Identikit del rifugiato
Quali sono, chi sono, dove vanno i migranti che bussano alle porte dell’Europa? L’attuale migrazione di massa ha posto la UE di fronte alla necessità di adottare misure concrete per la tutela dei rifugiati, in fuga dalle guerre e alla ricerca di una nuova vita, e per la loro equa distribuzione tra i paesi membri.
A metà agosto 2015, il commissario dell’Unione Europea responsabile per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha sostenuto che il mondo vive la più grave crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale e che l’Europa si trova a confrontarsi con un numero di arrivi di richiedenti asilo senza precedenti. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), nel 2015 il numero di persone costrette ad abbandonare il proprio habitat ha per la prima volta superato, a livello globale, la soglia di 50 milioni, di cui circa due terzi sfollati interni e un terzo rifugiati e richiedenti asilo. Infatti, il tema delle migrazioni e delle risposte politiche a questo fenomeno è diventato in molti Stati europei materia per le prime pagine di giornali e telegiornali. Si parla non tanto di movimenti migratori per motivi economici bensì di persone in fuga da guerre, persecuzioni e gravi violazioni dei diritti umani nei loro paesi di origine.
Già nel 2014 più di 600.000 persone hanno presentato una richiesta di asilo nei 28 Stati membri dell’Unione, con un aumento del 44 % rispetto all’anno precedente. Per il 2015 si prevede un ulteriore forte aumento, considerando che nei primi 5 mesi dell’anno il numero di nuove richieste d’asilo ha superato del 70% quello dell’anno precedente durante lo stesso periodo. Tuttavia, sono solo pochi i paesi che si trovano a confrontarsi con la responsabilità di ospitare numeri elevati di richiedenti asilo: Germania, Svezia, Italia e Francia hanno accolto, nel 2014, circa il 70% del numero totale in Europa.
Nel 2015 invece l’incremento più forte si sta verificando in Grecia, Ungheria e Austria, anche se in termini assoluti la Germania e l’Italia rimangono tra i paesi maggiormente interessati. Nella sola Germania, durante il primo semestre 2015, 180.000 persone hanno presentato una richiesta di asilo, quasi il doppio dello stesso periodo del 2014. Nella maggioranza degli Stati membri, invece, il numero dei richiedenti asilo rimane relativamente basso, invariato o perfino in diminuzione.
Ma chi sono queste persone, da dove provengono, quali sono gli elementi che li spingono a lasciare il proprio paese, ad affrontare viaggi spesso molto lunghi, incerti, rischiosi ed estremamente costosi? Nel 2014, più di 128.000 richiedenti asilo sono stati siriani. La guerra civile in Siria, iniziata nella primavera del 2011, ha provocato in un primo periodo un esodo solo verso gli Stati direttamente confinanti: Libano, Turchia, Giordania e Iraq. In questi paesi, dal 2013 a oggi, c’è stato un aumento costante di arrivi, spesso di intere famiglie, che ha portato il numero di profughi a circa 3,5 milioni, di cui la metà bambini. In Libano, i profughi siriani rappresentano nel 2015 una quarta parte della popolazione totale, una percentuale senza paragone nel mondo. I sistemi socioeconomici, abitativi e di fornitura idrica nel Libano ma anche in Giordania sono vicini al collasso. La mancanza di una prospettiva di poter tornare in Siria, di una soluzione politica del conflitto, di un ritorno alla normalità, assieme alle condizioni di vita sempre più difficili nei paesi di primo rifugio hanno successivamente motivato, dalla seconda parte del 2013, decine di migliaia di siriani a cercare una soluzione in paesi più lontani, in Europa. Vista l’impossibilità di ottenere un visto d’ingresso per l’Unione Europea e quindi di poter viaggiare in modo regolare, i siriani seguono diverse rotte per arrivare nel paese di destinazione, in maniera irregolare e di solito pagando trafficanti di persone.
Fino ai primi mesi del 2015 la principale rotta è stata quella di transitare attraverso l’Egitto e la Libia, di imbarcarsi in barconi di regola non adatti per la navigazione in alto mare e di arrivare in Italia. Più recentemente, però, l’utilizzo delle rotte che vanno dalla Turchia verso le isole greche del Mare Egeo, come anche quella ‘balcanica’ (Turchia-Bulgaria-Serbia-Ungheria), ha superato quelle verso la Sicilia. In Grecia, nel solo mese di luglio 2015 sono arrivati circa 50.000 richiedenti asilo, più che in tutto l’anno 2014, e la maggior parte di loro sono di origine siriana.
Per quanto riguarda le altre maggiori nazionalità tra i richiedenti asilo e migranti si constata una notevole diversità tra gli Stati di destinazione. In Germania e Austria il numero delle persone provenienti dai Balcani occidentali, Kosovo in testa, ha superato perfino quello dei siriani, nazionalità queste che solo in misura irrisoria figurano nelle statistiche d’asilo in Italia e in altri paesi. Viceversa, i nigeriani e i pakistani, tra le prime nazionalità dei richiedenti asilo in Italia negli ultimi 2 anni, non incidono numericamente in Germania, Belgio o Svezia. Cittadini cinesi sono da anni tra le prime nazionalità nel Regno Unito, ma, per esempio, sono assenti nelle statistiche dei richiedenti asilo in Italia o in Spagna.
Altrettanto variegati sono i tassi di riconoscimento della protezione internazionale rispetto alle nazionalità dei richiedenti. Siriani, eritrei e somali ottengono in pressoché tutti i casi asilo o un altro status di protezione. Invece, solo meno dell’uno per cento dei kosovari, come anche degli albanesi, macedoni o serbi, vengono riconosciuti come bisognosi di protezione e vengono ritenuti piuttosto migranti per motivi economici.
La distinzione tra le varie categorie di migranti secondo le motivazioni e le cause del loro espatrio viene stabilita dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione Europea, e quindi applicata in tutti gli Stati membri. La Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati fornisce la definizione universale del rifugiato come persona che teme di subire persecuzioni per motivi religiosi, etnici, politici, di nazionalità o per l’appartenenza a un determinato gruppo sociale, per esempio quello degli omosessuali. In Europa è stata introdotta dal 2004 una forma supplementare di protezione internazionale, la ‘protezione sussidiaria’, in particolare in favore di vittime di tortura o di trattamento inumano nonché di vittime di guerra. L’aspirazione a migliori condizioni di vita, i motivi economici, quelli di lavoro e anche quelli di natura ecologica non sono contemplati in queste definizioni.
In principio, tutti i cittadini provenienti da paesi non comunitari hanno il diritto di presentare una richiesta di protezione nell’Unione Europea, ma solo coloro che, sulla base di un’apposita procedura d’asilo, vengono riconosciuti hanno il diritto di ottenere un permesso di soggiorno e di lavoro. In numerosi Stati membri, inclusa l’Italia, la legislazione nazionale prevede una terza modalità di protezione, quella umanitaria, per la concessione della quale vengono prese in considerazione le possibili conseguenze personali e individuali di un rimpatrio forzato. In Italia, di 36.000 richieste d’asilo esaminate nel 2014 dalle competenti Commissioni territoriali è stata riconosciuta la qualifica di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra nel 10% dei casi, nel 22 % la qualifica per la protezione sussidiaria e nel 28% è stata concessa la protezione umanitaria. Nel 37% dei casi le richieste sono state dichiarate infondate.
Questi dati indicano la tendenza, osservata già da alcuni anni, per cui l’Europa si trova a confrontarsi non tanto con ondate di immigrati per motivi di lavoro bensì con arrivi massicci di persone che hanno bisogno di protezione. I vecchi e irrisolti conflitti nel Corno d’Africa, in Afghanistan, in Iraq si aggiungono a quelli più recenti in Siria, in Mali, in Ucraina, e ogni conflitto produce inevitabilmente lo spostamento forzato di popolazioni. Comunque, solo una piccola parte di questi spostamenti interessano l’Europa in modo diretto. La grande maggioranza dei profughi rimane o all’interno del proprio paese, come ‘sfollati interni’, o nei territori immediatamente confinanti. In Europa arrivano perlopiù i cosiddetti ‘rifugiati urbani’, persone che hanno le risorse sociali, culturali ed economiche per intraprendere lunghi viaggi verso paesi lontani.
Le sfide più importanti per l’Unione Europea sono da una parte ridurre il numero delle vittime, innanzitutto nel Mare Mediterraneo, attraverso la messa a disposizione per i rifugiati e richiedenti asilo di canali di ingresso regolari e protetti; dall’altra parte, assicurare una più equa distribuzione delle responsabilità e degli oneri per l’accoglienza di queste persone tra i vari Stati membri. Primi passi in questa direzione sono previsti dall’Agenda per l’immigrazione che la Commissione europea ha presentato nel maggio 2015.
Tuttavia, il pacchetto delle misure previste appare del tutto insufficiente, dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo, per far fronte in modo efficace a una questione che rischia di minare i valori portanti dell’Unione e di creare ulteriori tensioni nel dibattito pubblico e politico in molti Stati membri.
Impreparati all’emergenza
di Vincenzo Piglionica
Un’Europa impreparata ad affrontare l’emergenza, quando la scena non è addirittura dominata da leader politici che mostrano il pugno di ferro ed esprimono non solo l’obbligo della difesa dei confini, ma persino l’imperativo della tutela dell’identità cristiana del Vecchio continente, minacciata dal massiccio arrivo di profughi di religione musulmana. L’estate del 2015 ha messo a dura prova l’Europa e la tenuta stessa dell’Unione Europea, impegnata a cercare soluzioni al problema mentre le carrette del mare continuavano a solcare un Mediterraneo troppe volte trasformatosi in cimitero di uomini, donne e bambini, e la ‘rotta balcanica’ delle migrazioni via terra pareva perennemente sul punto di collassare. Nel mese di giugno, l’annuncio del governo ungherese: Budapest si dice pronta a erigere una ‘barriera fisica’ lungo il confine con la Serbia per arginare il flusso di migranti che di lì entrano in Ungheria, nell’UE e nell’area Schengen, mentre Bruxelles – dopo la presentazione a maggio di un’Agenda per l’immigrazione – tenta faticosamente di recuperare il valore della solidarietà non solo verso chi bussa alla sua porta, ma anche all’interno della stessa Unione, rispondendo alle richieste di aiuto di Grecia e Italia ormai provate dagli sforzi per la gestione dei flussi migratori. Con il Consiglio europeo del 26 giugno, viene raggiunto un accordo per la ricollocazione temporanea ed eccezionale – su un periodo di 2 anni – di 40.000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale, prevedendosi il loro trasferimento dall’Italia e dalla Grecia in altri Stati membri; il Consiglio dell’Unione Europea adotterà poi una decisione in tal senso il 14 settembre. Ad agosto la crisi in Macedonia, con il governo locale a dichiarare lo stato di emergenza in 2 regioni di confine e a chiudere per un breve periodo le frontiere con la Grecia: impossibile per la piccola repubblica ex-jugoslava sostenere la pressione dei flussi migratori. Intanto, continuano le tragedie, non soltanto in mare: il 27 agosto, al confine tra Austria e Ungheria, vengono recuperati dal retro di un tir i corpi senza vita di 71 profughi; mentre il giorno successivo un camion-frigo con targa italiana sarà fermato in Gran Bretagna e a bordo, nascoste, saranno trovate 27 persone. Dall’inizio dell’anno, poi, centinaia di migranti hanno cercato di attraversare l’Eurotunnel per raggiungere la Gran Bretagna.
Nei primi giorni di settembre, le fotografie che commuovono il mondo: il corpo del piccolo Aylan, riverso sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, invita alla riflessione. I migranti, dopo il blocco ungherese dei treni, si mettono in marcia verso l’Austria; la Germania dichiara di essere nelle condizioni di accogliere 500.000 migranti l’anno per alcuni anni. Il 22 settembre, il Consiglio dell’Unione Europea raggiunge un’intesa per l’istituzione di un meccanismo di ricollocazione – temporaneo ed eccezionale – dall’Italia e dalla Grecia di 120.000 migranti in evidente bisogno di protezione internazionale, arrivati nei 2 paesi da 6 mesi prima dell’implementazione della decisione fino a 2 anni dopo la sua entrata in vigore. In una prima fase, saranno ricollocate 66.000 persone, 15.600 dall’Italia e 54.600 dalla Grecia; le restanti 54.000 saranno ricollocate nelle medesime proporzioni a un anno dall’entrata in vigore della decisione. Votano contro la Repubblica Ceca, la Romania, la Slovacchia, l’Ungheria, si astiene la Finlandia. A seconda della situazione sul campo o di eventuali emergenze, potrà essere proposta una modifica della decisione; gli Stati membri riceveranno la somma forfettaria di 6000 euro per persona ricollocata. In questo quadro l’obiettivo dell’Italia, in prima linea nel soccorso ai profughi, resta il superamento del regolamento di Dublino, in forza del quale – se il richiedente protezione internazionale ha varcato illegalmente il confine di uno Stato membro – spetta a quest’ultimo esaminare la sua domanda di protezione.