PASSAVANTI, Iacopo
PASSAVANTI, Iacopo. – Nacque a Firenze, in una data imprecisabile, che si pone tuttavia intorno al 1302, da Banco e Francesca dei Tornaquinci.
È plausibile sia entrato nell’Ordine domenicano, presso il convento fiorentino di S. Maria Novella, verso il 1317-18. Dei primi studi, presumibilmente regolari, non si sa nulla. Nel 1330 venne inviato a completare l’istruzione nello Studio generale domenicano di S. Giacomo a Parigi. Del soggiorno parigino non si hanno notizie specifiche: studiò di sicuro teologia, e probabilmente apprese le arti liberali. Non se ne conosce neppure la durata, ma secondo le norme dell’Ordine non poteva superare il triennio. In un intervallo compreso tra il ritorno da Parigi e il 1346 cadono, senza per altro se ne possano stabilire le date, suoi lettorati a Pisa, a Siena e a Roma (a S. Maria sopra Minerva) e i priorati di Pistoia e di San Miniato al Tedesco. È sicura al contrario la designazione nel 1340 (capitolo provinciale di Pisa) come predicatore a S. Maria Novella e l’altra nel 1343 (capitolo di Gubbio) quale predicatore generale. Nel 1348 fu incaricato dal consiglio di S. Maria Novella di scegliere tra i libri dei frati morti durante la peste quelli che giudicasse utili alla libreria di recente istituzione. Egli stesso contribuì al suo accrescimento con volumi suoi, come informano alcune note di possesso autografe pervenuteci (Pomaro, 1980, p. 466).
Tra i numerosi uffici di fiducia di particolare importanza di cui venne investito vi fu quello di «operarius» (preposto) della fabbrica di S. Maria Novella: ne dà testimonianza il Necrologium, in cui si legge come «hic propter suam industriam factus fuit operarius ecclesie nostre, quam tantum promovit, magnificavit et decoravit in multis scilicet testudinibus pluribus et picturis, ut nullus unquam operarius tantum fecerit in eadem» (Orlandi, 1955, p. 89). Nessuna fonte indica l’anno in cui assunse l’impegno, tuttavia, ragionevolmente dovette intervenire negli ultimi lavori, per il completamento della chiesa. In particolare, un documento del 1348 prova come a questa data avesse fatto eseguire le pitture della cappella maggiore a spese dei Tornaquinci. Al 22 luglio 1348 risale il testamento di Turino di Baldese, un mercante di stoffe di lana, il quale, designandolo esecutore testamentario, dispose un lascito di 1000 fiorini d’oro affinché si dipingessero alcune storie dell’Antico Testamento, i cui soggetti dovevano essere scelti proprio da Passavanti. L’8 ottobre dello stesso anno Turino aggiunse al testamento un codicillo con cui gli assegnava 270 fiorini d’oro, in aggiunta a 30 già elargiti, da impiegarsi nella costruzione della porta maggiore della chiesa. Passavanti collaborò anche al perfezionamento del grande refettorio antico, devolvendo 20 fiorini d’oro per l’ornamentazione (probabilmente l’affresco sulla parete di fondo raffigurante Madonna in trono e santi; nella piccola figura di frate ai piedi della Vergine si vuole riconoscere il suo ritratto in veste di committente). Ma l’intervento più significativo parrebbe essere stato quello relativo alle pitture del capitolo (attuale cappellone degli Spagnoli).
Per queste aveva istituito un fondo (testamento del 9 agosto 1355) l’amico Mico (Buonamico) di Lapo Guidalotti; le realizzò Andrea Bonaiuti all’incirca un decennio più tardi, quando Passavanti era già morto (1366-68), però la tradizione vorrebbe che quest’ultimo ne fosse stato l’ispiratore, e l’ipotesi non è peregrina poiché l’alto contenuto dottrinale e simbolico del progetto iconografico (una complessa glorificazione dei domenicani), trascendendo la cultura degli artisti del tempo, autorizza a postulare la partecipazione, come spesso accadeva, di un dotto esponente dell’Ordine.
Il Necrologium afferma che fu «annis pluribus» vicario del vescovo di Firenze Angelo Acciaiuoli (1342-54), ma non è concesso stabilire di quali anni si tratti: l’unico atto in cui Passavanti compare come vicario è un decreto del 1350.
I documenti, dopo il rientro da Parigi, fanno propendere per una sua dimora stabile in Firenze. Tra le rare eccezioni, il viaggio a Roma per il giubileo del 1350 (se ne accenna nello Specchio) e un passaggio a Bologna nel 1353 (da porsi in relazione con la nomina a vicario del maestro generale dell’Ordine nella provincia della Lombardia inferiore, al fine di visitarne e di riformarne alcuni conventi: Necrologium, in Orlandi,1955, p. 89). Il Necrologium accenna anche a un incarico quale «diffinitor capituli provincialis»: forse, il capitolo provinciale di Firenze del 1356. Sicuramente, invece, nel 1355 diventò priore di S. Maria Novella; per meno di un anno, poiché nell’agosto 1356 il nuovo priore era già eletto. Allo stesso 1356 risale l’ultima commissione, che si evince da una lettera (3 maggio 1356) indirizzata da Nicola Acciaiuoli, gran siniscalco del Regno di Napoli, al cugino Iacopo, amico di Passavanti; lettera in cui è questione di «cure» (per altro non meglio specificate) affidategli nell’ambito della fabbrica della Certosa di Firenze al Galluzzo.
Secondo quanto riporta il Necrologium, Passavanti morì a Firenze il 15 giugno 1357. Per uno speciale riguardo fu inumato separatamente dal sepolcro comune dei frati, davanti alla cappella maggiore di S. Maria Novella, in una tomba pavimentale che, dopo il restauro del 1860, non esiste più.
Un’annotazione posteriormente aggiunta nel Necrologium informa: «Hic composuit Speculum penitentie et plura alia». Oggi, alcuni di questi scritti cui pare alludersi sono da ritenersi perduti. È il caso dei Sermones festivi et dominicales Passavanti e dei Sermones fratris Jacobi Passavantis segnalati nell’inventario quattrocentesco della biblioteca di S. Maria Novella (Pomaro, 1982, p. 336). A lungo gli vennero anche ascritti i volgarizzamenti di una omelia pseudo-origeniana e di quattro concioni tratte da Livio, ripetutamente stampati in appendice allo Specchio, la cui inautenticità per altro risulta ormai acclarata. Labilissime le prove a sostegno dell’attribuzione di un volgarizzamento della Bibbia e di un suo coinvolgimento nella raccolta e nel perfezionamento dei volgarizzamenti di Domenico Cavalca. Tra le opere dubbie viene collocato un volgarizzamento del De civitate Dei agostiniano. Ancora in predicato è da stimarsi l’attribuzione della Theosophia, tradita dal ms. S. Marco 459 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, al cui termine si legge: «Explicit hic liber quia actoris vita defecit Anno domini M°. ccclvii. Die xva. mensis iunii», quanto dire la sua data di morte. Da suffragare anche l’ipotesi per cui sarebbe da identificare in questo scritto la redazione latina dello Specchio, cui in esso si rinvia. Sulla base di argomenti esterni e interni sembrerebbero sussistere, invece, non trascurabili possibilità che gli si possano ricondurre il Tractatus additionum in expositione quam fecit magister Nicolaus Treveth super lib. Augustini De civitate Dei e, soprattutto, gli inediti Sermones de tempore (de mortuis), una raccolta di prediche-modello che, oltre alle prediche indirettamente testimoniate dallo Specchio, verrebbe a essere l’unica testimonianza superstite di una cospicua attività oratoria (Kaeppeli, 1962, pp. 147-162).
In conclusione, l’unica opera certa di Passavanti è lo Specchio della vera penitenzia. Lo Specchio (ovvero, manuale divulgativo di agevole consultazione) è l’esito della traduzione in veste trattatistica di prediche sulla penitenza tenute nel corso di diversi anni, e in specie di quelle della quaresima del 1354 (stile fiorentino), cui viene fatto richiamo esplicito nel prologo, richiamo che consente di fissare l’epoca di stesura: 1355 ca.-1357. Sempre nel prologo, Passavanti dichiara come a spingerlo all’impresa fosse stato «l’affettuoso priego di molte persone spirituali e devote», ossia, non è inverosimile che a sollecitarlo fossero stati i membri di una qualche confraternita locale. L’opera, riproposizione corretta in chiave compilativa, a uso di laici, della dottrina penitenziale di impianto tomistico peculiare dell’Ordine domenicano, è incompiuta. Infatti, delle sei distinzioni previste, in cui avrebbe dovuto trovare posto l’illustrazione delle tre parti canoniche del sacramento della penitenza (contrizione, confessione, soddisfazione), se ne danno solo cinque: manca quella relativa alla soddisfazione; al suo posto, tre trattati, su superbia, umiltà, vanagloria. E anche questa parte è imperfetta, poiché l’intenzione espressa era affrontare tutti i vizi capitali e le opposte virtù. La prossimità tra data di avvio dello Specchio e data della morte dell’autore indurrebbe a pensare a quest’ultima come alla causa dell’interruzione, ma in verità non si dà indizio alcuno che la possa spiegare.
Lo Specchio va rapportato con l’evoluzione della pietà laicale alla fine del Medioevo; tuttavia, la presenza di un tessuto linguistico volgare modellato con mano sicura, unita a quella di un numero piuttosto ragguardevole di elaborate narrazioni esemplari, gli hanno ritagliato un piccolo e però solido spazio nella storia della lingua e della letteratura italiane.
Opere. Per le edizioni del Tractatus additionum in expositione quam fecit magister Nicolaus Treveth… cfr. T. Kaeppeli O.P., Opere latine attribuite a Jacopo Passavanti con un’appendice sulle opere di Nicoluccio di Ascoli O.P., in Archivum fratrum praedicatorum, XXXII (1962), pp. 145-179; Id., Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, II, Romae 1975, p. 333 (manca l’edizione di Basilea 1505); per quelle del De civitate: Della città di Dio, traduzione italiana attribuita a fra Jacopo Passavanti, Torino 1853; La Città di Dio di santo Agostino. Versione del Passavanti, Messina 1895; per lo Specchio: Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento, a cura di G. Varanini - G. Baldassarri, II, Roma 1993, pp. 493-643; Lo Specchio della vera penitenzia, a cura di G. Auzzas, Firenze 2014 (ivi per le altre edizioni precedenti).
Fonti e Bibl.: F.L. Mannucci, Intorno a un volgarizzamento della Bibbia attribuito al B. Jacopo da Varagine, in Giornale storico e letterario della Liguria, V (1904), pp. 96-119; C. Di Pierro, Di alcuni trattati ascetici, in Esercitazioni sulla letteratura religiosa in Italia nei secoli XIII e XIV, dirette da G. Mazzoni, Firenze 1905, pp. 205-235; Id., Contributo alla biografia di frà J. P. fiorentino, in Giornale storico della letteratura italiana, XLVII (1906), pp. 1-24; Id., Preliminari all’edizione critica dello Specchio della vera penitenza di fra’ I. P., in Miscellanea di studi critici pubblicati in onore di Guido Mazzoni…, a cura di A. Della Torre - P.L. Rambaldi, I, Firenze 1907, pp. 137-171; A. Monteverdi, Gli “esempi” di J. P. (1913-14), in Studi e saggi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Milano-Napoli 1954, pp. 167-296; G. Zaccagnini, I. P. a Bologna, in L’Archiginnasio, XXI (1926), pp. 92-95; B. Croce, Poesia popolare e poesia d’arte, Bari 1933, pp. 166-168, 170 s.; G. Getto, Umanità e stile di I. P. (1943), in Letteratura religiosa del Trecento, Firenze 1967, pp. 3-105; S. Orlandi O.P., Necrologio di S. Maria Novella…, I, Firenze 1955, pp. 88 s. (testo del Necrologium), 450-471; M. Aurigemma, Saggio sul P., Firenze 1957; Id., La fortuna critica dello Specchio di vera penitenza di J. P., in Studi in onore di Angelo Monteverdi, I, Modena 1959, pp. 48-75; J.B. Schneyer, Repertorium der lateinischen Sermones des Mittelalters, III, Münster 1971, pp. 158-161; G. Auzzas, Per il testo dello “Specchio della vera penitenza”. Due nuove fonti manoscritte, in Lettere italiane, XXVI (1974), pp. 261-287; A. Cornagliotti, Un nuovo codice dello Specchio di vera penitenza, in Giornale storico della letteratura italiana, XCIII (1976), pp. 376-386; G. Pomaro, Censimento dei manoscritti della Biblioteca di S. Maria Novella. Parte I: Origini e Trecento, in Memorie domenicane, n.s., XI (1980), pp. 325-470 e passim; Id., Censimento dei manoscritti della Biblioteca di S. Maria Novella. Parte II: sec. XV-XVI in., ibid., n.s., XIII (1982), p. 336; C. Delcorno, Nuovi testimoni della letteratura domenicana del Trecento (Giordano da Pisa, Cavalca, P.), in Lettere italiane, XXXVI (1984), pp. 587-590; D. Cappi, I volgarizzamenti attribuiti a I. P. Edizione critica, tesi di laurea, Università degli studi di Padova, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1989-90; G. Rossi, La ‘redazione latina’ dello “Specchio della vera penitenza”, in Studi di filologia italiana, XLIX (1991), pp. 29-58; M.M. Mulchahey, “First the bow is bent in study…”. Dominican education before 1350, Toronto 1998, ad ind.; G. Auzzas, Dalla predica al trattato: lo “Specchio della vera penitenzia” di I. P., in Scrittura religiosa. Forme letterarie dal Trecento al Cinquecento, a cura di C. Delcorno - M.L. Doglio, Bologna 2003, pp. 37-57; Ead., A proposito del “fuoco pennace”, in Miscellanea di studi in onore di Giovanni Da Pozzo, a cura di D. Rasi, Roma-Padova 2004, pp. 29-45; Ead., Tradizione caratterizzante e interpolazioni di ‘exempla’ nello Specchio della vera penitenzia, in Filologia italiana, I (2004), pp. 61-71; E. Corbari, Vernacular Theology: dominican sermons and audience in late medieval Italy, Berlin-Boston 2013, pp. 29-35, 49-53, 92-95, 107-148.