IDRAULICA FLUVIALE
. Generalità e definizioni. - La voce fiume (v.) contempla le principali generalità sul regime dei fiumi; accenna alle inondazioni, ai fenomeni di erosione e di accumulamento, alla composizione chimica delle acque, ecc.
Per le onde e le piene v. onda; piena; per le misure di velocità e di portata v. idrometria. Non entrando qui in particolari sulle acque superficiali, conviene premettere alcune denominazioni che si sogliono adoperare nella nomenclatura propria dei fiumi.
I fiumi possono essere perenni o temporanei, secondo che nei loro alvei si conserva, o no, una portata notevole in tutte le stagioni; fra i secondi vanno annoverati i torrenti, ai quali si attribuisce un crescere o scemare improvviso per ricevere direttamente le acque provenienti dalle piogge o dallo sciogliersi dei nevai o ghiacciai. La pendenza del fondo dei torrenti è quasi sempre notevole mentre quella dei fiumi è generalmente piccola. I corsi d'acqua che presentano caratteri intermedî tra il fiume e il torrente si dicono fiumi torrentizî: portano acqua durante tutto l'anno, vanno però soggetti a piene notevoli e a magre molto pronunciate.
Si dicono fiumi iemali quelli che hanno la portata massima nell'inverno e la minima nell'estate; fiumi estivi quelli che, essendo alimentati essenzialmente dai ghiacciai e dalle nevi degli alti monti, presentano la portata massima in estate e la minima in inverno.
Se una ripa è tagliata verticalmente si denomina piarda, da distinguersi con l'appellativo di bassa, alta, o mezzana secondo che la parte a perpendicolo è in basso, in alto, o nel mezzo dell'intera sponda. Una ripa inclinata dolcemente sul fondo e che tenda a protrarsi sul lato opposto in modo da spingere ivi il corso dell'acqua si distinguerà col nome di spiaggia o greto renaio e, quando arriva a formare nuova sponda al fiume distinta dalla precedente, si potrà chiamare alluvione.
L'alveo, artificialmente o naturalmente abbandonato dalla corrente, si dice morta di fiume, e si chiama mortizza se è pantanoso, mentre diventa fondo morto se resta completamente a secco. Le cavità che negli alvei si riscontrano più basse del fondo vivo del fiume si dicono gorghi; ripide invece i tratti di alveo a grande pendenza nei quali l'acqua ha corso velocissimo. Una caduta di acqua nell'alveo di un fiume prende il nome di cateratta.
Poiché la portata di un fiume si presenta continuamente variabile in dipendenza delle stagioni, delle piogge, ecc. si è indotti a considerare una portata media o medio deflusso annuale, media aritmetica di tutte le portate corrispondenti ai minuti secondi contenuti nell'anno: in base a questa portata media, supposta costante la portata integrale del fiume per tutto l'anno resta immutata e si potrà calcolarla con una certa approssimazione, conoscendo le portate corrispondenti a diversi tempi. La portata media per un secondo, calcolata in base alla portata integrale di un periodo di parecchi anni, si chiama modulo del fiume.
Tenute si chiamano i tempi in cui il fiume conserva i diversi stadî d'altezza in una sezione durante un determinato periodo.
Si dice che un fiume è in magra (étiage, in francese) quando è allo stato delle acque basse normali, intendendosi per magra massima assoluta in un certo periodo di tempo lo stato corrispondente alle acque più basse e per magra massima annuale la media delle magre massime di un certo numero di anni.
Il grado o coefficiente di perennità di un fiume è definito dal rapporto della portata minima, o magra massima annuale, al modulo.
La scala di deflusso d'un fiume è la relazione fra le portate e le corrispondenti altezze idrometriche in una sezione stabilita.
Bacino e regime di un fiume.
Il bacino di un fiume è costituito da tanti bacini quanti sono i corsi d'acqua che assieme confluiscono. Se il bacino è di piccola superficie, è facile che una pioggia dirotta si scateni su tutta la sua estensione, cosicché la portata del corso d'acqua aumenta; cessata l'intensa pioggia, la corrente d'acqua ritorna allo stato ordinario. Cosa analoga avviene con lo scioglimento delle nevi, perché si effettua contemporaneamente in tutto il bacino.
Se un fiume ha un bacino molto esteso, risultante dalla riunione di più corsi d'acqua, le variazioni di portata sono più rare ma più durature, perché la piena del fiume è la conseguenza delle piene dei fiumi confluenti, che raramente si verificano contemporaneamente: per l'alternarsi di queste piene e dei tempi nei quali si producono, il fiume ha quasi sempre una notevole portata.
I fenomeni relativi alle variazioni di portata tendono tanto più a regolarizzarsi quanto maggiore è il corso d'acqua e quindi quanto più si considerano in vicinanza della foce, e poco variabile risulta la portata dei fiumi che sono alimentati da un vasto lago, il quale funge da moderatore di portata. Nella voce idrometria sono indicate le portate dei principali fiumi d'Italia.
Curva dei deflussi. - Per rendere più evidenti i periodi di magra e di acque abbondanti che si succedono in un fiume o in un torrente, conviene tracciare la curva dei deflussi del corso stesso, cioè la curva che collega i punti che hanno per ascissa i tempi e per ordinate i deflussi corrispondenti.
La linea continua tracciata nella fig. 1 fa vedere l'andamento caratteristico della curva dei deflussi di un torrente alimentato da un bacino di alta montagna provvisto di ghiacciai e di nevai perenni. Un tale torrente ha un periodo di acque basse dall'autunno alla primavera, con la magra più pronunciata nel cuore dell'inverno, e un periodo di acque alte dalla primavera all'autunno, con le massime portate verso la metà dell'estate.
Invece i corsi d'acqua delle regioni basse subalpine, alimentati da bacini sprovvisti di ghiacciai e nevai perenni, hanno due massimi di portata corrispondenti alle piogge di primavera e di autunno, e due minimi (estate e inverno), cosicché la curva dei deflussi ha un andamento analogo a quello indicato a tratti nella fig. 1.
La conoscenza della curva dei deflussi di un corso d'acqua è molto importante specialmente per lo studio dei laghi artificiali destinati a regolare il deflusso dei corsi d'acqua naturali.
Corrosioni e interrimenti. - Allorché le acque di un fiume o torrente sono animate da velocità notevole, corrodono il fondo e le sponde dell'alveo caricandosi di materie solide che esse depositano nuovamente sul fondo dell'alveo quando la loro velocità diminuisce. Tali variazioni della velocità avvengono nei passaggi dallo stato ordinario a quello di piena e viceversa. Questi due effetti opposti prodotti dalle acque, cioè la corrosione e l'interrimento, s'osservano nettamente distinti e determinati di posizione nei piccoli torrenti montani, il cui breve ma precipitoso corso si può dividere in tre tronchi, che procedendo dall'alto verso il basso si sogliono chiamare: bacino di ricevimento o di riunione; canale di scolo; cono di deiezione o letto di deposito.
Il bacino di riunione presenta generalmente la forma di un imbuto irregolare, che si allarga e si ramifica in alto e si restringe verso il basso a guisa di gola. Se le falde che lo circoscrivono sono prive di vegetazione, vengono corrose dalle acque meteoriche, che trovando il terreno già alterato dagli agenti atmosferici, trascinano al basso tutte le materie instabili che incontrano sul loro percorso, e raccogliendosi in breve tempo e in grande quantità sul fondo del bacino, continuano quivi il loro lavoro di distruzione, scavando il terreno al piede delle falde laterali.
Le materie solide che per tal modo vengono a mescolarsi con l'acqua, formano con questa una massa densa, fangosa, la quale, grazie alla forte pendenza del suolo, precipita a valle e trova per solito all'estremità inferiore del bacino una gola stretta e di breve lunghezza (canale di scolo o canale neutro) che la massa stessa attraversa senza più corrodere e senza lasciarvi depositi sensibili. Allo sbocco di questa gola, nella valle a cui essa fa capo, la massa fluente si spande sul cono di deiezione formatosi poco per volta coi depositi anteriori, e quivi abbandona in massima parte le materie solide, perché in causa della minore pendenza del letto e della maggiore ampiezza della sezione libera, diminuisce la velocità da cui la massa stessa era superiormente animata.
Lo studio dei torrenti è molto importante per la sistemazione delle regioni alpine, e nel regolare il corso di un torrente lo scopo che un tecnico si prefigge è di dare il massimo sviluppo al canale di scolo a detrimento delle altre parti; cioè cercherà di diminuire quanto più possibile l'erosione a monte e per conseguenza il deposito a valle. Gli alvei dei torrenti maggiori che percorrono il fondo delle valli e scendono al piano, ove riunendosi formano i fiumi propriamente detti che vanno al mare, sono pur essi soggetti alla stessa legge naturale, per la quale, in complesso, le corrosioni predominano nei tronchi superiori e gl'interrimeni nei tronchi inferiori essendo in questi la pendenza minore che nei primi; ma presentano tuttavia, a differenza dei torrenti alpini, una grande mutabilità, per la quale le corrosioni e gl'interrimenti, anziché avvenire in modo sempre progressivo entro gli stessi limiti di luogo, possono avvicendarsi sopra uno stesso tratto di alveo, cosicché in generale le corrosioni e gl'interrimenti degli alvei dei torrenti maggiori che percorrono il fondo delle valli, si correggono da sé, almeno per quanto riguarda il fondo. Le corrosioni delle sponde non si correggono naturalmente nel senso di stabilire le sponde quali erano prima, ma esse hanno in generale un limite oltre il quale non progrediscono, sempreché non siano favorite da opere che perturbino il regime naturale del fiume. Le condizioni fin qui esaminate suppongono che le acque corrano incassate entro un letto determinato da sponde ben definite e insormontabili. Ma più frequentemente ciò avviene soltanto per le acque ordinarie, mentre quelle di piena si riversano lateralmente sulle campagne adiacenti, sommergendole a distanze più o meno considerevoli dai limiti dell'alveo ordinario, e depositando sopra di esse le materie di cui sono cariche. Queste materie possono essere utili o nocive. Le piene grosse e lente dei grandi fiumi di lungo corso possono dare un limo fertilizzante; i torrenti dànno invece ordinariamente ghiaie e sabbie che isteriliscono le campagne.
Opere di difesa nei corsi d'acqua naturali.
Difese contro 1 piccoli torrenti di montagna. - I torrenti di breve corso, il cui alveo ordinariamente ha una pendenza molto sentita e presenta un canale neutro brevissimo o anche nullo, devastano, si può dire, per tutta la lunghezza del loro corso, erodendo e ingoiando i terreni nel tronco superiore e ricoprendo con alti strati di materiale i terreni coltivi inferiori. Tuttavia, quando concorrano certe condizioni, questo loro doppio lavoro di devastazione può anche cessare naturalmente, e cioè: a) l'erosione superiore può aver termine quando le acque, dopo asportati i terreni disgregati, abbiano messo a nudo la viva roccia, e questa sia di natura tale da non poter essere intaccata profondamente dagli agenti naturali; b) l'escavazione può anche cessare quando le scarpate del terreno eroso, tanto nel senso longitudinale quanto nel senso trasversale, si siano stabilite in modo da diminuire la velocità delle acque e da offrire ai materiali rotolanti piani leggermente inclinati, sui quali essi possano fermarsi e resistere alla spinta delle acque; c) in certi casi più favorevoli l'escavazione può cessare quando la natura stessa, approfittando di qualche lungo intervallo di tempo che fortunatamente trascorra fra due piene successive, ricopra il terreno di zolle erbose, di arbusti e, di alberi e lo rimetta così in condizione di poter resistere alla azione corrodente delle acque.
Nella parte inferiore non si avranno più depositi quando sia cessata l'erosione nel bacino superiore; ma i depositi possono anche cessare indipendentemente dall'erosione, quando la superficie del cono di deiezione, col progressivo accumularsi dei materiali depositativi, abbia acquistato una pendenza sufficiente perché i materiali trasportati dall'acqua non vi si possano fermare e vengano rotolati al basso fino all'alveo maggiore che percorre il fondo valle. Ma essendo quivi la pendenza ordinariamente minore, i materiali arrivati in basso si arrestano e sbarrano il corso delle acque creando nuove cause di danni.
Da tutto ciò si conclude che bisogna risalire alle origini del male, correggendo le condizioni del torrente nel suo tronco superiore, cioè paralizzando quivi l'azione corrodente delle acque col restituire al terreno la protezione naturale dei boschi, e col sistemare il corso del torrente mediante opportune opere, le quali, mentre ne addolciscono le pendenze, procurino al terreno quello stato di riposo che è indispensabile per favorire l'attecchimento e lo sviluppo della vegetazione.
Col rimboschimento vengono neutralizzate o almeno molto attenuate nei loro effetti le cause principali dei danni. Le opere da associarsi al rimboschimento sono essenzialmente le briglie o serre o traverse che si dispongono trasversalmente al letto del torrente per diminuirne la pendenza con salti opportunamente distribuiti lungo il percorso del corso d'acqua. Consolidati con queste opere il fondo e le sponde del bacino, l'erosione cessa, le acque diventano chiare, e più facilmente si avviano sul cono di deiezione, nel quale si aprono l'alveo da sé, oppure seguono quello per cui vengono avviate e mantenute con opportune opere. La distribuzione delle briglie deve essere studiata con criterio generale e complessivo, e non fatta in modo saltuario e disordinato. L'esperienza ha dimostrato che le correzioni parziali, fatte a scopi isolati, con criterî ristretti, non riescono efficaci.
Volendo correggere un torrente nel suo bacino di erosione, bisogna prima di tutto rilevarne il profilo longitudinale e quelli dei rivi affluenti: l'ispezione di questi profili serve a verificare quali sono i tratti da correggere. In secondo luogo bisogna determinare il limite di pendenza a cui deve essere ridotto il fondo dell'alveo nei tratti compresi fra i salti che si vogliono creare con l'erezione delle briglie, affinché l'acqua che vi passerà sopra non possa più corrodere né depositare materiali che soddisfino a determinate condizioni di peso e di dimensioni.
La determinazione di questo limite di pendenza, che si chiama pendenza di compensazione perché segna il limite fra le pendenze minori che producono il deposito e quelle superiori che producono lo scavo, è della massima difficoltà, inquantoché dipende da parecchie circostanze, quali la velocità dell'acqua, la sezione del torrente, la grandezza e il peso dei massi trasportati, ecc. e inoltre è principalmente nelle piene che avvengono le maggiori modificazioni dell'alveo, con fenomeni che sfuggono a un esame analitico. Di conseguenza la determinazione della pendenza di compensazione è teoricamente una questione molto indeterminata, e praticamente si semplifica procedendo per analogia, inquantoché, rimontando il corso di un torrente, s'incontrano quasi sempre dei tronchi nei quali la pendenza di compensazione si è stabilita naturalmente, e dall'esame locale riesce abbastanza facile determinarla.
Difese contro 1 corsi d'acqua sul fondo delle vallate e nelle pianure. - Per proteggere da corrosione le sponde di un corso d'acqua poco incassato si ricorre generalmente a fascinaggi, di legname o di muratura o di mantellate speciali, a seconda del materiale che si ha a disposizione e dell'importanza dell'opera da eseguire.
Queste opere si dicono radenti perché sono addossate alle sponde e il loro effetto è di semplice protezione delle sponde, senza influire sull'indole generale della corrente, la quale continua a conservare in ogni parte la direzione assunta per il proprio corso.
Per quanto si riferisce alle opere in verde si è riconosciuto che nelle località adatte, il metodo è efficace ed economico: ess0 consiste in piantamenti, fascinaggi, viminate, per lo più combinati insieme; questi legnami, se di essenza adatta (salice, ontano, pioppo), trovandosi a contatto dell'acqua germogliano e sviluppano in breve tempo una folta vegetazione, la quale oppone alla corrente una resistenza elastica assai più efficace della resistenza rigida delle opere murarie, contro le quali l'acqua urtando si divide, rimbalzando in parte in alto e in parte rivolgendosi al basso e quivi scavando. In qualche caso le sponde si rivestono con le cosiddette mantellate o corazze, formate da mattonelle compresse di cemento e sabbia, collegate fra loro da fili di ferro zincato in modo da ottenere una stuoia adagiata alle sponde da proteggere.
Altre opere di difesa sono quelle repellenti, dette comunemente speroni o pennelli, che protendendosi dalle sponde verso il corso d'acqua allontanano la corrente dalla sponda interessata. Molte volte le opere repellenti accompagnano quelle radenti. A sistemare il corso dei fiumi e dei torrenti in modo da impedire gli espandimenti delle acque di piena sulle campagne laterali, vennero proposti varî sistemi di opere inspirati a concetti differenti. Le une, come i bacini di ritenuta e i diversivi, mirano a diminuire la portata di piena, trattenendo le acque superiormente entro bacini moderatori e ritardandone così il deflusso al piano; oppure ripartendone il corso in più rami (diversivi). Le altre, come le arginature, le rettificazioni d'alveo, senza alterare la portata delle piene, si limitano a regolarne il corso, contenendo le acque entro ripari artificiali (argini), oppure avviandole più direttamente al basso per nuove vie più brevi (rettificazioni di alveo).
Ecco un cenno delle indicate opere:
Bacini di ritenuta. - Per impedire le inondazioni della pianura bisogna ritardarvi l'arrivo delle acque di piena, trattenendo a lungo queste ultime nelle regioni superiori, diminuendo così la portata nel corso inferiore del fiume. Questo concetto si esplica con l'impianto di serbatoi, o laghi artificiali, che si formano sbarrando gli alvei con dighe e creando a monte di queste dei laghi moderatori delle piene. Di simili serbatoi artificiali esistono molti esempî anche antichi; però nella maggior parte essi vennero creati per sopperire alle magre, ossia per immagazzinare acqua da erogare poco per volta a usi agricoli o industriali. Perciò questi serbatoi hanno ordinariamente capacità limitata rispetto allo scopo di evitare le piene dannose. In generale essi si collocano in regioni elevate, spoglie di colture e di abitazioni, dove per la naturale configurazione del terreno sia possibile accumulare, con spesa relativamente piccola un grande volume d'acqua mediante l'erezione di sbarramenti (dighe). Questi serbatoi costruiti a scopi agricoli o industriali si riempiono durante la stagione delle piogge e forniscono poi l'acqua occorrente nella stagione asciutta, oppure servono a regolare il deflusso del corso d'acqua rendendolo conveniente agli scopi industriali.
La portata dell'erogazione che alimenta l'irrigazione o l'industria è relativamente piccola e facile a regolarsi; gl'interrimenti che si formano nel bacino si espellono periodicamente in epoche opportune, per mezzo degli scaricatori di fondo delle dighe.
Tutto ciò costituisce un sistema equilibrato che può funzionare regolarmente, e a base di questo sistema stanno le dimensioni relativamente moderate del bacino. Ma un bacino costruito con dimensioni limitate non può esercitare sensibile influenza sulle piene, anzitutto perché, se collocato molto in alto, non raccoglierebbe che una parte minima delle acque che concorrono a formare la piena; e se collocato in basso non potrebbe più contenerle tutte; inoltre per l'accumulazione delle materie solide può avvenire che, nel momento del maggior bisogno, quando cioè il bacino dovrebbe funzionare come moderatore della piena, la sua capacità si trovi considerevolmente diminuita dalla presenza di tali depositi. Infine, se si colloca il bacino in basso non si fa altro che spostare il danno sommergendo in modo permanente teneni produttivi per sottrarre altri terreni a inondazioni periodiche e temporanee.
Da tutto ciò risulta che per applicare i bacini di ritenuta al regolamento dei fiumi in modo efficace, cioè senza perdere i vantaggi reali che essi possono offrire, sarebbe necessario collocarli nelle regioni elevate, con dimensioni limitate, moltiplicandone grandemente il numero, cioè costruendo un bacino per ciascuno dei piccoli torrenti che sono tributarî del corso principale.
Diversivi. - Un diversivo è un alveo artificiale che si apre per togliere dall'alveo naturale di un fiume una parte delle acque in tempo di piena. Tuttavia neppure questo sistema raggiunge lo scopo di migliorare le condizioni del fiume.
Ripartendo le acque in due alvei si ottiene bensì da principio un abbassamento nel livello delle piene, ma contro questo vantaggio, il quale non è che temporaneo, sorge l'inconveniente che la chiamata prodotta dal diversivo accelerando la velocità della corrente nel tronco immediatamente superiore all'origine del diversivo stesso, vi produce un'escavazione procedente da valle a monte e un conseguente aumento di pendenza, il quale, combinato con la diminuzione di pendenza a valle, conseguenza inevitabile della diminuzione di portata e di velocità del tronco inferiore all'origine del diversivo, dà luogo a ciò che si chiama un ventre di piena, i cui effetti possono essere disastrosi.
La già accennata diminuzione di portata e di velocità nell'alveo antico a valle del diversivo, promovendo l'interrimento, è causa di progressivo rialzamento del fondo, per il quale l'effetto del diversivo viene a essere col tempo diminuito e anche perduto. Infine per dare al diversivo la pendenza necessaria, bisognerà collocarne la presa piuttosto in alto, dove non tutte le acque di piena si troveranno ancora convogliate nell'alveo principale; quindi l'effetto del diversivo sarà in questo caso diminuito. È difficile poi determinare il punto di scarico del diversivo, specie se lo si immette di nuovo nel fiume. L'applicazione dei diversivi suole quindi limitarsi ai tronchi prossimi al mare e a quelli che attraversano le città con letti strangolati da ostacoli non rimovibili.
Arginature. - L'arginamento di un corso d'acqua naturale si può fare mediante argini longitudinali oppure con una serie di coppie di argini trasversali posti generalmente l'uno di fronte all'altro.
Gli argini longitudinali tolgono ogni comunicazione tra l'alveo e le campagne adiacenti sommergibili dalle piene, obbligando tutta l'acqua del fiume o del torrente a passare con maggiore velocità per una sezione più ristretta, che in generale si conserva costante per lunghi tratti e varia soltanto da una tronco all'altro, in relazione con la pendenza e in causa di altre circostanze locali che influiscono sul regime del fiume.
Gli argini trasversali, per contro, intestandosi per un'estremità al terreno insommergibile e avanzandosi con l'altra verso la parte mediana dell'alveo, determinano quivi un letto più regolare per il quale passa la corrente principale, ma lasciano ancora accessibili alle acque e ai loro depositi le due zone laterali sommergibili dalle piene, con questa sola modificazione allo stato naturale delle cose che le anzidette zone vengono a essere ripartite in tanti bacini, nei quali una parte delle acque è temporaneamente trattenuta stagnante per più lungo tempo e vi deposita con maggiore facilità e in maggior copia le materie solide.
Da tali diversità caratteristiche dei due sistemi di arginature si scorge come questi non si possano indifferentemente applicare agli stessi corsi d'acqua. Un fiume le cui acque non trasportino né ghiaie né sabbie può essere efficacemente sistemato, allo scopo d'impedire le inondaziorii in tempo di piena, mediante argini longitudinali, perché non vi è da temere che il fondo possa rialzarsi e divenire pensile sulle campagne. Se per contro le acque di piena scorrono con tale velocità da trasportare le anzidette materie, l'applicazione di argini longitudinali restringenti l'alveo, e determinanti una maggiore altezza e velocità nella corrente, sarebbe causa di corrosioni e di trasporto della ghiaia e della sabbia, con successivo deposito di queste materie a rialzamento progressivo del fondo nei tronchi inferiori. In simili condizioni naturali dell'alveo possono invece convenire gli argini trasversali i quali, purché tenuti a conveniente distanza, favoriscono con la formazione dei depositi naturali il progressivo alzarsi delle sponde e restringono alla zona centrale, lasciata libera dalle aperture, il dominio della corrente, la quale trovando nelle teste degli argini tanti ostacoli rigidi, li scava al piede incassando il proprio letto, senza che le materie scavate trasportate in avanti possano turbare il regime dei tronchi successivi, perché anche quivi esse possono depositarsi vantaggiosamente negl'intervalli laterali.
Gli argini longitudinali possono essere collocati in froldo, cioè presso le sponde naturali del letto ordinario del fiume, oppure in golena, cioè a una distanza più o meno grande dal froldo verso il limite esterno della zona sommergibile dalle piene. La buona riuscita dell'arginamento di un fiume, mediante argini longitudinali contenitori delle massime piene, dipende dalla giusta determinazione dell'altezza e della distanza di tali argini. Di questi due elementi il secondo è in generale dipendente da condizioni più complesse e vuole essere quindi fissato in precedenza; mentre l'altezza si determina dopo aver fissato la distanza.
Non conviene restringere troppo l'alveo; gli straripamenti per rotture di argini, che possono facilmente conseguire a un restringimento eccessivo di sezione, sono assai più disastrosi delle inondazioni prodotte dalle espansioni naturali del fiume non arginato. Il ravvicinare troppo gli argini può anche essere causa di dover accrescere oltre le previsioni l'altezza degli argini stessi, e anche la loro estensione longitudinale verso monte per ovviare agli effetti del rigurgito.
La relazione che lega la larghezza naturale dell'alveo di un fiume occupato dalle acque in piena e la larghezza ridotta per effetto dell'arginamento con le rispettive altezze dell'acqua, nell'ipotesi che per una data sezione trasversale dell'alveo la portata massima per 1″ di piena sia la stessa prima e dopo l'arginamento, si esprime così: i cubi dell'altezza dell'acqua prima e dopo l'arginamento risultano inversamente proporzionali ai quadrati delle larghezze.
Naturalmente i risultati che si ottengono dall'applicazione di questa legge sono soltanto approssimati, e in particolare si deve osservare che se, mediante argini longitudinali costruiti lungo un fiume, s'impedisce all'acqua di espandersi per la campagna laterale, si aumenta la portata massima di piena nei tronchi inferiori del fiume, cosicché nel tratto arginato l'altezza d'una piena risulta maggiore di quella calcolata.
Per quanto si riferisce agli argini trasversali appare chiaro che se essi si trovano nei tronchi superiori dei corsi d'acqua agiscono come bacini di ritenuta e possono in certi casi esercitare qualche influenza sul deflusso delle piene a vantaggio dei tronchi inferiori; però la loro azione nelle grandi piene è di intensità limitata e di breve dutata, e più che altro possono convenire: 1. come semplice correttivo di un arginamento longitudinale dei tronchi inferiori, riconosciuto difettoso per soverchio restringimento dell'alveo; 2. come difesa locale per attenuare, nei tratti stessi dove essi vengono impiantati, la violenza delle piene, e favorirvi il deposito delle materie a rialzamento delle sponde.
La determinazione della distanza e dell'altezza degli argini trasversali presenta maggiori difficoltà di quelle indicate per gli argini longitudinali. Se per questi ultimi non è dannosa una distanza in eccesso, per gli argini trasversali invece un'apertura eccessiva fra le teste (pignoni) di una stessa coppia può riuscire altrettanto dannosa quanto un'apertura insufficiente. Tale apertura dev'essere regolata in modo che le due teste della coppia, reagiscano contemporaneamente e in uguale misura sulla corrente, perché se una di esse reagisce prima dell'altra, la corrente, anziché attraversare l'apertura in direzione normale alla linea di essa, potrebbe essere avviata a investire contro l'argine opposto della coppia successiva e da quest'ultima contro la sponda opposta del fiume (fig. 2).
L'ampiezza dell'apertura va quindi determinata con accurate osservazioni sul regime del corso d'acqua, sull'ampiezza della sua sezione bagnata, specie in tempo di acque ordinarie e nelle mezze piene.
È pure difficile fissare le distanze fra le successive coppie, ciascuna delle quali dovrebbe collocarsi là dove sta per cessare l'effetto regolatore della coppia precedente.
Per tutti gli argini bisogna provvedere un adeguato franco. Riguardo alla forma, struttura e dimensioni degli argini ci limitiamo a rilevare che essi si fanno di terra, di sezione trapezoide, incastrandone la base nel terreno mediante immorsature a T che si dicono tombature (fig. 3).
L'altezza degli argini dipende dal loro scopo: si fanno argini insommergibili dalle piene massime, e argini bassi sufficienti a contenere le piene minori od ordinarie ma sommergibili dalle piene massime. Il corpo dell'argine è spesso rafforzato da prismi di terra costituenti l'antipetto o banca interna se situati dalla parte dell'acqua, e banche o sottobanche esterne se dalla parte opposta.
Le banche o sottobanche esterne sono utili per avere materie a piè d'opera per le riparazioni d'urgenza. La piattaforma superiore di un argine deve avere larghezza sufficiente al transito dei carri destinati al trasporto dei materiali per la costruzione dell'argine e le riparazioni. Le materie per la costruzione degli argini si prendono dalle adiacenze e possibilmente là dove gli scavi fatti possono presto venire riempiti dai depositi lasciati dalle acque.
Le materie più adatte per la costruzione degli argini sono le terre argillose costituite non da argilla pura, che si screpolerebbe, ma da argilla mescolata con una proporzione discreta di sabbia. Si deve poi ripulire la terra dalle sostanze organiche le quali, decomponendosi nell'interno dell'argine, lascierebbero dei vuoti che andrebbero poi allargandosi per opera delle filtrazioni.
Preparato il suolo e condizionata la materia da adoperarsi, la si dispone a strati orizzontali d'altezza variabile da 10÷20 cm. successivamente spianati e compressi. Questi strati (cordoli) si estendono a tutta la larghezza e alla massima lunghezza compatibile con le condizioni del cantiere di lavoro.
Gli argini vanno soggetti a degradazioni di carattere progressivo che possono poi dar luogo a rotture e a squarciamenti improvvisi che per lo più sono conseguenza di trascuratezza nel riparare le degradazioni progressive. Le degradazioni degli argini si manifestano sotto forma di cedimenti, fenditure, infiltrazioni, corrosioni e sfiancamenti. A ciascuna di queste forme corrispondono adatte riparazioni, sulle quali non è qui il caso di soffermarsi.
Avvenendo una rottura d'argine, l'ampiezza della breccia che vi si forma dipende dal dislivello esistente fra il pelo delle acque nell'alveo e il piano di campagna a tergo dell'argine, dall'estensione dei terreni sommergibili e dalla posizione dell'argine rispetto all'alveo naturale. Sugli effetti della rottura di un'argine influisce molto la sua posizione rispetto all'alveo, e facilmente si capisce che la rottura di un argine in froldo riesce più dannosa della rottura di un argine in golena. Il complesso delle opere che si eseguiscono per ripristinare un tratto d'argine squarciato si dice presa di una rotta.
Appartengono alla categoria degli argini anche quelle opere costruite a difesa dei rilevati stradali presso ai ponti, e chiamate argini di difesa degli accessi ai ponti. Di questi diamo un concetto sommario.
Quando le acque di un fiume divagano entro un letto non ben determinato, e nelle piene si espandono lateralmente invadendo le campagne adiacenti, avviene che il ponte stradale per l'attraversamento del fiume occupa generalmente soltanto una parte della sezione bagnata dalle acque di piena, e i tratti di strada che ne formano gli accessi, si trovano esposti al contatto di dette acque. Ne segue la necessità di provvedere, mediante opportune opere di difesa, a che le acque stesse non danneggino gli argini stradali che servono di accesso ai ponti né durante il loro ristagno a contatto dei medesimi, né allorquando esse vengono poi richiamate nell'alveo principale dall'abbassarsi del livello di piena entro quest'ultimo.
Le opere di difesa consistono nel rivestire le scarpate degli argini stradali con adatti mezzi per impedirne la corrosione, ma in molti casi si ricorre a opportuni argini che prendono il nome di argini a imbuto (fig. 4) oppure di argini a martello (fig. 5). In astratto la disposizione più efficace sembra essere quella della fig. 4 mediante una coppia di argini che staccandosi dalle due spalle del ponte vadano divergendo verso monte fino a intestarsi alle linee limiti del terreno insommergibile ai due lati dell'alveo. Questa disposizione non è anzitutto applicabile allorché la distanza fra i cigli insommergibili delle due sponde, cioè la larghezza dello specchio d'acqua di piena del fiume, è molto grande rispetto alla luce del ponte, cosicché l'eccessivo sviluppo degli argini risulterebbe di troppo costo, inoltre se vi è tendenza a corrodimenti profondi o a rialzamento del fondo, questi argini a imbuto riescono pericolosi perché esposti a essere scalzati alla base. Per queste ragioni si usano di preferenza gli argini a martello, i quali dipartendosi dai terrapieni d'accesso, si dirigono verso monte, convergendo verso il mezzo dell'alveo e lasciando quindi fra le loro estremità o pignoni una apertura che ordinariamente è di ampiezza uguale all'intervallo compreso fra le due spalle del ponte; tale apertura si trova a una distanza dal ponte uguale anch'essa press'a poco al suddetto intervallo.
Con questa disposizione le acque che ristagnano nelle insenature a tergo degli argini vi depositano più facilmente i materiali di cui sono cariche, promovendo il rialzamento graduale del fondo a vantaggio del ponte e dei suoi accessi; quando poi le suddette acque sono dal calare della piena richiamate nella parte centrale dell'alveo, esse si trovano costrette a defluire a ritroso, e perciò con velocità molto diminuita.
Raddrizzamenti d'alveo. - Quando al corso naturale di un fiume, serpeggiante con giri viziosi (lunate), o ramificantesi con isole interposte, si sostituisce uno sviluppo più regolare e più breve mediante incanalamento artificiale costituito da un unico rettifilo, o anche da più rettifili raccordati fra loro con curve ampie e regolari, si eseguisce ciò che si chiama raddrizzamento d'alveo. Se si varia anche lo sbocco o la foce, l'opera prende anche il nome di nuovo inalveamento.
Si chiama poi taglio ogni tratto del nuovo alveo, che ha i suoi due punti estremi comuni con l'alveo primitivo. Può occorrere talvolta di eseguire un semplice taglio isolato per correggere un breve tronco di alveo in dipendenza di esigenze locali; ma se si considerano i raddrizzamenti d'alveo come applicati a regolare le piene di un fiume, essi costituiscono per lo più un sistema complesso ed esteso, che ha per effetto di aumentare sopra un lungo percorso la pendenza media del fiume e di renderne il corso più regolare, diminuire le resistenze dovute alle risvolte e favorire così, con la maggior velocità delle acque, l'incassamento dell'alveo e il pronto defluire delle acque in piena.
Ma tali applicazioni non sono possibili dappertutto con eguale efficacia, e prima d'intraprenderle si deve porre ben mente alle condizioni del fiume e dei materiali che esso trasporta. Il raddrizzamento avendo per effetto di accrescere la pendenza del fondo nel tratto raddrizzato, produce quivi un aumento di velocità, e perciò una tendenza all'escavazione, la quale in virtù della forza acquistata dall'acqua potrà anche estendersi a valle per un certo tratto dell'alveo antico, finché in questo l'energia corrodente delle acque non si sia equilibrata con la resistenza del terreno.
Per tutta l'anzidetta estensione si avrà dunque un maggior incassamento del letto e un corrispondente abbassamento di livello di piena, e lo scopo dell'opera potrà apparire raggiunto. Ma più oltre le acque cominceranno a rallentare e, oltrepassato un certo tratto nel quale esse potranno ancora tenere sospese le torbide, si arriverà in fine a un punto, dove inevitabilmente esse cominceranno a depositare e a valle del quale si verificherà un alzamento progressivo del fondo e conseguentemente anche del livello di piena.
Ne consegue che i raddrizzamenti sono in generale pericolosi se praticati nei tronchi superiori, dove l'alveo sia aperto in ghiaia, perché con essi si viene a favorire il trasporto di questo materiale a rialzamento dei tronchi inferiori, peggiorando le condizioni di questi ultimi che sono già per loro natura più soggetti alle conseguenze delle piene.
Oltre a ciò la ghiaia stessa è anche di grave ostacolo al mantenimento della deviazione dell'alveo, perché essa vi forma accumulamenti irregolarmente sparsi che fanno deviare le acque in varie direzioni e le spingono contro le sponde; queste ultime, che sono in generale più corrodibili del fondo, vengono facilmente intaccate, e in seguito si trova che le acque hanno ripreso il loro antico corso tortuoso, o che per lo meno il nuovo rettifilo si è notevolmente deformato.
I raddrizzamenti non si possono quindi applicare efficacemente ai tronchi superiori se non quando le acque vi corrano chiare o, per lo meno, non trasportino che materie sottili.
Nei tronchi inferiori l'aumento di pendenza, che si traduce in aumento di velocità, non solo assicura l'incassamento del letto nel tratto accorciato, ma influisce anche favorevolmente sul tronco che precede, propagandovi l'escavazione per modo che ne consegue in entrambi un sensibile abbassamento del livello di piena.