TARGIONI, Idalberto
– Nacque a Firenze il 19 ottobre 1868 da genitori ignoti. Consegnato da una levatrice di via San Zanobi all’ospedale degli Innocenti, fu battezzato come Edelberto.
Durante l’infanzia venne affidato a famiglie contadine residenti nei pressi di Prunetta (a Casa Marconi, da Mazzina e Giovanni Gavazzi), Lamporecchio (a San Baronto, da Giuditta e Domenico Capecchi), Reggello (a Tosi, da Anna e Giuseppe Sacconi), con alcuni passaggi di famiglia non resi noti agli Innocenti. Più volte riportato all’istituto «perché non voleva fare il contadino» (Firenze, Archivio dell’Ospedale degli Innocenti, Balie e bambini 1868, F8a, p. 4a, 1.10.1868-31.12.1868, n. inv. 786, n. d’ord. 1814), dopo vari abbandoni e riconsegne, e oramai chiamato Idalberto, venne infine affidato ai Capecchi, proprietari di una casa modesta e di poca terra sul crinale del Montalbano.
Non frequentò scuole. Autodidatta, a dieci anni cantava e scriveva poesie ed era già apprezzato come lo stornellatore estemporaneo soprannominato il Bastardo e poi l’Usignolo.
In conflitto con il padre adottivo, nel corso di un’adolescenza fatta di duro lavoro e fughe, piccoli furti e una condanna, gioco d’azzardo ed episodi violenti, ostilità verso istituzioni e clero, a 17 anni lasciò la campagna. Tra il 1885 e il 1891 lavorò come operaio alla costruzione della ferrovia Firenze-Faenza e svolse il servizio di leva a Casale Monferrato. In quel periodo incontrò la politica e il socialismo della II Internazionale. A 23 anni tornò a San Baronto, riprese il lavoro della terra ma continuò a coltivare la passione per la poesia, le letture e la politica.
Nel 1895 pubblicò una prima raccolta di poesie popolari e si iscrisse al Partito socialista italiano (PSI). L’anno successivo si sposò con la contadina Amelia Vannacci (sorella di Afrisio, futuro podestà di Lamporecchio durante la Repubblica sociale italiana), con la quale aveva già avuto una prima figlia (Velia), mentre la seconda (Rita) sarebbe poi morta a nove anni.
In quel periodo le sue poesie si spostarono su temi politici e sociali, volti a diffondere il socialismo nelle campagne. Conosciuto come il Diavolo rosso, incarcerato per le proteste del 1898, fondatore della sezione socialista di Lamporecchio, venne eletto consigliere comunale nel 1901 in una lista popolare che includeva il suo amico Domizio Torrigiani, radicale, poi gran maestro del Grande Oriente d’Italia dal 1919 alla dissoluzione della massoneria.
Nel 1902 pubblicò un canzoniere di poesie sociali (Il Canzoniere: poesie sociali, Empoli), con testi che mostrano vicinanza al socialismo umanitario e positivista, e un anticlericalismo di matrice risorgimentale. Nel 1903 fu eletto segretario della Camera del lavoro di Pistoia. Sempre alla ricerca delle proprie origini, riprese contatti con le famiglie adottive; in una di quelle occasioni, il vecchio Gavazzi di Casa Marconi gli avrebbe riferito che la nascita era stata il frutto dell’«unione clandestina di un principe con una governante della Casa reale»: notizia non verificabile che però Targioni avrebbe poi reso pubblica nel Canzoniere di poesie sociali (Firenze 1912, p. IX).
Furono anni di intensa attività politica, sindacale e poetica per Targioni che iniziava a essere schedato dalle forze di polizia e che pure non esitava a tessere relazioni extraconiugali. Il rapporto con la moglie si incrinò e probabilmente ebbe un figlio non riconosciuto (Renzo). Nel 1909 conobbe a Firenze Sofia Bacarelli con la quale ebbe un figlio nel 1911, morto pochi giorni dopo il parto, e nel 1916 una figlia, Idalberta. La doppia vita costrinse Targioni, sempre in difficoltà economiche, a seguire le due famiglie per il resto della vita.
Intanto dispiegava la sua produttività poetica e letteraria. Tra il 1895 e il 1912 pubblicò più di venti opere, senza rinunciare alle improvvisazioni e ai canti in ottava rima, e svolse una fitta attività pubblicistica collaborando con molti periodici, tra cui La Martinella di Colle Val d’Elsa (dal 1899 al 1901), L’Avvenire di Pistoia (1901-15) e Vita Nuova di Empoli (1901-15), assumendo a più riprese l’incarico di direttore; nel 1908 fondò Il Risveglio del Montalbano, poi divenuto Risveglio della plebe e infine confluito nell’Avvenire, di cui fu direttore fino al 1912. Nel 1913 si candidò alle elezioni per la Camera al collegio Pistoia I.
Quello fino al 1914 fu il periodo d’oro del Targioni cantore, sindacalista e socialista, che alternava contraddittori, accademie in versi e dibattiti politici nelle locande, nelle piazze e nei circoli della Toscana, ma anche in altre regioni e all’estero, per i lavoratori emigrati in Svizzera e in Francia. A coronamento della peculiare belle époque di Targioni giunse, nell’anno della Settimana rossa, l’elezione a consigliere di minoranza nel Comune di Cerreto Guidi e, soprattutto, l’elezione a sindaco di Lamporecchio, all’epoca prima amministrazione socialista del circondario di Pistoia e una delle poche in Toscana.
Il neosindaco promosse un programma di governo riformista, con progetti di intervento su viabilità e infrastrutture, scuola e assistenza sanitaria, revisione delle imposte e trasparenza nelle decisioni, che a più riprese venne osteggiato da emendamenti prefettizi.
Nel 1914, scoppiata la guerra e con l’Italia neutrale, Targioni espresse in vari interventi una netta opposizione al conflitto; fece rinominare una piazza centrale del paese alla memoria del politico e pacifista francese «Giovanni Jaurès» (Lamporecchio, Archivio comunale, S. I.37 Consiglio 1913-1916, Adunanza 20 agosto 1914) e pubblicò una nuova opera antibellica, La conflagrazione europea. Poema antiguerresco (Firenze 1914).
Nella primavera del 1915, fu uno dei tanti arrestati per le proteste contro l’intervento. Accusato di essere l’ispiratore dei tumulti di Empoli tramite i suoi articoli, mentre la sottoprefettura di Pistoia chiedeva lo scioglimento del municipio per l’atteggiamento tenuto in occasione della partenza dei richiamati al fronte, fu nuovamente incarcerato. In prigione si sentì lasciato solo dai compagni, che non organizzarono proteste. Deluso dal socialismo e dall’Internazionale, dopo questo nuovo ‘abbandono’ Targioni sviluppò un forte risentimento verso gli ex compagni; annunciò di volersi ritirare a vita privata e di non seguire più il PSI.
Rilasciato dal carcere, sposò la causa dell’interventismo. In seguito scrisse una lettera al Nuovo Giornale di Firenze (17 maggio 1916, che a suo dire era già stata cestinata dall’Avanti!) per argomentare la sua conversione e, al contempo, presentò le dimissioni dalle cariche di consigliere comunale a Cerreto Guidi e di primo cittadino a Lamporecchio. Respinte le dimissioni per pochi voti, Targioni mantenne la carica di sindaco fino al 1919.
Dopo la svolta interventista, si avvicinò progressivamente alle posizioni di Benito Mussolini, divenendone un ammiratore, e sviluppò un odio implacabile verso i socialisti.
Nell’immediato dopoguerra, in un Paese in fibrillazione per il ‘risveglio dei contadini’ e ‘della plebe’ tanto auspicato anni prima dallo stesso Targioni, fu additato come «Convertito» e poi come «Traditore» (Lamporecchio, Archivio Targioni, scatola 4.27: Cinquant’anni della mia vita (Ricordi e memorie) 1920, la sua autobiografia dattiloscritta). Il 29 marzo 1919, pochi giorni dopo l’adunata di San Sepolcro, rese pubblica la sua adesione ai Fasci di combattimento. Il 20 aprile, sera di Pasqua, subì una contestazione dai socialisti al teatro Berni di Lamporecchio e il 14 giugno fu costretto a lasciare la carica di sindaco.
Fascista della prima ora, strenuo oppositore della giunta socialista eletta nel 1920 e sciolta dopo pochi mesi, concorse alla costituzione di varie sezioni, divenne segretario per quella di Lamporecchio, sostenne le azioni squadriste, fu tra gli oppositori al Patto di pacificazione dell’estate del 1921 e si affermò come un influente propagandista dei Fasci di combattimento nelle zone agrarie.
Con posizioni talvolta originali rispetto alla linea fascista prevalente in altre zone, sviluppò una dottrina autoritaria per le campagne, difendendo gli agrari e contrapponendo gli interessi di pigionali e braccianti a quelli dei mezzadri. Facendo leva sulla collaudata esperienza pubblicista, collaborò con numerosi periodici fascisti, tra cui Giovinezza (1921-23), La Riscossa (1921-22), L’Azione fascista (1922-23), Battaglia fascista (1924-26), e ne fondò due: L’Alleanza (1921) e L’Ordine (1922). Nel 1923 venne nominato segretario dei sindacati fascisti per l’agricoltura della Provincia di Firenze e nel 1924 fu eletto consigliere provinciale.
Negli anni di costruzione del regime, mentre anche il vecchio amico Torrigiani subiva la persecuzione fascista, Targioni abbandonò completamente l’attività poetica e solo nel 1930 avrebbe pubblicato un Calendario agricolo fascista (Firenze 1930). Ma nonostante l’impegno profuso con giri di propaganda e raccolte di fondi per il partito, i rapporti con gli apparati del Partito nazionale fascista si complicarono e vennero segnati da accuse di tradimento, delazioni, inchieste interne, riaffermazioni formali della propria onorabilità e fede fascista. Intanto, in privato, non esitava a ipotizzare vie di uscita dal partito, come mostra la corrispondenza privata (Lamporecchio, Archivio Targioni, S. 4.2.30, Idalberto a Velia, 3 maggio 1924; S. 4.1.15, Idalberto a Velia, 7 settembre 1928).
I testi pubblici e gli appunti privati redatti dal crepuscolare Targioni restituiscono l’immagine di un fascista che si sentiva incompreso, sempre alla ricerca di lavori per integrare le scarse entrate: un rancoroso uomo di regime che rinnegava le poesie del Diavolo rosso e tentava di rielaborare tanto l’esperienza socialista quanto le origini della propria vita, oggetto di una costante ricerca mai giunta a destinazione (ibid., S. 3.22, Idalberto Targioni. Educatore e organizzatore; S. 3.23.47, Rapidi cenni della mia opera Fascista dal 1916 al 1929). Nella seconda metà degli anni Venti, l’ormai stanco Targioni scomparve di scena. Ritirato quasi completamente alla vita privata, segnato da cattive condizioni di salute, l’uomo che era stato chiamato Bastardo, Usignolo, Diavolo rosso, Convertito e Traditore divenne un pentito che cercava conforto nella provvidenza. Ma anche questo nuovo credo sembrò sopraffatto dal pessimismo.
Morì a Lamporecchio il 25 maggio 1930, a poco meno di 62 anni, fiaccato dal progredire della malattia e dalle difficoltà economiche, e deluso dallo scarso riconoscimento ottenuto dagli apparati fascisti per il lavoro svolto presso i sindacati per l’agricoltura.
Il funerale si svolse con una cerimonia religiosa. Dopo, cadde nell’oblio. Solo negli anni Cinquanta un primo saggio (Guerrini, 1955) avrebbe rigettato luce sulla vicenda del poeta contadino che tanto aveva appassionato i lavoratori della terra a inizio secolo. Su una targa affissa sulla facciata della sua vecchia abitazione di San Baronto si può ancora leggere: «Qui Idalberto Targioni cedendo l’umile fatica alla terra madre ne traeva l’ispirazione per l’improvvisa, schietta poesia».
Opere. Fu autore di fogli volanti e pubblicò numerosi articoli sui periodici citati nel testo. Tra le opere, oltre a quelle già citate, cfr. almeno Canzoniere di poesie popolari, Pistoia 1895; Contrasto tra un prete democratico-cristiano e un contadino ascritto alla Lega di resistenza, Empoli 1902; Caprera: La casa e la tomba di Giuseppe Garibaldi: terzine, Pistoia 1904 (Pescia 1905); L’avvenire: canto epico del poeta estemporaneo Idalberto Targioni, Empoli 1905; Martiri del lavoro: sestine, Pistoia 1906; Gli scandali clericali, Pescia 1907; Agli emigrati italiani, Zurigo 1908; Civiltà borghese o tirannide capitalistica? Terzine, Firenze 1911; Per l’educazione della donna secondo la morale cristiana e socialista, Firenze 1911; Risposta per le rime alla canzone d’oltremare di Gabriele d’Annunzio, Firenze 1911; Canzoniere di poesie sociali, Firenze 1912; I miei Ricordi d’infanzia, ovvero I proverbi di mamma Giuditta, Firenze 1912; Vent’anni di propaganda e Cinque anni d’Amministrazione Socialista nel Comune di Lamporecchio, Pistoia 1920.
Fonti e Bibl.: L’Archivio e la Biblioteca Targioni, in attesa di collocazione, sono attualmente conservati presso la casa degli eredi a Lamporecchio. Firenze, Archivio dell’Ospedale degli Innocenti, Segnale di riconoscimento 1868, ott. II, M 1814; Recapiti di creature introdotte nel 1868, f. 135, 1868, n. inv. 1429, sotto n. 1757; Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato di Pistoia, Sottoprefettura, b. 60, f. 744 1918-1921; Lamporecchio, Archivio comunale, S. I.36-44; Firenze, Archivio dell’Istituto storico toscano della resistenza e dell’età contemporanea, Archivio Torrigiani, S. I Carteggio, I.20.1.
L. Guerrini, Un poeta estemporaneo, I. T., nella storia del movimento contadino dell’empolese, in Movimento operaio, VII (1955), 3-4, pp. 511-530; A. Morelli - L. Tomassini, Socialismo e classe operaia a Pistoia durante la prima guerra mondiale, Milano 1976, ad nomen; A. Morelli, T. I., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, a cura F. Andreucci - T. Detti, V, Roma 1978, pp. 6-13; L. Martini, In memoria di I. T. uomo prima tanto amato, poi tanto vituperato e, infine, troppo presto dimenticato, in Il Segno di Empoli, VI (1993), 21, pp. 8 s.; A. Nesti, Provincialia. Scavi sull’identità degli italiani, Firenze 1999, pp. 39 ss.; C. Poli, Lamporecchio nel primo Novecento. Quotidianità e istituzioni, Pistoia 2004; Ead., La vicenda del socialista T. e la nascita del fascismo a Lamporecchio, in Quaderni di Farestoria, XIII (2011), 2-3, pp. 133-141; R. Bianchi, Una storia, un archivio. I. T. nell’Italia tra ’800 e ’900, Firenze 2018.