CHALLANT, Iblet de
Figlio di Jean signore di Mont-Jovet, nacque nel secondo quarto del sec. XIV, probabilmente in Valle d'Aosta. Indicato spesso come il capitano di Challant, visse al servizio dei Savoia, segnalandosi per le sue doti militari e rivestendo un ruolo politico non trascurabile.
Pare abbia iniziato la sua carriera alla corte di Ottone IV di Borgogna. Comunque a partire dal 1351 risulta al servizio di Amedeo VI conte di Savoia, grazie anche, forse, ai buoni uffici interposti dal cugino Aimon de Challant, all'epoca balivo della Valle di Susa. Partecipò, da allora, alla maggior parte delle campagne militari del Conte Verde, anche se abbiamo soprattutto notizie sulla sua presenza in Piemonte nelle guerre che opposero, di volta in volta, la Savoia, l'Acaia, Saluzzo, il Monferrato e Milano. Lo Ch. combatté per il conte non come capitano di ventura, bensì come vassallo tenuto a servire il suo signore. Egli, che pur godeva di una certa autonomia nei propri possedimenti in Val d'Aosta, fu un servitore zelante ed attivo, pronto a trarre vantaggio dalle discordie locali per estendere i diritti e l'autorità del suo signore e sovrano. Ne ottenne, certamente, generosi compensi, tuttavia questa sua fedeltà costituì uno dei fattori preminenti nella lenta espansione sabauda sul versante orientale delle Alpi.
Uno dei primi importanti fatti d'arme del quale lo Ch. si rese protagonista fu la presa del castello di Castruzzone, sulla strada per la Valle d'Aosta a nord di Ivrea, allora appartenente al marchese di Monferrato, alleato di Giacomo d'Acaia contro il quale Amedeo VI era in guerra (1362). L'anno seguente fu nominato podestà di Ivrea, città nella quale il conte iniziò i lavori per la costruzione del castello. Accompagnò in Oriente Amedeo VI che, ritornato in patria, profittando della rivalità tra i Visconti e il Monferrato, si mosse contro il marchese di Saluzzo, dal quale pretendeva gli venisse prestato omaggio. Il successo di questa campagna fu merito, soprattutto, dei capitani di ventura; tuttavia anche lo Ch. vi contribuì di persona (marzo 1369). È intorno a questa data che egli fu nominato balivo della Valle di Susa e capitano generale in Piemonte. Ricoprì questo incarico per più di trent'anni, mentre il Piemonte era teatro di una guerra di scaramucce, resa endemica dalle rivalità locali e complicata dalla presenza di forti compagnie di ventura e dalle rivolte contadine. Lo Ch. dette prova di grande impegno e, pur invischiato in ogni sorta di difficoltà, seppe assicurare ai Savoia alcuni vantaggi.
Pur essendo continuamente impegnato da problemi di ordine militare, partecipò a vari negoziati: nel 1375, per esempio, quando Amedeo VI, appena conclusa la sua campagna italiana contro i Visconti, lo inviò presso Bernabò Visconti per trattare la ripresa dell'antica alleanza. Da Ivrea, ove sovente risiedeva, lo Ch. sostenne un partito savoiardo a Biella, città sotto il dominio del vescovo di Vercelli, e seppe abilmente profittare delle circostanze, riuscendo ad attrarre la città nella sfera di influenza sabauda.
Biella, nel corso dell'inverno 1376-77, si era ribellata contro il vescovo Giovanni Fieschi che aveva fatto arrestare alcuni cittadini biellesi. La popolazione riuscì, a sua volta, a imprigionare il vescovo, chiedendo poi la protezione dei Savoia per evitare di ricadere nelle mani dei Visconti. Lo Ch. offrì la sua mediazione per comporre la vertenza con il vescovo, che egli si fece consegnare quale ostaggio rinchiudendolo nel suo castello di Mont-Jovet. Dopo diciotto mesi di reclusione, il vescovo accettò di trattare e lo Ch. fu nominato podestà di Biella, che si dette al conte di Savoia il 6 ag. 1379.
Lo Ch. non fu direttamente impegnato nella spedizione che Amedeo VI condusse nel Regno di Napoli in favore di Luigi d'Angiò, che la regina Giovanna aveva designato quale suo successore, contro il pretendente Carlo di Durazzo. Nel corso dell'estate del 1382, mentre il conte era in viaggio, per terra, alla volta del Sud della penisola, lo Ch., che lo accompagnava, si fermò a Milano per concludere le trattative relative al matrimonio di Bernabò Visconti con la figlia di Luigi d'Angiò. Dopo aver raggiunto Amedeo VI a Bologna, si mise nuovamente in viaggio alla volta di Genova: colà era incaricato di proseguire i negoziati, al fine di stabilire la pace fra i Genovesi e il re di Cipro, ma soprattutto per assicurarsi la neutralità di Genova nel conflitto che stava per opporre il conte di Savoia a Carlo di Durazzo. Nel corso di questa disastrosa campagna, lo Ch. perse suo figlio Amedeo, che morì a Montesarchio (presso Benevento) il 28 febbr. 1383.
Dopo la morte di Amedeo VI e durante il governo di Bona di Borbone, la sua posizione non subì mutamenti. Certamente non prese parte alla campagna nelle Fiandre del 1383, come racconta il cronista Perrinet du Pin (cit. in F. G. Frutaz); l'anno successivo, tuttavia, egli si trovava nella zona del Vallese, dove comandava un centinaio di uomini, per sedare la rivolta contro Edoardo di Savoia Acaia, vescovo di Sion. Pur continuando la sua attività in Piemonte, lo Ch. fu, da allora, con maggior frequenza, a fianco di Amedeo VII, in particolare a Ripaille sulle rive del lago Lemano, ove risiedeva abitualmente la corte di Savoia.
Nel 1385 fu insignito dell'Ordine del Collare e nell'autunno del 1386 partì, al seguito di Amedeo VII, per raggiungere le Fiandre, dove era in preparazione una spedizione contro l'Inghilterra. Tuttavia, mentre i preparativi si trascinavano a rilento, lo Ch. fu impegnato in alcuni negoziati: insieme con il vescovo della Moriana, incontrò i rappresentanti di Filippo l'Ardito, duca di Borgogna, per discutere in merito alla questione del territorio del Vaud e soprattutto per cercare di ridurre i contrasti e porre le basi del matrimonio fra Maria di Borgogna, appena nata, e il futuro Amedeo VIII, che allora aveva due anni.
Tornato in Piemonte, lo Ch. dovette affrontare la rivolta antinobiliare, detta tuchinaggio, che dall'Alvernia e Linguadoca si era estesa alle valli alpine. Amedeo VII profittò dell'occasione per assicurarsi alcuni vantaggi; lo stesso Ch. riuscì a dirigere abilmente il movimento favorevole ai Savoia, e il 9 luglio 1387 ricevette nella cattedrale d'Ivrea, a nome del conte, l'omaggio di una decina di comunità della Valchiusa ribellatesi ai conti di San Martino. Malgrado le dettagliate informazioni forniteci dalle cronache dello Stato sabaudo, non è certa la presenza dello Ch. al momento della cessione di Nizza ai Savoia, nel 1388. Comunque sia, egli proseguì, da Ivrea, il tentativo di controllare una situazione politica resa confusa dal riaccendersi della rivolta antifeudale; fu allora che egli portò a termine la costruzione dell'imponente castello di Verrès, all'entrata della valle di Challant (1390). Lo stesso anno prese parte ad una missione a Milano, insieme con il vescovo della Moriana, allo scopo di stipulare un trattato di alleanza con Gian Galeazzo Visconti (17 febbr. 1390); quindi, insieme con Amedeo, discese ad Avignone, dove si trovavano il papa e il re di Francia.
Alla morte del Conte Rosso (1º nov. 1391) lo Ch. venne nominato subito consigliere di Bona di Borbone: tuttavia, a quella data, era impegnato a riportare la pace nell'Alto Vallese, contro il quale Amedeo aveva già preparato una spedizione. Lo Ch. riuscì a svolgere un'abile azione diplomatica e divenne balivo del Vallese, dopo aver ricevuto in pegno i castelli di Sion; la pace venne firmata il 24 nov. 1392.
Da tempo aveva assunto altri impegni: nel gennaio 1392, aveva ricevuto, in rappresentanza della contessa, l'omaggio dei nobili genovesi, in vista di un'espansione sabauda su Genova, che peraltro non riuscì a realizzarsi. In maggio si era incontrato con Gian Galeazzo Visconti, per trovare un accordo che ristabilisse la pace in Piemonte, e, al contempo, consultare a Pavia un giurista di fama in merito ai fatti di cui la contessa si sarebbe resa protagonista. Nella Savoia, infatti, cominciavano a diffondersi voci che accusavano Bona di Borbone di avere avvelenato Amedeo VII. Lo Ch. stesso era chiamato in causa, perché ritenuto uno degli organizzatori del complotto insieme con Oddo Grandson e Louis de Cossoney. Si dichiarò apertamente in favore della contessa: fu uno dei firmatari della convenzione del 27 apr. 1393, con la quale Amedeo d'Acaia si impegnava a rispettare le clausole del testamento di Amedeo VII, che affidava a sua madre la reggenza degli Stati sabaudi. Quando le parti si accordarono, l'8 maggio, lo Ch. era già membro del Consiglio della reggente, incarico tanto più importante dal momento che costei aveva perduto il potere reale.
Nei mesi che seguirono lo Ch. si impegnò con Odon de Villars, tutore di Amedeo VIII e membro, il più influente, del Consiglio, dopo Amedeo di Acaia, per ridurre progressivamente l'influenza di questo sul governo della Savoia. Malgrado tutto, il ruolo svolto dallo Ch. durante il periodo di Odon de Villars, che stabiliva di fatto l'egemonia di Filippo il Temerario duca di Borgogna, sembra alquanto modesto. Egli tornò in primo piano alla fine del 1398, quando assistette il conte Amedeo VIII al momento di ricevere l'omaggio dei signori di Dombes.
Dei problemi che assillavano il governo sabaudo troviamo, in primo piano, quelli riguardanti direttamente il Piemonte. Il marchese del Monferrato aveva assoldato il celebre condottiero Facino Cane, nella guerra che l'opponeva al principe di Acaia, soprattutto quando questi aveva conquistato Mondovì, l'11 luglio 1396. Malgrado i numerosi tentativi di mediazione, i combattimenti non cessavano e Facino Cane, che agiva di propria iniziativa, invase il Vercellese alla fine di gennaio del 1399, e per due anni e mezzo le sue truppe devastarono la regione, catturando i funzionari del conte per ottenerne il riscatto. Da Avigliana, di cui era castellano, lo Ch. condusse contro Facino Cane une guerra di logoramento, continuamente interrotta da negoziati, riuscendo, sembra con fatica, a controllare la situazione. Solo un riavvicinamento tra Savoia e Monferrato, favorito dalla morte di Gian Galeazzo Visconti, permise di ristabilire una relativa pace in Piemonte.
Fu allora che lo Ch., ormai anziano, dovette lasciare la carica di capitano generale a favore di Henri du Colombier; è possibile, tuttavia, che egli lo avesse già fatto nel 1398, in favore di Odon de Villars, nel momento in cui questi decadeva dal suo incarico di tutore di Amedeo VIII. Mantenne però, sino alla morte, la castellania di Avigliana e continuò a interessarsi delle vicende della Valle d'Aosta, che rimase, sempre, una delle sue preminenti preoccupazioni.
Aveva al suo attivo parecchie guerre private contro signori valdostani, in particolare contro i membri della famiglia di Quart; e nel 1363 Amedeo VI era dovuto intervenire per ristabilire la pace nella valle. Nel 1376, la guerra riprese contro Henri de Quart e lo Ch. arrivò a sollecitare l'intervento delle milizie comunali di Moncalieri. In seguito venne a contesa con il signore di Gruyère, che nel 1399 attaccò la sua scorta al passo del Gran San Bernardo: conseguenza probabile di dissensi intervenuti dopo la morte del Conte Rosso e la fine della reggenza di Bona di Borbone. D'altra parte, lo Ch. aumentò considerevolmente il suo patrimonio in Valle d'Aosta, il cui nucleo principale venne innalzato a contea di Challant, il 15 agosto del 1424, in favore del figlio Francesco.
Lo Ch. morì il 25 sett. 1409 (obituario di Pierre-Châtel) o, secondo altri, il 10 febbr. 1410. Sarebbe stato sepolto a Verrès, nella cappella S. Caterina che egli aveva fatto costruire nel 1407, all'interno della chiesa di Saint-Gilles.
Fonti e Bibl.: A. P. Frutaz, Le fonti per la storia della Valle d'Aosta, Roma 1966, ad Ind.; P. du Bois, Chronique de la maison de Challant, a cura di O. Zanolli, in Archiv. august., IV (1970), pp. 26 s.; J. C. Perrin, Inventaire des archives des Challant, I-IV, Aoste 1971-77, ad Ind.; O. Zanolli, Les testaments des seigneurs de Challant, Aoste 1974, pp. 74-93, 115 ss.; L. Vaccarone, I Challant e loro questioni per la successione ai feudi…, Torino 1893. tav. III; F. G. Frutaz, I. de Challant capitaine général en Piémont et gouverneur de Nice aux XIVe et XVe siècles, a cura di A. Zanotto, in Bibliothèque valdôtaine, I, Aosta 1963; E. L. Cox, The Green Count of Savoy. Amedeus VI and transalpine Savoy in the Fourteenth Century, Princeton 1967, pp. 86, 262, 264, 297 s.