IETTATURA
. Parola napoletana (dal lat. iactare "gettare", cioè appunto il malocchio) divenuta di uso comune per indicare la presunta capacità di alcuni individui (e talvolta animali: rospo, ecc.) di nuocere altrui, senza volerlo, con lo sguardo. Secondo il pregiudizio popolare, lo iettatore è riconoscibile al viso magro, al colorito cupo, olivigno, al naso adunco, e specialmente agli occhi biechi e loschi, rossi o blu (cioè percorsi da una vena), piccoli, porcigni, ingrottati. A prevenirne la nefasta influenza si adoperano amuleti o scongiuri diversi (come il toccare oggetti ritenuti dotati di virtù apotropaiche); e per discacciarla dall'organismo che n'è affetto (uomo, animale, pianta) si ricorre a suffumigi, scongiuri, ecc. Il rimedio più efficace, in taluni casi, si crede sia far toccare il sofferente dal presunto iettatore; per accertarsi dell'esistenza e della provenienza del maleficio si ricorre a prove o ordalie. In qualche luogo (Sardegna) si crede di potere scorgere nella pupilla dell'individuo iettato il riverbero di guella dello iettatore.
Bibl.: S. Seligmann, Der böse Blick und Verwandtes, Berlino 1910; F. T. Elworthy, The evil eye, Londra 1895; M. Tuchmann, La fascination, in Mélurine, II (1896). Per l'Italia: N. Valletta, Cicalata sul fascino, volgarm. jettatura, Napoli 1777; A. Schioppa, Antidoto... alla cicalata di N. Valletta, ivi 1830; G. Piltré, La jettatura e il malocchio in Sicilia, Klausenburg 1884; L. Wagner, Il malocchio e le credenze affini in Sardegna, in Lares, II (1913), pp. 129-50.