Sadoleto, Iacopo
Figura emblematica della clericalizzazione della cultura italiana nella prima metà del Cinquecento, e per molte ragioni accostabile a Pietro Bembo – furono insieme servitori del «sacro lembo» di Elisabetta di Urbino e come tali ritratti insieme da Ludovico Ariosto (Orlando furioso XLII 86), poi segretari pontifici sotto Leone X e, infine, cardinali con Paolo III –, S. incarna il modello di umanista che la Chiesa seppe arruolare tra le proprie fila. Nacque nel 1477 nella Ferrara degli Estensi, da famiglia della nuova borghesia. Il padre, Giovanni (1440-1511), sposò Francesca Machiavelli quand’era giureconsulto a Modena, insegnò diritto a Pisa e poi a Ferrara su invito di Ercole I d’Este.
Nella biografia di S. si possono distinguere tre fasi: nella prima (1477-1527), dopo il discepolato presso Niccolò Leoniceno e l’approdo a Roma alla corte di Oliviero Carafa, iniziò per lui il lungo servizio nella cancelleria pontificia, come breviator e segretario dei papi Leone X e Clemente VII. Nella seconda (1527-36) si stabilì in Provenza, come vescovo della diocesi di Carpentras. Nella terza (1536-47) assurse alla porpora cardinalizia (1536), dividendosi tra Carpentras e Roma nel delicato decennio che preparò e poi avviò il Concilio tridentino. Il fatale 1527, con il sacco di Roma cui scampò per pochi giorni e che in una lettera al papa del 1° settembre interpretò come segno della «iracundia Dei», destinato a ripristinare «bonos mores et sanctiores leges» e come tale «non pessime actum» (cfr. Gouwens 1998, pp. 103-42, 213-15: che, a p. 172 nota 16, ipotizza anche un confronto con l’ultimo capitolo del Principe), costituisce un discrimine. Giova tuttavia precisare che l’immagine di S. rischia di riuscire distorta dalla fama di cardinale e controversista che si guadagnò nell’ultimo quindicennio della sua vita, quando dibatté con Filippo Melantone e Giovanni Calvino e fu chiamato nel gruppo di esperti del celebre Consilium de emendanda ecclesia (1536). Negli anni della sua formazione, del suo servizio in curia e anche dopo la sua ordinazione sacerdotale (1511) ed episcopale (1517), S. «continuò a considerarsi primariamente un filologo classico» (Douglas 1959, p. 33).
Il S. con cui anche M. ebbe a che fare era dunque il dotto umanista, il poeta virgiliano, l’estensore in latino ciceroniano della cancelleria pontificia, non certo il cardinale e teologo.
La sua fama letteraria si affermò quando celebrò in esametri il rinvenimento del Laocoonte (De Laocoontis statua, 1506), prefigurando anche per Roma una nuova rinascita e dando un ammirato saggio di ‘arte allusiva’ (cfr. Virgilio, Eneide II, vv. 199-227: Baxandall 2003; Wolkenhauer 2009). È invece ancora incipiente la riscoperta di S. come critico e teorico della poesia, quale appare in opere del tardo Cinquecento-primo Seicento, come nel De tragoedia di Bernardino Stefonio o nelle Prolusiones academicae (1617) di Famiano Strada, ove S. è rappresentato come giudice in un’immaginaria competizione poetica (Lucioli 2011). E se si dovrà rinunciare a vedere in lui, come a lungo si è creduto, il consulente di Raffaello per la Scuola di Atene (così Douglas 1959, p. 19, su una vecchia ipotesi di Ludwig von Pastor), non v’è dubbio ch’egli fosse a Roma, anche grazie alla protezione di Federico Fregoso, tra gli intellettuali più influenti. E furono proprio le sue virtù di ciceroniano a valergli nel 1513 la nomina di segretario domestico di Leone X. Di qui in poi la sua produzione fu monopolizzata dall’attività cancelleresca, nella quale è arduo comprendere quale spazio di autonomia egli avesse e fin dove non fosse soltanto il traduttore latino della politica altrui. Buona parte delle comunicazioni del papa passavano, infatti, per la sua penna. Sotto Adriano VI, S. si trasferì per alcuni mesi a Carpentras (1523), ma già nel gennaio successivo il nuovo pontefice Clemente VII lo richiamò ai suoi antichi uffici. In questo secondo mandato S. godette di maggiore autonomia, si fece interprete di una politica spiccatamente neutralista tra Francia e impero, sconfitta però dall’imporsi della linea filofrancese che portò alla lega di Cognac e alla rotta di Pavia.
È in questa fase che cade la corrispondenza con M. (se ne conserva una lettera di S. del 6 luglio 1525: Lettere, p. 393). Superate alcune incertezze documentarie (la lettera è stata a lungo nota con un errore di datazione) e interpretative (cfr. Tommasini 18831911, 2° vol., p. 783, che equivoca le ragioni della discesa a Roma di M.), il contesto si lascia ora ricostruire con chiarezza, nel triplice rapporto tra M., la curia e Francesco Guicciardini. Durante la visita che rese al pontefice alla fine del maggio 1525 per offrirgli le Istorie fiorentine, M. presentò anche un progetto di milizia che potesse garantire la difesa della Romagna dopo la disfatta di Pavia. La proposta, gradita sulle prime al papa, fu quindi sottoposta al «Presidente» della Romagna, Guicciardini, allora a Faenza. Il 6 giugno S. stilò un breve papale che invitava Guicciardini ad accogliere «dilectum filium Nicolaum Malchiavellum», a considerare «diligentissime» il suo progetto e a comunicare quindi a Roma le sue valutazioni «per litteras secretiores». In mancanza di un «ordinarium remedium» il papa si diceva infatti convinto di dover ricorrere «ad consilia inusitariora»: in gioco c’era la salvezza «tum totius Italiae ac prope universae Christianitatis» (F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, 10° vol., 2008, nr. 2452). Guicciardini venne subito preavvertito dal suo agente a Roma Cesare Colombo, cui il 18 giugno chiese maggiori ragguagli, per capire innanzitutto se il progetto andasse inteso «per remedio a’ pericoli presenti», nel quale caso «non può essere a tempo», o su un orizzonte futuro (Le lettere, cit., nr. 2462). Ricevuta la visita di M. a Faenza, tra il 21 e il 23 giugno Guicciardini formulò in due diverse lettere a Colombo le sue perplessità. Nella prima, pur non avendo alcuna obiezione a «mectere l’arme in mano a’ popoli», e giudicando l’idea di M. «una delle più utile e delle più laudate opere che Sua Beatitudine potessi fare», la riteneva tuttavia irrealizzabile. La provincia di Romagna era «molto male conditionata a una cosa simile per le inimicitie crudele che ci sono»; divisa «in due factione intere», disunite internamente e «volte a’ principi forestieri». In una parola: «la Chiesa non ha amici in Romagna» (Le lettere, cit., Appendice, nr. 2466). La seconda lettera, concepita perché fosse mostrata al papa, riformulava le medesime osservazioni, precisando ancor meglio che il progetto avrebbe richiesto spese che le popolazioni non potevano sopportare; che allo stato attuale non si poteva contare «in su una generatione di persone che non siano maculate dalle parte» e osservando che lo stato della Chiesa era caratterizzato da una perenne instabilità, per cui «nessuno presuppone le cose ferme» (Le lettere, cit., nr. 2466). Ricevuta questa dettagliata controargomentazione, il pontefice lasciò cadere il caso in una paralizzante irresolutezza, mentre a Faenza tanto M. quanto Guicciardini attendevano una decisione in un senso o nell’altro. Il giorno 29 (ma la lettera è perduta) M. scrisse quindi a S. per sapere se e come procedere, ricevendone, con data 6 luglio, una risposta tanto calorosa nei modi quanto dilatoria nei fatti: il papa, infatti, aveva detto a S. «che ci voleva ancora un poco pensare», e ordinava «che io vi scriva che soprassediate». Allo stesso S., sempre per tramite di Colombo, tornò ad appellarsi Guicciardini, ricordando l’8 luglio che «el Machiavello et io aspectiamo la resolutione ultima o per mano del Sadoleto o di altri», e poi ancora il 12 luglio, invocando «la resolutione per el Machiavello; la quale non havendo havuto a questa hora, sollecitarete el Sadoleto, perché lui qua non sa che fare» (Le lettere, cit., nrr. 2472 e 2473). Dopo altri giorni di attesa, M. lasciò Faenza e il progetto venne abbandonato definitivamente: «Il Machiavelli guardava lontano, vicino il Guicciardini; il Papa, secondo il solito, non si sarebbe potuto risolvere se guardar vicino o lontano» (Ridolfi 1969, p. 333).
La lega di Cognac, l’avversione di S. a una politica ostile a Carlo V, il precipitare degli eventi fino al sacco di Roma, segnarono una frattura nella vita di S., il trasferimento a Carpentras e l’inizio di una fase che al lettore di M. interesserà solo per cacumina. In Provenza sarà immerso nell’amministrazione della diocesi, ma troverà anche il tempo per una vigorosa attività di studio. Ed è proprio in questa fase che agli studi umanistici si aggiunsero spiccati interessi teologici. Tra il 1525 e il 1528 uscirono due commenti scritturistici, sui Salmi 51 e 93: studiati da Erasmo, sprezzati da Martin Lutero, caratterizzati, come a taluno è sembrato, da un «antigiudaismo teologico» (Gesigora 1997, pp. 121-26), certamente debitori della tradizione esegetica greca (Mercati 1949). Letture di Giovanni Crisostomo, sulle edizioni promosse da Gian Matteo Giberti, sono peraltro testimoniate nelle lettere a Erasmo, che a lui dedicherà il suo Basilius graecus (epist. 2611, 22 febbraio 1532). Dell’Umanesimo cristiano di S. sono quindi testimonianza il trattato De liberis recte instituendis (1533), che lo consacrerà tra i più influenti pedagogisti moderni, e l’impegnativo dialogo De laudibus philosophiae, articolato in due parti (Phaedrus e Hortensius), che accenderà un vivo dibattito con due cardinali come Reginald Pole (→) e Gasparo Contarini. Da questi nomi, e ricordando poi ancora i contatti con Giberti e più tardi con Giovanni Morone, si intende che S. andava a mano a mano schierandosi con l’ala moderata e dialogante della Chiesa. Nondimeno alcune sue posizioni finivano per metterlo in difficoltà su entrambi i fronti. È sintomatico che i suoi In Pauli epistolam ad romanos commentariorum libri tres (1535) scontentassero d’un lato Erasmo, dall’altro dettassero sia a Roma sia a Parigi una condanna per pelagianesimo. Nel 1536 S. fu richiamato a Roma da Paolo III, investito del cappello cardinalizio e nominato nel gruppo di lavoro per il Consilium de emendanda ecclesia (presentato il 9 marzo del 1537, non all’unanimità, ma con relazione di minoranza dello stesso S.). Di qui in poi S. cominciò un intenso dialogo con il mondo della protesta, che non trovò l’udienza sperata nei suoi interlocutori e gli alienò per converso molte simpatie nella Chiesa: oltre a una lettera a Melantone nel 1537 e a una Epistula ad senatum populumque Genevensem del 1539, cui rispose Calvino in persona, spicca una lettera a Johann Sturm che valse a S. persino l’ingresso nell’Indice dei libri proibiti del 1559. Con il fallimento dei colloqui di Ratisbona (1542), la preparazione del Concilio e il dilagare di idee ereticali in Italia, S. si avviò a una progressiva marginalizzazione. Anche sul fronte dottrinale, come sull’articolo della giustificazione (De justitia nobis inhaerente, 1541) le sue posizioni si fecero sempre meno concilianti. Nel marzo del 1545, per ordine del papa, lasciò la Provenza per recarsi per l’ultima volta a Roma. Vi morì due anni dopo, il 18 ottobre del 1547, commemorato da un’orazione funebre di Gian Pietro Carafa. Così l’amico di Pietro Bembo, l’elegante ciceroniano al servizio della Chiesa, l’umanista teologo che aveva cercato un dialogo con i protestanti fino a esporsi alla censura e a una postuma condanna all’Indice, finiva per essere celebrato sulla tomba dal futuro capo dell’Inquisizione romana.
Bibliografia: Raccolte maggiori: Opera quae extant omnia, 4 voll., Veronae 1737-1738; Epistolae Leonis X. Clementis VII. Pauli III. nomine scriptae. Accessit Antonii Florebelli de Vita ejus dem Sadoleti commentarius et epistolarum liber, Romae 1759; Epistolae quotquot extant proprio nomine scriptae [...], 3 voll., Romae 1760-1764; Lettere del card. Iacopo Sadoleto e di Paolo suo nipote [...] pubblicate da A. Ronchini, Modena 1872. Opere singole: De Laocoontis statua (1506), hrsg. G. Maurach, 2008, http://archiv.ub.uniheidelberg.de/artdok/407/1/Maurach_Fontes5.pdf (10 maggio 2014; trad. it. in S. Maffei, La fama di Laocoonte nei testi del Cinquecento, in S. Settis, Laocoonte. Fama e stile, Roma 1999, pp. 85-228, in partic. pp. 119-22); Elogio della sapienza. De laudibus philosophiae, trad. e note a cura di A. Altamura, introduzione di G. Toffanin, Napoli 1950; J. Sadoleto, G. Calvino, A reformation debate: Sadoleto’s letter to the Genevans and Calvin’s reply [...], ed. with an introduction by J.C. Olin, New York 1966; J. Sadoleto, G. Calvino, Aggiornamento o riforma della chiesa? Lettere tra un cardinale e un riformatore del ’500, a cura di G. Tourn, Torino 1976. Si veda inoltre: F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, 10° vol., 1° maggio 1525-20 giugno 1526, Roma 2008.
Per gli studi critici si vedano: O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, 2 voll., Torino-Roma 1883-1911 (rist. anast. Bologna 1994-2003); G. Mercati, Un Salterio greco e una catena greca del Salterio posseduto dal Sadoleto, in Miscellanea Pio Paschini, 2° vol., Roma 1949, pp. 205-11; R.M. Douglas, Jacopo Sadoleto, 1477-1547. Humanist and reformer, Cambridge (Mass.) 1959; W. Reinhard, Die Reform in der Diözese Carpentras unter den Bischöfen Jacopo Sadoleto, Paolo Sadoleto, Jacopo Sacrati und Francesco Sadoleto, 1517-1596, Münster 1966; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, 2 voll., Firenze 19693; G.P. Maragoni, Sadoleto e il Laocoonte. Di un modo di descrivere l’arte, Parma 1986; G. Gesigora, Ein humanistischer Psalmenexeget des 16. Jahrhunderts: Jacopo Sadoleto (1477-1547), Frankfurt a. M. -Berlin-Bern-Wien 1997; K. Gouwens, Remembering the Renaissance. Humanist narratives of the sack of Roma, Leiden-Boston-Köln 1998; M. Baxandall, Words for pictures. Seven papers on Renaissance art and criticism, New Haven-London 2003 (trad. it. a cura di F. Peri, Torino 2009, pp. 118-38); M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suo processo di eresia, nuova ed. riv. e ampliata, Brescia 2005; A. Wolkenhauer, Virgil, Sadoleto und die ‘Neuerfindung’ des Laokoon in der Dichtung der Reinaissance, in Laokoon in Literatur und Kunst, hrsg. D. Gall, A. Wolkenhauer, Berlin-New York 2009, pp. 160-81; R. Osculati, Etica personale e vita pubblica: Iacopo Sadoleto (1477-1547) commentatore della Lettera ai Romani 12-13, in Vita pubblica e vita privata nel Rinascimento, Atti del XX Convegno internazionale, Chianciano Terme-Pienza 21-24 luglio 2008, a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze 2010, pp. 357-71; F. Lucioli, Jacopo Sadoleto e la teoria della poesia tra Cinquecento e Seicento, in Testo e metodo. Prospettive teoriche sulla letteratura italiana, a cura di D. Monticelli, L. Taverna, Tallinn 2011, pp. 49-85.