MARTELLI, Iacopo (Pucciandone). – Rimatore pisano del secolo XIII, figlio di un Taddeo del quale è noto soltanto che era già morto nel 1271. Il M., noto generalmente come Pucciandone o Puccio, era uomo di legge. L’una cosa e l’altra è provata da un atto del 1274 nel quale compare in veste di giudice di podestà Saraceno: «actum Pisis […] presentibus domino Iacobo iudice suprascripti domini Saracini, dicto Pucciandone Martelli testibus, MCCLXXIIII, indictione secunda, VI nonas marcii» (Zaccagnini, p. 16)
I documenti disponibili confermano, nell’insieme, il giudizio espresso da Zaccagnini, ovvero che il M. «fosse stato uomo di molta autorità ai suoi giorni» (ibid., p. 15). Già nel 1260 figura testimone, insieme con il conte Giovanni Della Gherardesca, all’atto con il quale l’arcivescovo di Pisa concedeva a un pescatore di San Giovanni alla Vena licenza di pescare presso la foce dell’Arno (ibid., p. 17). Il medesimo atto lo dice «de Kinthica», ossia del popoloso quartiere di Chinzica, dove risiedevano numerose famiglie della borghesia pisana. Una carta del 1255, citata da Cristiani e ignota a Zaccagnini, attesta in effetti che a quella data il M. e i suoi possedevano una torre in tale zona; ed è certo che almeno dal 1271 il M. fissò la sua dimora nella «cappella» di S. Sepolcro, situata nel medesimo quartiere: lo attesta un documento datato al 28 ottobre di quell’anno (il 1272, secondo lo stile pisano), nel quale occorre menzione del M. con la formula «Jacopus dictus Puccius Martellus quondam Taddei de cappella sancti Sepulcri de Kinthica». Buona dunque la posizione socioeconomica della famiglia, di cui il M., dal canto suo, seppe rafforzare autorevolezza e prestigio sul piano politico. A più riprese infatti, nel 1289 e poi ancora nel 1292, nel 1295 e nel 1296 sedette tra gli Anziani della città, secondo quanto documenta il Breve vetus seu Chronica Antianorum civitatis Pisarum. Nel 1298 fu nel Maggior Consiglio per il quartiere di Chinzica. Quando sia morto, precisamente, non è noto. Di sicuro però non oltre il marzo 1301 (1302 stile pisano), perché con questa data è registrato un atto in cui compare come testimone il figlio Pellaio, che vi è appunto nominato «Pellaio quondam Pucciandonis Martelli de cappella Sancti Sepulcri [de] Kintheca» (Zaccagnini, p. 18).
Della sua attività di rimatore sopravvivono pochi componimenti. Il Canzoniere Palatino (Biblioteca nazionale di Firenze, Banco rari, 217) gli attribuisce due canzoni (Lo fermo intendim[ent]o k’eo agio; Madonna, voi isguardando sentî Amore) e una ballata (Tuctora agio di voi rimembrança); due sonetti, uno doppio (Signor sensa pietansa, udit’ò dire) e l’altro artificiato con doppia rimalmezzo in tutti i versi (Similemente, gente criatura), gli assegna invece il ms. Redi 9 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Tali attestazioni restituiscono il profilo di un poeta che, più che guittoniano (per il ricorso al trobar clus, specie nel sonetto Similemente, gente criatura), appare, a giudizio di Contini, «bonagiuntiano […] nel senso che associa rimembranze siciliane […] a sensi di cultura più moderna» (p. 335).
Nella canzone Lo fermo intendimento il M. lamenta la crudeltà di Amore e chiede a madonna che mostri pietà nei suoi confronti; notevole, ai vv. 23-31, la polemica antiguinizzelliana: «A voler prender loco in tale core / ke non vi·vole a compàgna valor, / à i[n] tale cor d’Amor sua convenença? / Certo non à valença / né gentileça, come dicen manti, / ke vole usare avanti ignorança, / ch’entrare in cor gentile: / troppo à tornata vile gran careça / e la sua grande alteça in bassança» (CLPIO, n. 261); in Madonna, voi isguardando il poeta protesta contro Amore che lo ha ingannato e lo prega affinché ispiri nell’animo di madonna un tormento analogo a quello che egli patisce per sua colpa, in modo che gliene venga pietà per l’amante. La ballata Tuctora agio di voi rimembrança celebra invece la gioia che reca la vista dell’amata. Il componimento Signor sensa pietansa, udit’ò dire, «sonetto doppio, nella variante con due soli settenari nelle terzine, della quale è l’esempio più antico» (Contini, p. 336) è una elegante variazione sul tema della crudeltà di madonna, che alimenta le speranze del poeta per poi disattenderle spietatamente, come nei vv. 13-16, intessuti sulla metafora, alquanto ricercata, della donna che è a un tempo l’albero che genera il fiore e il vento che lo fa cadere prima che da esso nasca il frutto. Una menzione a parte merita, infine, il sonetto Similemente, gente criatura. Tradizionalmente inteso, a cominciare dal Santangelo – che lo connette, arbitrariamente, ad Angelica figura e comprobata del Notaro e a due altri sonetti adespoti, perché «a rime interne anch’essi, e sullo stesso argomento» – come rivolto a donna, è in realtà, come ha dimostrato S. Carrai, una replica al sonetto Lasso! Sovente sente che Natura del pure pisano Panuccio del Bagno, al quale è complementare per contenuto (Panuccio si autoaccusa perché, pur avendo natura virtuosa, si vede sopraffatto dal vizio; Pucciandone lo consola elogiandone la solida virtù e l’alta stima che di lui se ne genera presso la donna) e, soprattutto, affine per schema rimico. Il ripristino della autentica fisionomia del sonetto documenta uno scambio tra il M. e il «più fecondo degli antichi rimatori pisani» (Contini, p. 299) che oltrepassa il confine della semplice prossimità geografica e cronologica. Di là dagli evidenti debiti poetici, un rapporto diretto il M. dovette intrattenere anche con Guittone d’Arezzo, se, come sembra e come non c’è ragione di dubitare, è lui il Pucciandone al quale Guittone rivolse il sonetto, in comune con il conte Guelfo Della Gherardesca, Guelfo conte e Pucciandon, la voce, nel quale il poeta aretino esprime il desiderio di rivedere i due nobili amici.
Riproduzioni: Il Canzoniere Palatino (Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Banco Rari 217, ex Palatino 418). Riproduzione fotografica, a cura di L. Leonardi, in I Canzonieri della lirica italiana dalle origini, III, Tavernuzze 2000, cc. 45r-46r [Lo fermo intendimento], 46 [Tuctora agio di voi rimembrança], 46v-47r [Madonna voi isguardando]; Il Canzoniere Laurenziano. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Redi 9. Riproduzione fotografica, a cura di L. Leonardi, ibid. 2000, c. 134: Signor sensa pietansa; Similemente, gente criatura. Edizioni complete: G. Zaccagnini, I rimatori pisani, in G. Zaccagnini - A. Parducci, I rimatori siculo-toscani del Dugento, Bari 1915, pp. 187-194; B. Panvini, Le rime della scuola poetica siciliana, Firenze 1962, I, pp. 347-354; Concordanze della lingua poetica delle origini (CLPIO), a cura di D’A.S. Avalle, Milano-Napoli 1992, nn. 210, 261, 262. Edizioni parziali: S. Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italiana delle origini, Genève 1928, p. 409 [Similemente, gente criatura]; G. Contini, Poeti del Duecento, Milano-Napoli 1960, I, p. 336 [Signor sensa pietansa]; D’A.S. Avalle, Ai luoghi di delizia pieni. Saggio sulla lirica italiana del XIII secolo, Milano-Napoli 1977, pp. 148-152 [Lo fermo intendimento]; S. Carrai, Una ignorata corrispondenza poetica nella Pisa del Duecento: Panuccio del Bagno e Pucciandone M., in Riv. di letteratura italiana, X (1992), p. 284 [Similemente, gente criatura]. Il sonetto di Guittone Guelfo conte e Pucciandon può leggersi in Le rime di Guittone d’Arezzo, a cura di F. Egidi, Bari 1940, p. 255.
Fonti e Bibl.: Breve vetus seu Chronica Antianorum civitatis Pisarum, a cura di F. Bonaini, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1845, t. 6, parte 2a, pp. 648, 650, 653; G. Zaccagnini, Notizie intorno ai rimatori pisani del sec. XIII, in Giorn. stor. della letteratura italiana, LXIX (1917), pp. 15-18; E. Cristiani, I dati biografici ed i riferimenti politici dei rimatori pisani del Dugento, in Studi mediolatini e volgari, III (1955), p. 11; Letteratura italiana (Einaudi). Gli autori. Diz. bio-bibliogr. e Indici, II, Torino 1991, p. 1456.