BELMONDO, Ignazio
Nacque a Bricherasio (Pinerolo) il 20 giugno 1745 dal notaio Giuseppe Antonio. Compì gli studi di legge a Torino, dove ereditò dal padre l'ufficio di procuratore, e per circa trent'anni attese a questo impiego. Ne fu cacciato nel 1797 allorché il Collegio dei procuratori accertò le sue idee rivoluzionarie e i suoi contatti con noti elementi giacobini. Dopo un mese di carcere si ritirò a Bricherasio dove indirizzò la sua attività rivoluzionaria ad organizzare il profondo malcontento dei contadini.
Agitazioni sempre più frequenti s'erano verificate in quegli anni nelle campagne; nel corso della seconda metà del sec. XVIII il costante aumento dei prezzi, la lotta condotta dai proprietari contro gli usi civici e la conseguente appropriazione di vaste porzioni di beni comunali avevano ridotto sempre più i mezzadri e i piccoli fittavoli alla condizione precaria di salariati e braccianti. A Bricherasio la generale miseria era resa più acuta dallo sfruttamento delle acque di un canale, oggetto di controversia quasi secolare col Comune, da parte del conte Giovan Battista Cacherano Cassotti, che per alimentare i propri molini e le proprie fabbriche di carta sottraeva tali acque all'irrigazione dei campi. Il B., coadiuvato dal cugino G. M. Cattaneo, segretario del Comune, cercò di indirizzare la collera popolare contro l'intero sistema feudale e, allorché alla fine di luglio del 1797 moti insurrezionali scoppiarono in quasi tutto il Piemonte, si trovò ad essere il portavoce dei contadini locali. Il 26 luglio la folla, radunatasi in piazza, proclamò il libero uso delle acque, e il controllo del Comune sui molini e i battitori da olio, canapa e carta; impose altresì al conte Cacherano un atto ufficiale, redatto dal B. e dal Cattaneo, con cui si chiedeva al re, oltre al ribasso del prezzo del grano, anche l'abolizione totale delle bannalità e dei diritti feudali. Nei giorni successivi a Bricherasio furono espropriati gli edifici idraulici mentre i Comuni della vallata del Pellice redigevano una petizione collettiva che il B., con altri due delegati, ebbe l'incarico di recare al sovrano. Ben presto però le truppe regie soffocarono l'insurrezione in tutto il Piemonte: a Bricherasio non vi furono particolari persecuzioni; fu imposta soltanto la restituzione dei beni confiscati, dato che nel frattempo lo stesso Carlo Emanuele IV, sotto l'urgere degli avvenimenti, col decreto del 29 luglio, aveva cercato di ridurre i poteri nobiliari.
Nel dicembre del 1798, dopo la forzata rinuncia al trono di Carlo Emanuele IV, s'era costituito a Torino un governo provvisorio che ebbe breve vita e, sotto l'incalzare degli Austro-Russi, nel maggio del 1799 dovette rifugiarsi a Pinerolo. In questa circostanza il B. diede prova della sua fede repubblicana accettando le cariche prima di giudice e poi di presidente del Tribunale di alta giustizia. Fece parte anche delle truppe che protessero, specie dagli attacchi delle bande sanfediste del Brandaluccioni, la ritirata del governo provvisorio attraverso le valli valdesi. All'arrivo degli Austro-Russi, nel luglio, egli fu arrestato col Cattaneo e condotto prigioniero a Torino, quale elemento turbolento e pericoloso. Liberato nel giugno dell'anno successivo dalla nuova vittoriosa calata di Bonaparte, il B., facendo valere i suoi meriti rivoluzionari, riuscì a farsi nominare capo divisione per la corrispondenza del Comitato di polizia generale. Successivamente fu mastro uditore della Camera nazionale dei conti e, allorché dovette ritirarsi a Bricherasio per motivi di salute, gli fu affidata la carica di primo supplente del giudice di pace di Pinerolo.
Il fitto carteggio che egli intrattenne con la moglie Luisa Arditi e con amici e parenti di Bricherasio, durante tutto il periodo del suo servizio, costituisce un'interessante fonte sulla breve e agitata vita della cosiddetta seconda Repubblica piemontese.
Le difficoltà interne vi vengono minutamente registrate e commentate insieme con le vicende politiche e militari europee, e così lo stato disastroso delle finanze, il disagio economico dei patrioti e la conseguente caccia all'impiego, da cui il B. stesso non fu esente; e ancora innumerevoli fatti relativi all'amministrazione della giustizia, all'epurazione dei reazionari, alla repressione dei brigantaggio, all'esosità fiscale dei Francesi, alla miseria e al malcontento del popolo. Emerge tuttavia da tutto il carteggio una fiducia incrollabile nella "grande nazione" e un'ammirazione costante pel genio di Bonaparte: sentimenti che erompono gioiosi nell'aprile del 1801 in occasione dell'annessione del Piemonte alla Francia.
Il B. intervenne anche nella campagna condotta da G. A. Ranza nel suo giornale L'Amico della Patria in favore dei patrioti che avevano subito danni e persecuzioni, pubblicando il 28 ag. 1801 un Ragionamento sulla Indennizzazione patriottica di un Amico della Verità e della Giustizia alla Commissione di Governo, in cui sosteneva, contro gli orientamenti del governo, che l'eventuale indennità non dovesse corrispondersi attraverso ipoteche sui beni nazionali, ma dovesse essere pagata dai profittatori dell'antico regime. Queste idee inaspettatamente furono accolte nella legge sulla indennità promulgata nel settembre.
Ammalato e ormai tagliato fuori dalla vita pubblica, il B. morì nel suo paese natale il 4 genn. 1802.
Bibl.: L. C. Bollea, La rivoluzione in una terra del Piemonte (1797-1799), Torino 1905, passim; G. Sforza, L'Amministrazione generale del Piemonte e Carlo Botta, in Mem. d. R. Accad. d. scienze di Torino, LIX (1909), p. 21; Id., L'indennità ai giacobini piemontesi perseguitati e danneggiati (1800-1802), Torino 1909, pp. 189 s.; L. C. Bollea, Il carteggio di un rivoluzionario piemontese (luglio 1800-dicembre 1801), in Biblioteca di storia recente, s. 3, IV, Torino 1910.