GIORDANI, Igino
Nacque a Tivoli il 24 sett. 1894, da Mariano e da Orsola Antonelli, primo di sei figli, da famiglia di modesta origine.
Il padre, muratore, e la madre, analfabeta, che, come egli ricorda, "non coltivava poesia ma lavava cenci" (Memorie, p. 18), impostarono la sua educazione sui principî cattolici della morale religiosa di stampo contadino. L'infanzia, poverissima, la trascorse in una casa assai misera nel borgo medievale della cittadina, dove si parlava un dialetto ancora denso di latinismi.
Il G. ricevette la prima formazione ecclesiale presso la Confraternita del Ponte e dell'Orazione, cui era stato iscritto dal padre in età assai precoce, dove spiccava la figura del gesuita padre G. Mancini.
Questi appariva al G., come uno di quegli "esseri transumani, fatti di scienza e sapienza, di funzioni sacre e di vittorie della fede" (ibid., p. 29). Quando il gesuita, per l'ostilità di elementi del notabilato massone e repubblicano, venne trasferito al Gesù a Roma, il G. visse, con la famiglia, l'esperienza dell'impatto con l'anticlericalismo - e, nel contempo, con una certa disposizione ecclesiale ad allontanare le presenze più vivaci - derivandone un carattere ardente di zelo e passione cristiana.
Dopo aver frequentato le elementari, un notabile locale, A. Facchini, assumendosi il carico della retta, lo indusse a studiare presso il seminario diocesano di Tivoli, che, scrisse più tardi il G., "segnò le direttive della mia esistenza, mi rifornì di idee e di ideali" (ibid., p. 39).
Iniziava a formarsi in lui un ideale religioso che opportunamente coniugava il fervore dell'ambiente religioso popolare e della sapienzialità contadina con la solidità di approccio dei testi sacri e degli schemi teologici. In questo senso parrebbe decisiva la lezione di tal professor Bussi, insegnante di lettere classiche, il quale, interpretando lo studio del latino "come lingua anziché come grammatica" (ibid., p. 40), avviò il G. a una approfondita capacità di lettura dei testi sacri.
Costretto, in seguito alla riforma dei seminari avviata da Pio X, a lasciare il seminario della sua città o a trasferirsi ad Anagni, il G. scelse di terminare il liceo nelle scuole pubbliche, con insegnanti che gli procurarono qualche raffreddamento nella pratica religiosa. Dopo il diploma vinse il concorso presso il ministero di Grazia e Giustizia e nel 1914 vi fu assunto come impiegato di concetto.
Fu anche coinvolto nel dibattito allora in atto circa la partecipazione dell'Italia alla guerra. Antinterventista perché razionalmente convinto dell'assurdità della guerra ed evangelicamente alieno dal solo pensiero di uccidere un altro uomo, manifestò questo suo atteggiamento in pubblico, correndo il rischio di "buscarle" (Memorie, p. 47).
Richiamato alle armi nel giugno 1915, frequentò un corso alla scuola militare di Modena - dove si studiava "la scienza dell'imbecillità" (ibid., p. 48) - e, nel dicembre dello stesso anno, fu mandato sul fronte giulio, come sottufficiale, a capo di un battaglione.
In trincea stava solitamente non armato (I volti dei morti, Tivoli 1919, p. 30), e quando dovette sparare, indirizzò la canna del fucile in aria (Memorie, pp. 50 s.). Tuttavia, trasferito sul fronte trentino, andò in testa ai suoi uomini a far saltare un reticolato austriaco sul Mosciag, con azione rischiosissima che gli procurò una grave ferita a una gamba e la medaglia d'argento al valor militare. Fu trasportato in ospedali militari di fortuna, la Baggina di Milano e poi a palazzo Margherita a Roma, dove ebbe occasione di parlare con la regina in visita, facendole dono di una sua tesina universitaria.
Più volte operato e costretto a una lunga degenza, il G., che nel frattempo si era iscritto alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Roma, cominciò a sostenere gli esami, laureandosi in breve tempo; seguì un periodo di supplenze, quindi l'incarico presso il ginnasio romano Umberto I. Il 2 febbr. 1920 il G. si sposò con Mya Ora Salvati, decima dei dodici figli di un avvocato e proprietario terriero, e si trasferì con lei da Tivoli a Roma. Qui l'amico G. Petrocchi lo presentò a L. Sturzo: ne nacque una collaborazione con Il Popolo nuovo, nella cui redazione entrò, insieme con don G.C. De Rossi, G. Spataro e M. Scelba; nei primi mesi del 1924 maturò la candidatura nella lista del Partito popolare italiano (PPI).
Si era già verificato il trionfo della "fiumana squadrista", da molti accettata "per malinteso patriottismo", e sfociata nella marcia su Roma, dal G. vissuta "come un'agonia" (ibid., p. 64); la sua analisi dello squadrismo se riflette da un lato la delusione per l'assenza dello Stato, dall'altro dà ragione della passività di larghe fasce sociali, dovuta a una sostanziale incomprensione del fenomeno fascista.
Il G., viceversa, manifestò la sua netta avversione al fascismo scrivendo "in una prosa violenta e pittoresca" su Il Popolo di G. Donati, su Civitas di F. Meda, e su altre riviste di varie parti d'Italia. Nel 1925, per aver mano più libera nella polemica contro i "ghibellini" fascisti, fondò, insieme con G. Cenci, Parte guelfa, "rivista di pensiero cristiano".
Vi espose l'idea degli Stati Uniti d'Europa, da fondare sui valori della civiltà cristiana, e ne sostenne il progetto, anche in disaccordo con Sturzo, allora già esule a Londra. Benito Mussolini si mosse "contro questi fiori del giardino neo-guelfo" (Casella, pp. 44 s.); e da ambienti vaticani giunsero note di disapprovazione, sì che la rivista, sequestrata dalla polizia, durò solo quattro mesi.
Scrisse anche sulla Rivoluzione liberale di P. Gobetti, che del G. pubblicò, presso la sua casa editrice, Rivolta cattolica (Torino 1925), raccolta di scritti vari, e tuttavia libro organico - giudicato dallo stesso Gobetti una voce nuova nel panorama cattolico -, nel quale esponeva il dramma italiano per la coesistenza delle due anime del cattolicesimo politico: una "democratica e autonoma", rappresentata da Sturzo, l'altra "clericale e conservatore parassita", rappresentata dal conte G. Grosoli.
Intanto nei suoi articoli, prevalentemente concentrati sul Popolo, il G. mirava soprattutto a rovesciare la prospettiva clericale sostenendo che "la società cristiana poteva realizzarsi modernamente in uno stato democratico"; di notevole interesse, in quel periodo, la sua ricostruzione de La politica estera del Partito popolare (Roma 1924), finestra sulla fervida attività di relazione del popolarismo con analoghe esperienze europee. Speciale vigore ebbe, poi, la sua rivolta morale di fronte al delitto Matteotti, che gli ispirò, sempre sul Popolo, "uno degli articoli più furenti", tanto che, anche in più tarde cronache di regime, il G. sarebbe stato ricordato come "il noto quartarellista del defunto Popolo sturziano" (Il Popolo di Roma, 9 luglio 1931), con macabro riferimento alla macchia della Quartarella, luogo di occultamento del cadavere di Matteotti.
Intanto la già falcidiata pattuglia popolare si era ulteriormente assottigliata: in esilio Sturzo, Donati, F.L. Ferrari e altri, molti popolari ritiratisi o silenti, il G., radiato dall'albo dei giornalisti, continuò coraggiosamente a collaborare con A. De Gasperi, divenuto segretario del PPI; e per difenderlo dall'accusa di austriacantismo, lanciata dalla stampa di regime, pubblicò La verità storica e una campagna di denigrazione (Trento 1925). Il G. fu anche processato per reato di stampa, a motivo della redazione di un piccolo bollettino clandestino del partito, da lui organizzato in via della Missione; proposto al confino, si salvò per la sua duplice condizione di mutilato e di decorato di guerra. Impiegato con una supplenza al liceo T. Mamiani, oggetto di sorveglianza di polizia, sfuggito da molti a motivo della sua condizione di antifascista, il G. visse un periodo di sofferta solitudine culturale.
Nel 1926 ottenne un posto di insegnante presso l'Istituto femminile madre Francesca Cabrini, delle missionarie del Sacro Cuore. Era anche entrato in contatto, grazie ad alcuni amici, tra i quali il cardinal E. Lucidi, con gli ambienti della Biblioteca apostolica Vaticana; per questo tramite, nell'agosto 1927, venne offerta a lui e a G. Bruni, l'occasione di recarsi negli Stati Uniti per seguire dei corsi di biblioteconomia presso la University of Michigan, ad Ann Arbor, e presso la Columbia University di New York.
Questa intensa e interessante esperienza lo avviò alla lettura di autori americani dei quali tradusse ampi brani pubblicati nella raccolta, a sua cura, Contemporanei nordamericani (Torino 1930).
Tornato l'anno dopo in Italia, prese servizio presso la Biblioteca Vaticana, dove fece assumere anche De Gasperi, uscito di prigione e rimasto senza lavoro.
Qui iniziò il rinnovo dei cataloghi più antichi secondo le nuove tecniche apprese negli Stati Uniti e, più tardi, introdusse un'ulteriore e preziosa modernizzazione della catalografia, curando anche la pubblicazione di un volume di Norme per la catalogazione degli stampati (Città del Vaticano 1939). In seguito doveva fondare, tramite i buoni uffici del cardinal E.-G. Tisserant, una scuola di biblioteconomia frequentata da specializzandi di tutto il mondo.
Intanto il G. - che il 30 apr. 1928 aveva fatto professione di terziario francescano - aveva pubblicato come testimonianza dell'"avventura americana", uno stravagante romanzo America quaternaria (Roma 1930), gustosa analisi sociologica dei costumi e delle tecnologie degli Stati Uniti di quegli anni, e aveva ripreso a scrivere sotto pseudonimo, sulla stampa italiana e straniera: dal 1929 aveva incominciato a pubblicare su L'Osservatore romano ed era entrato nella redazione di Fides, mensile della Pontificia Opera per la preservazione della fede, del quale assunse ufficialmente la direzione nel 1932.
Per niente entusiasta della conciliazione, in un articolo pubblicato sulla rivista newyorkese Commonweal, fece notare che il governo italiano, anziché conciliarsi con la Chiesa, stava aumentando i motivi di dissidio, specialmente in tema di educazione dei giovani. Aveva deplorato nel maggio 1931 la "campagna distruttiva" contro l'Azione cattolica; e si diceva ammirato e sgomento dinanzi alla coraggiosa condanna pontificia del regime, espressa il 29 giugno da Pio XI nella Non abbiamo bisogno. Dalle pagine di Fides poi, come direttore, condusse una vigorosa polemica per difendere la Chiesa cattolica dagli attacchi dei protestanti, dimostrando una conoscenza profonda e aggiornata della loro pubblicistica, specialmente in lingua inglese e tedesca. Nello stesso tempo, però, iniziava un dialogo con quelli che già allora egli chiamava "fratelli separati", con l'invito a cercare "ciò che unisce piuttosto che ciò che divide", e pubblicava alcuni loro scritti su Fides. Con i suoi articoli - spesso contrassegnati da una decina di diversi pseudonimi (Adolfo Tommasi, Caterina Tommasi, Jor, Cencio Camerario, Anastasio bibliotecario ecc.) - la rivista assunse un più ampio respiro culturale, libero dagli impacci della cultura clericale e dalle limitazioni imposte dal rapporto col regime riconciliato, e parimenti lontano dalla semplice diatriba confessionale e dai limiti di un'angusta visione esclusivamente italiana ed europea.
Intanto continuava i suoi studi sui padri della Chiesa: Giustino, Clemente Romano, Cipriano - da lui tradotti dal greco - e curava i profili storici di S. Giovanni Crisostomo (Padova 1929) e dei polemisti del II secolo (La prima polemica cristiana: gli apologeti greci del II secolo, Torino 1930).
Il lavoro presso la Vaticana, inoltre, gli fruttò una serie preziosa di incontri e occasioni culturali: fu invitato a tenere conferenze in numerose città italiane, e, nel 1934, anche in Segreteria di Stato.
Conobbe don F. Olgiati e padre A. Gemelli, scrittori e diverse personalità del mondo culturale come C. Alvaro, A. Baldini, A. Moravia, F. Sapori, A. Soffici, M. Soldati, Trilussa e E. Pound. Era stata intanto richiesta la sua collaborazione alla rivista Il Frontespizio di P. Bargellini, che gli procurò contatti con scrittori come C. Betocchi, D. Giuliotti, N. Lisi, G. Papini e don G. De Luca. Respinta per motivi politici la sua domanda per una libera docenza in letteratura cristiana, il G. si concentrò ancor più nella già fervida attività di scrittore e di giornalista ecclesiale. Nel 1937 conobbe R. Murri, col quale avviò "una cordiale amicizia", raccogliendo da lui il desiderio vivissimo e ormai estremo di rientrare nella comunità ecclesiale. Nel febbraio 1939, benché notoriamente antifascista, ricevette uno dei premi Savoia-Brabante per i due volumi Il messaggio sociale degli apostoli (Firenze 1938), che seguivano al Messaggio sociale di Gesù (Milano 1935); nel 1942 curò un'ampia raccolta di documenti pontifici sulla dottrina sociale Le encicliche sociali dei papi da Pio IX a Pio XII (Roma), in seguito ampliata fino al magistero di Paolo VI. Intanto, nel 1940, era avvenuta la visita alla trappa di Grottaferrata - dovendo egli scrivere una prefazione alla biografia di una giovane trappista - significativa in quanto primo contatto, inizialmente anche male accetto, con l'esperienza del cammino ascetico.
Durante la seconda guerra mondiale il G., insieme con De Gasperi, P. Bonomi e R. Cadorna, prese parte a riunioni clandestine, in casa Spataro e presso mons. P. Barbieri, per preparare la ricostruzione di un partito di ispirazione cristiana; ma appena liberata Roma, nel giugno 1944 fu chiamato da mons. G. Montini a dirigere un nuovo giornale dell'Azione cattolica, Il Quotidiano, alla cui ideazione lo stesso G. aveva partecipato scegliendone anche il titolo.
Dalle sue pagine svolse opera di diffusione di cultura politica fra i cattolici italiani nella confusione della incipiente democrazia; certe sue posizioni di apertura sociale e filorepubblicana, gli procurarono difficoltà negli ambienti ecclesiastici.
Invitato da De Gasperi a tornare al diretto impegno politico, nel 1946 fu eletto per la Democrazia cristiana alla Costituente, dove sostenne la necessità di inserire il Concordato nella carta costituzionale (I Patti lateranensi e la Repubblica italiana, Roma 1948). Nominato direttore de Il Popolo nell'agosto 1949, vi rimase meno di un anno, in quanto riteneva non si dovesse appiattire il giornale di partito sulla linea governativa.
In buona sostanza il G. rimaneva vicino non tanto a De Gasperi, quanto a Sturzo, tornato in Italia dall'esilio americano nel 1946: con lui condivideva l'insoddisfazione per il trattato di pace, mentre per proprio conto temeva che il Patto atlantico diventasse uno strumento di guerra. Egli rappresentava all'interno del partito cattolico di massa, l'anima evangelica, aperta al dialogo e alla contraddizione, non conformista né allineata, senz'altro minoritaria, nell'epoca dei blocchi contrapposti e dell'anticomunismo cattolico.
Nel 1948 fu rieletto deputato e nel settembre del 1949 incontrò Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari; subito vi aderì, dando apporti personali, per cui ne viene considerato "cofondatore". Veniva intanto invitato ad assise internazionali, dove fece nuove interessanti conoscenze; nell'estate 1949 tenne un ciclo di lezioni all'Università di Friburgo, sugli aspetti religiosi e sociali della crisi europea. In questo torno di tempo realizzava anche un attivo impegno europeista, partecipando agli incontri coi rappresentanti dei partiti democristiani europei. Nel gennaio 1949, con lo stimolo morale di mons. Barbieri e il sostegno finanziario di un aderente del Movimento dei focolari, fondò il settimanale La Via, dove espresse una linea avanzata di cattolicesimo sociale, aperto alla comprensione di un tempo radicalmente mutato. Volle essere "deputato di pace" (Memorie, p. 118) nell'epoca della guerra fredda; e per la pace dialogò, tra molte polemiche, con le sinistre, presentando poi, insieme con U. Calosso, la prima proposta di legge in Italia sull'obiezione di coscienza.
I suoi discorsi parlamentari riecheggiavano temi e accenti sturziani, allora di sconcertante attualità, sulla politica come parte e sulla universalità del messaggio cristiano; sulla più radicale condanna della guerra, nonché dei totalitarismi di ogni segno politico; sull'opportunità, per l'Italia, di frapporsi come "ponte tra due mondi", a metà tra Occidente e Oriente, suscitando discussioni accese, nel momento in cui si trattava dell'adesione italiana al Patto atlantico; in favore di una soluzione autentica, e non puramente benefica, dei problemi del Mezzogiorno; infine per una presa di coscienza delle nuove esigenze dei lavoratori, in una visione della questione sociale che non mancò di suscitare viva preoccupazione a destra, in taluni vecchi esponenti del popolarismo nonché in ambienti della maggioranza e della stessa Democrazia cristiana, non ultimo De Gasperi. Tutto questo non impediva al G. di dimostrare un costante e sicuro attaccamento alla Chiesa, come testimoniato dal ritratto agiografico Pio XII, un grande papa (Torino 1961).
Come già ai tempi di Rivolta cattolica, talune iniziative del G., in anticipo sui tempi, vennero tacciate di ingenuità politica e gli allontanarono l'elettorato borghese per cui, alle elezioni politiche del 1953, non fu rieletto. Per intervento di G. Gronchi, fu per alcuni anni consulente della Biblioteca della Camera dei deputati, dove pure riformò e ammodernò i metodi di catalogazione. Continuò, per qualche tempo, a seguire la politica come giornalista; e nel 1961 fu direttore del periodico L'Unione, dove trattò del Centrosinistra, inquadrandolo nella più ampia tematica del confronto tra cristianesimo e marxismo materialista, del quale ultimo il G. "denunciava la strategia" (Casella, p. 245).
La "bocciatura" del 1953, confessa il G., gli dette la "gioia segreta di dedicarsi intero al Movimento dei focolari" (Memorie, p. 144), e di fatto la profonda crisi vocazionale che attraversò lo indusse, infine, a una scelta radicale. Così collaborando, insieme con il sacerdote P. Foresi e con Chiara Lubich, poté dar vita ad alcune diramazioni dei focolarini, come il Movimento famiglie nuove e il Movimento umanità nuova.
Fu questo uno dei traguardi che il G. riuscì a raggiungere nei suoi sforzi di sollevare il laicato da quello ch'egli definiva "proletariato nella Chiesa": indicava ai laici mete di fede eroica, nell'ascesi e nella testimonianza coraggiosa, maturando quell'ideale di "laico-Chiesa", richiamato da T. Sorgi secondo una linea che anticipava, e forse stimolava, alcune problematiche affrontate dal concilio ecumenico Vaticano II: il suo Diario di fuoco (Roma 1980), testimonia una nuova dignità spirituale assunta dal laicato.
Continuava, comunque, a scrivere sul "periodico di fede e cultura" Città nuova, di cui fu anche direttore, e redigeva le sue vivaci Memorie di un cristiano ingenuo, pubblicate postume (ibid. 1981). Animava anche iniziative di impegno religioso, fra cui il Centro Uno per il dialogo ecumenico, che continuò a dirigere dal "focolare" di Rocca di Papa, dove si era ritirato negli ultimi anni.
La produzione del G. è sconfinata: numerosissimi gli articoli editi sui giornali, cui collaborò e che diresse, già ricordati. Dei suoi volumi, oltre a quelli citati, si possono ancora menzionare: Noi e la Chiesa, Roma 1939; La società cristiana, Pisa 1942; La rivolta morale, Roma 1945; Cattolicità, Brescia 1948; Disumanesimo, ibid. 1949: Le due città, Roma 1961; Laicato e sacerdozio, ibid. 1964; Maria modello perfetto, ibid. 1967; Il popolo di Dio in cammino, ibid. 1967; Famiglia comunità d'amore, ibid. 1969; La rivoluzione cristiana, ibid. 1969; La chiesa della contestazione, ibid. 1970; L'unico amore, ibid. 1974. Dei suoi scritti di genere biografico e agiografico si segnalano: S. Paolo apostolo e martire (Firenze 1939), Ignazio di Loyola (ibid. 1942); Maddalena di Canossa (Roma 1942), Contardo Ferrini (Milano 1949), Caterina da Siena (Torino 1954), S. Vincenzo de' Paoli, servo dei poveri (Roma 1959).
Scrittore di apologetica, di storia agiografica e di sociologia cattolica, i tanti suoi scritti, oltre cento titoli di peso fra libri e saggi, rivelano un intellettuale notevole e curato nello stile. Il primo scritto importante, Rivolta cattolica, risentiva dello studio di Tertulliano tanto nella logica stringente, quanto nel frasario acceso. Un'influenza centrale esercitarono anche la lettura di Giustino, del Crisostomo, e quella di autori della modernità come Ch.F. de Montalembert, G.K. Chesterton, L.F. Veuillot, e altri. Rumore aveva suscitato Segno di contraddizione (Brescia 1933), che lo pose sulla linea dei grandi apologeti del cristianesimo: don G. De Luca, per questo e altri suoi libri, parlò del G. come di uno "scrittore profeta".
Morì a Rocca di Papa, presso Roma, il 18 apr. 1980.
Fonti e Bibl.: Le carte Giordani, compreso il ricco epistolario, sono custodite presso il Centro del Movimento dei focolari a Rocca di Papa. Per una bibliografia completa sul G. fino alla data si veda Città nuova, 10 maggio 1980 (numero speciale); vedi ancora una bibl. più recente: E. Robertson, The fire of love. A life of I. G., London 1989; M. Casella, I. G.: "La pace comincia con noi", Roma 1990; Id., Cultura, politica e socialità negli scritti e nella corrispondenza di I. G., Napoli 1992; F. Giordano, L'impegno politico di I. G., Roma 1990; F. D'Alessandro, I. G. e la pace, Roma 1992; C. Vasale, Il pensiero sociale e politico di I. G., Roma 1993; T. Sorgi, G. segno di tempi nuovi, Roma 1994 (con ampia bibliografia); I. G., politica e morale, a cura di T. Sorgi, Roma 1995.