ICONOCLASTIA o iconoclasmo (dal gr. εικών "immagine" e κλάω "spezzo")
Con questa parola è indicato quel movimento contro l'uso e il culto delle sacre immagini che fu provocato dall'imperatore bizantino Leone III Isaurico (717-741) e che, per oltre un secolo, agitò profondamente l'Impero e la Chiesa, dividendo i fedeli in due partiti avversi: quello dei fautori (iconoduli) e quello dei nemici delle immagini (iconoclasti).
Intorno alle cause e al carattere dell'iconoclastia varie sono le opinioni degli studiosi. Secondo alcuni quel moto fu determinato da ragioni esclusivamente religiose; secondo altri, da ragioni in prevalenza politiche e sociali. Diversi sono stati anche i giudizî espressi sul suo valore, considerandolo alcuni come un'odiosa persecuzione contro un uso consacrato dalla tradizione ecclesiastica, altri come un nobile tentativo di ricondurre il culto alla purezza primitiva. Le divergenze provengono, anche, dal fatto che le fonti di cui disponiamo sono unilaterali essendosi conservate solo le opere degl'iconoduli. Senza entrare in minuti particolari, fissiamo alcuni punti che ormai si possono considerare come assodati dall'indagine storica e che contribuiscono a chiarirne l'origine e gli scopi: 1. un'opposizione al culto delle immagini si era manifestata nel seno stesso della Chiesa sin dai primi secoli del cristianesimo e aveva dato anche origine ad atti di distruzione. Agl'inizî del secolo VIIl e prima dell'avvento di Leone al potere, erano del tutto ostili a quel culto i Pauliciani e i Monofisiti, i quali nelle provincie orientali dell'Impero costituivano un elemento importante della popolazione e una forza della quale lo stato non poteva non tener conto. 2. Il culto delle immagini là dove era in onore, specialmente in Costantinopoli, in Grecia e in alcune provincie dell'Anatolia, aveva assunto forme di mania religiosa che rasentavano l'idolatria. Ora, questa degenerazione del culto non soltanto era in contrasto con la retta dottrina della Chiesa, la quale vietava l'adorazione delle immagini considerando queste solo come un mezzo di edificazione del fedele, ma accresceva sempre più, a detrimento dell'autorità dello stato, l'ascendente del clero, in particolare dei monaci, sul popolo, mentre d'altro canto acuiva in certe regioni asiatiche il dissidio fra ortodossi ed eterodossi e favoriva la propaganda e l'avanzata dei musulmani. 3. Gl'imperatori iconoclasti, specialmente della dinastia isaurica, erano in genere uomini di profonda fede che rivolsero tutte le loro energie alla difesa del cristianesimo contro gli assalti dell'Islam e alla restaurazione interna dello stato. La riforma iconoclastica entrava nel piano di questa restaurazione. 4. Il moto, nei suoi diversi momenti, pur mantenendo ferma l'opposizione alle immagini, variò di contenuto e d'intensità; da principio fu rivolto quasi esclusivamente contro le degenerazioni del culto e non colpì se non coloro che con la forza o con atti di rivolta reagirono contro gli esecutori della legge. Crescendo l'opposizione e immedesimandosi questa nel monachismo, si passò a una radicale abolizione non solo del culto ma anche dell'uso delle immagini e a una violenta persecuzione contro gl'iconoduli. Attenuatasi poi la passione religiosa, la lotta fu diretta contro il monachesimo.
Il primo periodo corrisponde al regno di Leone III. Questi emanò due decreti iconoclastici: uno nel 726, l'altro nel 730. Quale fosse il contenuto esatto di quei decreti noi non sappiamo non essendoci essi pervenuti. Sembra che vi si ordinasse la rimozione di alcune immagini e se ne vietasse, in termini generali, il culto senza comminare pene speciali ai trasgressori. A ogni modo, il provvedimento suscitò una vera tempesta: si ebbero violenti tumulti a Costantinopoli e rivolte in Grecia e in Italia, dove furono uccisi alcuni funzionarî imperiali fra cui l'esarca Paolo. Il papa Gregorio II protestò altamente e il suo successore Gregorio III, in un concilio convocato a Roma nel 731, lanciò la scomunica contro i persecutori delle immagini. Anche il patriarca bizantino, Germano, disapprovò i decreti imperiali, mentre li accettarono non pochi vescovi, specialmente delle provincie anatoliche, e alti funzionarî civili e militari. Contro gli oppositori Leone procedette con fermezza: deposto Germano, elevò al patriarcato Anastasio che sottoscrisse il secondo decreto iconoclastico; punì i responsabili dei tumulti e dell'uccisione dei funzionarî pubblici; non avendo la possibilità di colpire il papa, staccò l'Italia meridionale, la Sicilia, la Dalmazia e l'Illiria dalla giurisdizione ecclesiastica di Roma subordinandole al patriarcato di Costantinopoli; ma non sembra che abbia proceduto né a una sistematica distruzione delle immagini, né a condanne d'iconoduli, per la semplice accusa di essere adoratori delle immagini. La persecuzione si scatenò sotto il regno del suo figlio e successore Costantino V (741-775). Deciso a portare a compimento la riforma iniziata dal padre, egli volle che l'iconoclastia apparisse non come un semplice provvedimento di politica imperiale, ma come l'instaurazione della retta dottrina della Chiesa. A questo scopo, nel 753, riunì a Hieria, sulla riva asiatica del Bosforo, un concilio perché deliberasse intorno al culto delle immagini. Al concilio parteciparono non meno di 300 vescovi e i lavori si prolungarono per circa sei mesi. Dai frammenti delle deliberazioni a noi pervenuti sembra che, più che una discussione in contraddittorio, nel concilio si facesse il processo contro le immagini e i fautori del loro culto. L'arte della pittura, in quanto riproduce il Cristo e i Santi, fu detta empia e sacrilega; il culto delle immagini, vera idolatria introdotta da Satana per profanare il cristianesimo; fu scagliato l'anatema contro il patriarca Germano, contro Giovami Damasceno, il più strenuo difensore di quel culto. Il decreto finale fu di severa condanna. Di questa deliberazione Costantino si servì in modo implacabile. Le immagini furono distrutte o ricoperte con altri disegni; i sostenitori del loro culto, perseguitati: molti di essi furono imprigionati e mandati a morte. Più che tutti furono presi di mira i monaci. Sfrattati dai loro monasteri, imprigionati o costretti ad abbandonare l'abito e a ritornare al secolo, privati dei loro beni, parve che si volesse distruggere totalmente l'ordine monastico. Le violenze contro di loro furono tante e così spietate che alcuni storici si domandano se in realtà la riforma iconoclastica avesse di mira la lotta contro le immagini o non piuttosto la guerra contro il monachismo. Leone IV (775-780) seguì le orme paterne: ma alla sua morte essendo, per la minorità di Costantino VI, passato il governo nelle mani della vedova Irene, s'iniziò un moto di reazione contro l'iconoclastia. Allontanati a poco a poco dalle cariche più importanti della Chiesa e dello stato gl'iconoclasti, riannodati i rapporti con Roma, Irene nel 786 convocò un concilio a Costantinopoli per riformare i decreti di quello del 753. Il concilio fu disperso da una sommossa dai soldati della guardia imperiale, ostili alle immagini, ma fu nuovamente adunato l'anno seguente a Nicea. In esso furono revocati i decreti del 754 e restaurato il culto delle immagini, con la riserva, però, che a queste si dovesse non l'adorazione ma la semplice venerazione. Ai monaci furono restituiti i monasteri confiscati, ma si procedette nello stesso tempo a una rifoma dei loro ordinamenti e alla condanna del traffico delle cose sacre (simonia). Non ostante queste deliberazioni, la lotta fra iconoclasti e iconoduli continuò: ma è impossibile delinearla, tanto la questione religiosa fu allora svisata e piegata ai fini politici nel contrasto fra Irene e il figlio Costantino VI. Il successore di questa, Niceforo (802-811), senza essere un iconoclasta, si dovette preoccupare della potenza acquistata dai monaci tanto che ne riprese la persecuzione rinfocolando i dissidî appena sopiti. La lotta riarse con veemenza sotto Leone V (813-820). Un nuovo concilio, da lui convocato nella chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli, rimise in vigore i decreti iconoclastici del 754 e furono prese misure severissime contro gli iconoduli. Ma la questione religiosa ormai non era se non un pretesto per colpire il partito monastico che in quel momento aveva una grande forza ed era diretto dall'abate del monastero di Studion, Teodoro. Ciò a cui si mirava da parte del monarca era di mantenere fermo il principio, che i suoi predecessori avevano sempre proclamato, d'intervenire negli affari ecclesiastici; da parte degl'iconoduli, di far trionfare, contro la secolare tendenza del cesaropapismo della corte, l'assoluta indipendenza della Chiesa di fronte allo stato. Gli atti di violenza cui si abbandonarono Leone V e i suoi due immediati successori, Michele II (820-829) e Teofilo (829-842) non furono meno gravi di quelli di Costantino V: il patriarca Niceforo deposto, Teodoro Studita esiliato, molti monaci uccisi oppure puniti con pene atroci, come il bruciamento delle mani per avere dipinto icone. Ma furono quelli gli ultimi guizzi della grande lotta. Ormai erano tutti stanchi e l'attaccamento del popolo e d'una grandissima parte del clero al pio uso di venerare le immagini era, dopo tante persecuzioni, più vivo che mai. Alla morte di Teofilo la moglie, che fu a capo dello stato quale reggente per il figlio minorenne Michele III, poté, senza incontrare resistenze, ristabilire il culto in un concilio convocato a Costantinopoli nell'843. Da allora il programma iconoclastico fu abbandonato.
Quali risultati ebbe la grande lotta? Nel punto principale, il culto delle immagini, fallì del tutto; ma, d'altra parte, essa fece trionfare il programma politico e l'assolutismo monarchico si affermò definitivamente sulla Chiesa orientale. Per l'arte, se da un lato furono distrutti icone, avorî, miniature, mosaici di pregevole lavoro, dall'altro si creò un nuovo tipo d'arte decorativa con scene profane, che rinnovò le antiche forme, diventate ormai trite, e migliaia di monaci e artisti, sfuggendo alla persecuzione, emigrarono nell'Italia meridionale, nella Cappadocia, in Armenia, nella Balcania, dove diffusero l'arte bizantina. Una conseguenza diretta dall'iconoclastia fu la perdita dell'esarcato di Ravenna che passò ai papi e l'acuirsi del dissidio fra la Chiesa romana e Bisanzio che doveva presto portare alla loro definitiva scissione. La perdita di parte dell'Italia, per quanto dolorosa per l'Impero, fu compensata dal rinnovamento interiore e dal ridestarsi dello spirito combattivo dello stato che ebbe un periodo di rinascita e di potenza nei secoli IX-X.
In Occidente la questione delle immagini ebbe anche ripercussioni teologiche. Costantino V cercò di conciliarsi i vescovi franchi; poi l'imperfetta traduzione degli atti del II concilio di Nicea provocò la reazione dell'episcopato franco espressa nei Libri carolini (v. carolini, libri) e nel secondo canone del concilio di Francoforte (794); confermata da un concilio di Parigi (825) essendosi Michele II rivolto a Lodovico il Pio. Contrarî alle immagini furono Agobardo di Lione (v.) e Claudio di Torino (v.); favorevole, tra gli altri, Walafrido Strabone.
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