MODESTI, Iacopo
– Nacque a Prato nel 1463 da Michele di Andrea e da Checca di Bartolomeo Nerucci.
La famiglia Modesti era originaria di Carmignano, piccolo paese nel contado, dal quale emigrò verso il centro principale nei primi decenni del XV secolo, impiantandovi una manifattura di panni di lana. Il padre del M. fu notaio e iniziò l’attività professionale nel 1451. Il nonno materno, Bartolomeo di Piero Nerucci da San Gimignano, fu maestro di grammatica a Prato e divenne piuttosto noto per un commento alla Divina Commedia (su di lui G. Giani, Un lettore di Dante in Prato nel Quattrocento, notizie su Bartolomeo Nerucci, in Archivio storico pratese, IV [1921], pp. 27 s.).
Rimasto orfano di padre nell’infanzia, il M. continuò a vivere, insieme con la madre e la sorella Margherita (un’altra sorella di nome Dorotea, era già sposata con Antonio Vecchi da San Gimignano, dottore di diritto) con gli zii paterni e i cugini nella casa del quartiere Capo di ponte, formando una numerosa compagine che all’epoca del Catasto del 1480 annoverava sedici membri e che rimase il punto di riferimento logistico e affettivo per il M. almeno fino al suo matrimonio, nel 1501.
Dopo la prima educazione ricevuta a Prato, il M. andò a perfezionarsi negli studi a Firenze, dove ebbe per insegnante di latino e greco Angelo Poliziano, con il quale contrasse un profondo legame di amicizia e devozione, destinato a durare fino alla morte del maestro. Dal 1489 al 1496 frequentò i corsi di diritto dell’Università di Pisa grazie a una borsa di studio ex legato di Filippo Inghirami, mercante e benefattore pratese. Nell’ottobre 1493 fu raccomandato da Piero de’ Medici, nella cui cerchia era stato introdotto presumibilmente da Poliziano, agli Ufficiali dello studio affinché gli fosse affidato l’insegnamento di ragione civile. La richiesta fu accolta e a partire dall’anno accademico successivo il M. fu destinato alla lettura festiva straordinaria di diritto civile. Da Pisa egli scriveva a Poliziano per avere consigli e chiarimenti, e per scambiare manoscritti giuridici e letterari. Del suo antico maestro fu collaboratore («studiorum adiutor», lo definisce Poliziano in una lettera del 1489) nel famoso lavoro sulle Pandette, che questi fu sollecitato a intraprendere proprio da un quesito rivoltogli dal M. su quali fossero i più antichi giureconsulti dell’età classica. Il M. raccolse inoltre testi letterari ed epistole del suo maestro, che riunì in diversi codici, fra i quali spicca per importanza quello segnato Pluteo 90 sup., 37 della Biblioteca Medicea Laurenziana.
Intanto la ribellione di Pisa che, profittando della presenza in Toscana dell’esercito di Carlo VIII di Francia e del rivolgimento istituzionale che aveva cacciato i Medici da Firenze, si era sottratta al dominio fiorentino, aveva costretto gli Ufficiali dello studio a trasferire l’Università a Prato, dove il M. si laureò in diritto civile alla fine dell’anno accademico 1495-96. La cacciata di Piero de’ Medici e l’instaurazione di un regime popolare non comportò conseguenze negative per il M., che continuò il suo insegnamento di diritto civile nello Studio, dal 1497 trasferito a Firenze, ottenendo progressivi aumenti di stipendio. Nell’anno accademico 1498-99 ebbe come discepolo Francesco Guicciardini, che seguì le sue lezioni anche l’anno successivo, prima di trasferirsi allo Studio di Ferrara. Dopo la laurea, nel 1505, Guicciardini fu a sua volta cooptato nell’organico dello Studio fiorentino per tenere il corso di Istituzioni civili, in concorrenza con altri insegnanti, fra cui lo stesso Modesti.
Questa di mettere in concorrenza gli insegnanti di discipline affini era una prassi comune presso lo Studio fiorentino e serviva a tenere alto il livello delle lezioni, ma il passo delle Istorie d’Italia dove Guicciardini ricorda questa circostanza fu male interpretato da S. Salvini, secondo il quale Guicciardini «tentò di togliere la cattedra al maestro» (cit. in Guasti, 1844, p. 158).
In ogni caso, l’anno accademico 1505-06 fu l’ultimo di insegnamento per entrambi, poiché lo Studio fiorentino fu chiuso per mancanza di risorse finanziarie. Il M. fece così ritorno a Prato. Fu probabilmente l’urgenza di trovare al più presto un nuovo impiego che gli consigliò di approfittare della presenza a Prato di Bartolomeo Foresti da Bergamo, conte palatino, per farsi conferire la qualifica di notaio, grazie alla quale poté esercitare l’attività di procuratore presso i tribunali. Sembra anche che il Comune si valesse di lui per incarichi pubblici e ambascerie, ma alle notizie generiche di vari autori non fanno riscontro documenti ufficiali, tranne il fatto che nel 1505, in occasione di una riforma degli Statuti, il M. fu uno degli estensori. Non sembra essere lui invece il messer Iacopo Modesti, nominato da Machiavelli come uno dei capi di una congiura ordita in questo periodo a Montepulciano per staccare la città dal dominio fiorentino e portarla in quello senese.
Il M. era a Prato nel 1512 e fu testimone oculare del feroce saccheggio inferto alla sua città dalle truppe spagnole, comandate da Raimondo da Cardona.
Lasciò una breve memoria di questi avvenimenti, che fu poi ripresa da diversi autori e data alle stampe nel secolo XIX in versioni lievemente divergenti l’una dall’altra. Non si conosce la sorte dell’autografo. Le edizioni principali sono: Sacco di Prato, pubblicato sul periodico La Rosa di maggio, nel 1840 a cura del bibliotecario della Rinucciniana G. Aiazzi, che lo trasse da un manoscritto di quella biblioteca datato 1624; Documenti del sacco dato alla terra di Prato degli Spagnoli nel 1512 e illustrati da Atto Vannucci, in Archivio storico italiano, 1, (1842), pp. 233-252, versione tratta da un manoscritto allestito da M. Martini; Il sacco di Prato e il ritorno de’ Medici nel 1512, a cura di C. Guasti, pt I, Bologna 1880, pp. 95-110, frutto della collazione di diversi manoscritti. Il solo proemio fu poi ripubblicato in C. Guasti, Opere, I, Prato 1894, pp. 357-359.
Il M. non fu solo testimone della rovina della sua patria. Le soldatesche fecero prigionieri alcuni dei suoi parenti, per riscattare i quali egli si dovette impegnare a trovare prestiti e finanziamenti presso varie persone, soprattutto a Firenze. L’anno successivo, volto di nuovo il corso degli avvenimenti a favore dei Medici, non solo essi tornarono al potere a Firenze, ma il cardinale Giovanni fu elevato al soglio pontificio con il nome di Leone X. Il Comune di Prato inviò a congratularsi con lui un’ambasceria, di cui fece parte anche il M., allo scopo di ottenerne benefici e sgravi fiscali. L’obiettivo fu parzialmente raggiunto e il Comune di Prato ottenne privilegi fiscali che mantenne per molti anni. Copia del diploma di concessione fu fatta trascrivere dal M. in un registro pergamenaceo lussuosamente confezionato e donato al Comune nel 1523 (Archivio di Stato di Prato, Comune, Capitoli, Privilegi e lettere, n. 34).
Con il ritorno dei Medici al potere cominciò per il M. la stagione più impegnativa e di maggior successo professionale: nel 1514 fu eletto giudice forestiero dell’arte della lana; l’11 novembre dello stesso anno, avuta notizia della morte di Francesco Ottaviani, notaio delle Riformagioni della Repubblica fiorentina fino dalla cacciata dei Medici nel 1494, inviò una lettera al cardinale Giulio de’ Medici, che allora rappresentava la famiglia in città, per ottenere per sé l’ufficio che, essendo di carattere tecnico-burocratico e non politico, non era soggetto a rotazione e poteva assicurargli un impiego stabile. Dovette ottenere quasi subito il suo scopo, tanto che il successivo 22 dicembre scrisse a Lorenzo de’ Medici, ringraziando per aver ottenuto il posto, anche se il provvedimento ufficiale di elezione porta la data dell’11 genn. 1515.
Il compito principale del notaio delle Riformagioni consisteva nel verbalizzare quanto discusso nelle riunioni dei «consigli opportuni» e nel trasformare le decisioni approvate in tale ambito in testi legislativi. In concorso con il cancelliere, verbalizzava anche le varie fasi del complesso meccanismo di qualificazione alle cariche pubbliche, che i Medici avevano quasi del tutto svuotato di significato politico, ma che rimaneva, quanto a procedure, fedele alla tradizione repubblicana.
Il primo registro di Provvisioni fu da lui iniziato il 18 genn. 1515. Quasi contemporaneamente affittò una casa a Firenze, nel popolo di S. Michele Visdomini, nei pressi dell’ospedale di S. Maria Nuova e vi trasferì da Prato la sua famiglia. Il 13 marzo 1515 fu creato conte palatino da papa Leone X, titolo che comportava l’autorità di legittimare figli illegittimi e di creare notai: di questa facoltà si valse, per esempio, il 28 genn. 1518 per creare notaio Niccolò di Francesco Modesti, figlio di uno dei cugini con i quali aveva condiviso la casa di Prato.
Al di là delle cariche ufficiali il compito essenziale che il M. condivideva con Angelo Marzi, era quello di far da tramite fra l’apparato istituzionale fiorentino, rimasto fedele, almeno formalmente, alla tradizione repubblicana, e la famiglia Medici, facendo filtrare le direttive di questa e adoperandosi affinché fossero tradotte in provvedimenti ufficiali. Con un certo astio, nota infatti F. de’ Nerli che il M. «senza tener grado alcuno, andava egli o ser Agnolo M[arzi] in persona a’ magistrati per le faccende che occorrevano» (Nerli, p. 15). Il M. usò, a detta di Varchi, che lo definisce «veramente modesto e diritto uomo» (cit. in Marzi, p. 310), con molta discrezione di questo ruolo nevralgico, che andava ben oltre i limiti e i compiti tradizionali connessi con il ruolo di notaio delle Riformagioni. Per i suoi meriti, con provvedimento del 30 ag. 1519, gli fu conferita la cittadinanza fiorentina, trasmissibile ai suoi figli, privilegio che comportava vantaggi fiscali e la possibilità di accedere alle cariche pubbliche riservate appunto ai cittadini. Altro riconoscimento, sia pure a carattere onorifico, fu quello di aggiungere allo stemma di famiglia le tre palle superiori presenti nello stemma dei Medici. Inoltre, il M. dalla sua posizione nel cuore stesso delle istituzioni fiorentine, divenne una sorta di alto protettore di Prato, dei suoi interessi e dei suoi cittadini: a esempio, nel 1518, in occasione di una controversia sorta a Prato per la designazione alle cariche pubbliche della città, la Signoria di Firenze rimise la questione al suo giudizio. Come riconoscimento di questa funzione, ottenne dal comune di Prato la possibilità di potersi fregiare delle insegne del Comune.
Il M. presumibilmente non aveva mai del tutto abbandonato i suoi interessi letterari, ma fu soprattutto durante questo periodo che poté coltivarli con più agio, nell’ambito della cosiddetta Accademia sacra Medicea, attiva dal 1515 alla fine del 1519 grazie a un modesto finanziamento di papa Leone X, la quale si configurò come un revival dell’Accademia platonica del tempo di Lorenzo il Magnifico. Una delle iniziative più note di questa accademia fu la petizione allo stesso papa per far tornare a Firenze da Ravenna le spoglie mortali di Dante Alighieri e la sottoscrizione del M. in calce al documento prova la sua presenza in questa compagine.
A interrompere il tranquillo decorso della sua attività professionale e della sua vita privata venne però il tumulto del venerdì santo del 1527, che espulse di nuovo i Medici da Firenze e riportò il governo della città alla forma popolare che aveva avuto dal 1494 al 1512. In un primo momento il M. rimase al suo posto, ma con il 22 giugno 1527 fu sostituito da Silvestro Aldobrandini.
Guasti (1844, p. 160) afferma che il M. si era ritirato volontariamente a Prato per sfuggire l’epidemia di peste, ma è assai più probabile che egli, così come Marzi e altri fedelissimi dei Medici, fosse stato privato dell’ufficio dal nuovo regime e costretto ad allontanarsi dalla città. Dopo il drammatico epilogo dell’ultima repubblica e il definitivo ritorno dei Medici, papa Clemente VII, divenuto capo della famiglia, avrebbe voluto ricollocare il M. nel suo antico ruolo di notaio delle Riformagioni (Arrighi - Klein, p. 157); Francesco Guicciardini, allora portavoce del gruppo degli Ottimati, espresse invece, in una lettera a Bartolomeo Lanfredini, una netta opposizione al suo ritorno (Guicciardini, Dall’assedio …), ma il contrasto non ebbe modo di manifestarsi a causa della scomparsa del Modesti.
Il M., infatti, morì a Prato il 25 novembre (Guasti, 1844, p. 160) o il 18 dic. 1530 (Nuti, p. 115). La divergenza ha origine dalla discordante lettura dell’epigrafe sulla tomba nella chiesa di S. Francesco a Prato, fatta apporre dal nipote Niccolò nel 1541.
Il M. si era sposato nel 1501 con Francesca Sinibaldi e aveva avuto almeno sei figli: quattro maschi (Michele, Guaspare, Filippo e Modesto, che nel 1534 effettuarono in sua vece la denuncia fiscale) e due femmine: Margherita sposò il mercante fiorentino Francesco Strinati; Dorotea sposò Filippo Giunti, membro della famiglia di famosi editori e tipografi, che verso il 1590 ereditò il patrimonio e il cognome dei Modesti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Prato, Comune, Capitoli, privilegi e lettere, 34; Arch. di Stato di Firenze, Ceramelli Papiani, 3229; Sebregondi, 3613; Tratte, 88, c. 331r; Balie, 43, c. 204r; Mediceo avanti il Principato, 115, nn. 264, 288, 306; 116, nn. 43, 477, 614; 121, n. 441; Decima repubblicana 27, c. 412v; 196, c. 132r; Catasto, 1054, cc. 454r-456r; Decima granducale, 3631, c. 268r; Notarile antecosimiano, 1360, cc. 59r, 61r, 63r, 113r, 162r, 164r, 194r, 213r, 230r, 239r; 1364, cc. 161v-162r; 1365, cc. 125v-126r, 133r, 163r; 6045, cc. 76r, 85v, 97r, 123r, 150r, 169r, 169v, 176v, 177v, 196r, 211r; 10488, cc. 223v-224r; 10478, c. 113r; 14393, cc. 71v, 73v; 14395, c. 178v; 18077, c. 170v; 14165, cc. 22v-27r; 19970, c. 225v; F. Guicciardini, Delle Istorie d’Italia. Libri XX, I, Firenze 1818, p. XIV; N. Machiavelli, Frammenti storici, in Id., Opere, II, Milano 1820, p. 311; A. Vannucci, Notizie sui documenti del sacco di Prato, in Archivio storico italiano, I (1842) pp. 229-231; F. de’ Nerli, Commentarii dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze, I, Trieste 1859, p. 15; F. Guicciardini, Dall’assedio di Firenze al secondo convegno di Clemente VII e Carlo V, a cura di A. Otetea, L’Aquila 1927, p. 34; C. Guasti, Bibliografia pratese, Prato 1844, pp. XVI s., 39 s., 88 s., 158-160, 197, 295; F. Buonamici, Il Poliziano giureconsulto e della letteratura del diritto, Pisa 1863, pp. 28, 83-85; C. Guasti, Il sacco di Prato e il ritorno dei Medici a Firenze nel 1512, parte I, Bologna 1880, pp. 95-119: D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, ad ind.; R. Nuti, Famiglie antiche pratesi. I Modesti, in Archivio storico pratese, XII (1934), pp. 115-122; G.B. Picotti, Lo studio di Pisa dalle origini a Cosimo duca, in Bollettino storico pisano, XI-XIII (1942-44), 1-3, p. 56; E. Fiumi, Demografia, movimento urbanistico e classi sociali in Prato, Firenze 1968, pp. 143, 158, 167, 189, 232, 436 s.; A. Verde, Lo Studio fiorentino, I, Firenze 1973, pp. 354, 358, 361, 365, 368, 371, 374, 377, 381; II, pp. 306-309; III, ibid. 1977, pp. 406-409; J.N. Stephens, The fall of the Florentine Republic, Oxford 1983, pp. 112, 141, 147-149; Prato. Storia di una città, I, a cura di G. Cherubini, Prato 1991, ad ind.; II, a cura di E. Fasano Guarini, ibid. 1986, ad ind.; V. Arrighi - F. Klein, Aspetti della Cancelleria fiorentina fra Quattrocento e Cinquecento, in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini, I, Roma 1994, pp. 157-159; A. Perosa, Studi di filologia umanistica, I, Roma 2000 pp. 27 s.