanendo a Palermo fino alla convocazione del conclave di Venezia, in cui non ebbe una parte di rilievo. Rientrato a Roma, fece parte della congregazione incaricata di elaborare il Piano per il ristabilimento del governo pontificio. Con la riorganizzazione dello Stato il B., oltre a far parte delle congregazioni di Propaganda, Vescovi e Regolari, Concistoriale, Consulta, Loreto, Acque, S. Uffizio, Concilio, fu chiamato a reggere il Buon Governo (2 dic. 1800).
Questa congregazione, oltre alla secolare funzione di tutela sulle comunità (controllo degli atti amministrativi e giudiziari, specialmente di quelli che avevano riflessi finanziari, come i bilanci, i rendiconti e gli "stati" economici dei comuni), assumeva allora ulteriori compiti. Anzitutto venivano accresciute le sue competenze con la bolla Post diuturnas del 30 ott. 1800, che le attribuiva anche l'Amministrazione delle strade, con il duplice compito della ripartizione ed esazione delle imposte relative e dell'organizzazione dei lavori di restauro e manutenzione delle strade nazionali. Con editto del 1º apr. 1801il B. addossava a tutte le comunità (e non solo a quelle il cui territorio era attraversato dalle strade) la tassa fissa ammontante a 99.814, 40 scudi annui, facendola gravare per un terzo sul terratico, per un terzo sui "fuochi a gradi" e per un terzo sui possessori degli animali da soma e degli animali e "ordegni" da trasporto, "ancorché servano solo a uso proprio". In seguito all'assunzione dell'Impresa generale del riattamento e manutenzione delle strade corriere e provinciali da parte del Buon Governo, il B. stipulò in due anni cinquantaquattro contratti di appalto di durata novennale per una spesa complessiva di 779.516,88scudi, incontrando però non poche opposizioni tra gli stessi membri della congregazione sia per l'entità della spesa (che assorbiva l'intero gettito dell'imposta) sia per irregolarità contabili e amministrative. Per riferire sullo stato delle strade, tenere i contatti con gli appaltatori e sorvegliare l'esecuzione dei lavori il B. nominò centodiciassette deputati, addetti ognuno a un tratto di strada, in luogo dei sette od otto previsti dalla Post diuturnas. Frattanto l'importante motu proprio 19 marzo 1801 attuava la completa riforma fiscale e tributaria con l'abolizione delle trentadue gabelle, istituite in vari periodi per circostanze spesso accidentali, e l'introduzione di due "collette": la dativa reale e la dativa personale. La prima imposta colpiva i possessori, di fondi rustici per 5 paoli ogni 100 scudi di estimo, secondo il catasto Piano del 1777, e per 2 paoli i proprietari di immobili nelle zone urbane; la seconda ebbe a base le imposizioni sul sale (ogni comunità era obbligata ad acquistarne dieci libbre per abitante) e sul macinato (51 baiocchi e un quattrino per rubbio di grano). Il B. in una circolare del 17apr. 1801assoggettava alle spese comunitative anche gli ecclesiastici, sia pure a titolo provvisorio per le "urgenti necessità dei bisogni delle Comunità". Il Buon Governo, oltre alla responsabilità dell'incasso delle imposte, ebbe cura nel 1802di procedere ad un nuovo censimento della popolazione e di esaminare i ricorsi presentati entro un triennio dai proprietari fondiari soggetti alla dativa reale. Inoltre con la riforma del 19 marzo tutti i debiti delle comunità furono trasferiti all'erario (il provvedirnento fu reso necessario dall'enorme indebitamento dovuto alle antiche e recenti forniture militari per i "passaggi di truppe"), ma per rivalsa i beni comunitativi (già incamerati dallo Stato come "beni nazionali" dalla Repubblica romana del 1798-99) erano ceduti alla Camera apostolica per essere messi in vendita, nella presunzione errata che il loro valore fosse inferiore all'ammontare dei debiti. Il Buon Governo fu incaricato di "liquidare" (cioè di accertare) l'entità dei debiti per estinguerli - insieme con gli interessi decorrenti dal 1º genn. 1801 - con l'erogazione ai creditori di beni comunitativi, di concerto con il tesoriere generale e la Congregazione economica. Ma, nonostante la buona volontà del B., l'operazione si rivelò di difficile attuazione e dannosa per le comunità per il deprezzamento che subivano i beni, cosicché egli suggerì il motu proprio 14 luglio 1803, che modificava sensibilmente le disposizioni del 1801: anzitutto era rivalutato l'estimo catastale del 1777 (sia pure in maniera insufficiente); inoltre sull'offerta del creditore, cui veniva concesso un diritto d'opzione per sei mesi, si apriva un'asta con offerte in contanti e accensione di candela. Questa vendita fu affidata alla Congregazione economica, di cui era membro anche il B., sotto il controllo Contabile del Buon Governo.
Il B. morì a Roma il 12 ag. 1803.
Fonti e Bibl.: Unico cenno biografico sul B. è in G. Moroni, Diz.di erudiz. storico-ecelesiastica, VI, p. 171 (succinto e impreciso). Utili notizie si trovano in Arch. Segr. Vat., Proc. Dat. 152, ff. 287-300; in R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VI, Patavii 1958, p. 208, e negli annuari Notizie di Roma..., dal 1761 al 1803. Sulla missione del B. a Bruxelles: Arch. Segr. Vat., Nunziatura Fiandra 135 Nn - 135 Rr, 153 D, 192 I-II, 193; L. E Halkin, Les archives des nonciatures, in Bulletin de l'Institut histor. belge de Rome, XXXIII(1961), pp. 676 s.; A. Cauchie, L'extension de la juridiction du nonce de Bruxelles aux duchés de Limbourg et de Luxembourg en 1781, in Bulletin de la Commission royale d'histoire (Bruxelles), LXXII (1903), pp. 1-17; J. Laenen, Etude sur la suppression des couvents par l'empereur Joseph II dans les Pays-Bas autrichiens et plus spécialment dans le Brabant (1783-1794), in Annales de l'Académie royale d'archéol. de Belgique, LVII (1905), p. 384; M. P. R. Droog, Monseigneur I. B. vice-superior der Hollandsche Missie, in Archief voor de geschiedenis van het aartsbidom Utrecht, XXXVI(1910), pp. 104-226 (pp. 174-226 relazione finale del B. in lingua latina); P. Polman, De Reizen van de Brusselse Nuntius I. B. door de Hollandse Zending (1778, 1780, 1783), in Archief voor de geschiedenis van de Katolieke Kerk in Nederland, IV (1962), pp. 56-74. Sul B. segretario di Stato: L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 3, Roma 1934, pp. 271, 609, 614-617, 621 s.; L. Pásztor, Un capitolo della storia della diplomazia pontificia. La missione di Giuseppe Albani a Vienna prima del trattato di Tolentino, in Archivum historiae pontificiae, Romae, I (1963), pp. 295-402; G. Filippone, Le relazioni tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria. Storia diplomatica del trattato di Tolentino, I-II, Milano 1961-67, ad Indices;ancora utili: Le Vicomte de Richemont, Bonaparte et Caleppi à Tolentino, in Le Correspondant (Paris), 1897; J. Du Teil, Rome,Naples et le Directoire,Armistices et traité,1796-1797, Paris 1902, passim; J.Gendry, Pie VI. Sa vie,son pontificat, II, Paris s.d. (ma 1906), pp. 251, 258-260, 270 s., 275, 293. Sul B. prefetto del Buon Governo: A. Lodolini, L'amministrazione pontificia del "Buon Governo", in Gli Archivi italiani, VI (1909), p. 222; VII (1920), p. 12; Memorie del card. E. Consalvi, a cura di M. Nasalli Rocca di Corneliano, Roma 1950, pp. 21, 146, 383; E. Lodolini, introduzione a L'Archivio della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847),Inventario, Roma 1956, passim;Ministero del Tesoro, Ragioneria generale dello Stato, Istituzioni finanziarie contabili e di controllo dello Stato pontificio dalle origini al 1870, Roma 1961, pp. 173-371, passim.