TARCHETTI, Iginio Ugo
Scrittore, nato a San Salvatore di Monferrato il 29 giugno 1839, morto di tubercolosi a Milano il 25 marzo 1869. Al suo nome Iginio egli amò aggiungere il soprannome Ugo, datogli dagli amici con allusione al Foscolo, un po' per l'aspetto di lui, ma più per essere stato anche lui addetto all'esercito, nel commissariato, mentre conduceva una vita sregolata e alquanto ribelle alle autorità.
Del quale tumulto romanticheggiante si han riflessi in novelle e romanzi da lui quasi improvvisati per le appendici dei giornali, dove si può notare, di contro alle idealistiche pagine del De Amicis in onore dell'esercito, una certa ostilità fondata su un francesizzante realismo (Una nobile follia, Milano 1867 e poi 1869, primo in una serie, che non fu continuata, di Drammi della vita militare), contemperato e alternato con un umorismo anglicizzante (L'innamorato della montagna, ivi 1869 e 1877), oppure con un sognare germanizzante (Racconti fantastici, ivi 1869), o con una tentata fusione di varî toni (Racconti umoristici, ivi 1869; Amore nell'arte, ivi 1869; Storia di una gamba, ivi 1869; La fava bianca e la fava nera, ivi 1872 e 1875; e altre scritture). Le facoltà del T., pure aspramente contrapponendosi al romanticismo manzoniano, che ha una così alta virtù di consapevole classicismo, apparivano molto notevoli; nondimeno nessuno di quei volumi ha retto al tempo. Migliori prove fece il T. in alcune poesie (raccolte postume in Disjecta, Bologna 1879); taluna delle quali (per es., il sonetto Ell'era così fragile e piccina) ebbe anche una diffusione sproporzionata al merito. In Disjecta, dopo le rime, si hanno in prosa I canti del cuore, composti prima dei vent'anni, che, sebbene il T. accenni ad averli derivati dai "grandi poeti popolari tedeschi e dalle traduzioni italiane dei poemi giovanili di Byron", tuttavia si manifestano dipendenti dai poemetti in prosa del Baudelaire.
L'audacia, apparsa maggior ardimento che non fosse, illuse sul pregio dei Disjecta, che risentono l'influsso anche del Heine, del quale il T. fu, accanto al Nievo, uno dei primi imitatori italiani; alcune rime precorsero indubbiamente la maniera e la voga delle poesie di L. Stecchetti. Ma neppure in quelle sue prove migliori, mentre l'ingegno e la vena del poeta ne traspaiono spesso felicemente, è possibile ammirare un'arte superiore, o che sia almeno da mettere alla pari con l'arte del migliore Emilio Praga. Onde il complesso dell'opera del T. piuttosto che in sé vale come un documento interessante delle tendenze e predilezioni letterarie della scapigliatura milanese. L'ultimo romanzo del T. (Fosca, Milano 1869) prometteva da lui, oramai giunto a maturità, alcunché di più ricco e meglio lavorato, ma spettò alla fraterna pietà di Salvatore Farina il terminarlo.
Bibl.: D. Milelli, U. T., introd. a Disjecta, Bologna 1882; P. G. Molmenti, Impressioni letterarie, Venezia 1873; C. Catanzaro, Cari estinti, Firenze 1890; G. Rabizzani, Il poeta senza tomba, in Il Marzocco, ivi 21 luglio 1912; P. Nardi, Scapigliatura, Bologna 1924 (con bibl.); altre indicazioni in G. Mazzoni, L'Ottocento, 2a ed., Milano 1934. Un giudizio osservabile del Carducci in Opere, III, p. 277 segg. Nel libretto di P. Nardi, I. U. T., Vicenza 1921, rifuso nel libro qui sopra citato, si hanno lettere e frammenti da tenerne conto.