GRANDI, Iacopo
Figlio di Stefano e di Pellegrina Gandolfi, nacque a Gaiato, nei pressi di Pavullo nel Frignano, sull'Appennino modenese, il 27 giugno 1646. Da Bologna, dove aveva compiuto i primi studi, il G. si trasferì, ancora adolescente, a Venezia, presso uno zio materno, V. Gandolfi, canonico della basilica di S. Marco, il quale gli trasmise le conoscenze di base in filosofia, greco e latino. "Pupillus" nella facoltà medica dello Studio patavino nell'autunno del 1664, il percorso accademico del G. fu particolarmente breve, ma non avaro di riconoscimenti. Nel corso del 1665, infatti, fu nominato "consiliarius" per la "natio Romana" e, forse, "consiliarius anatomicus". Inoltre, avendo mostrato notevole interesse per le discipline matematiche, ebbe anche modo di entrare in rapporti con Stefano degli Angeli, dal quale fu orientato verso quella tradizione concettuale di stampo galileiano ancora presente, pur tra difficoltà, nell'ateneo patavino. A tale tradizione il G. aderì prontamente, rimanendovi in sostanza fedele per tutta la vita. Lo testimonia, tra l'altro, l'alta considerazione in cui tenne la pur mutila edizione, curata da C. Manolessi, delle opere di G. Galilei (Bologna 1656), da lui posseduta. Il 13 maggio 1666 conseguì i gradi accademici in filosofia e medicina, avendo come promotori G. Frigimelica e P. Tedeschi.
Tornato a Venezia, il G. strinse amicizia con il conterraneo C. Folli (o Fuoli) e, con tutta probabilità grazie a costui, già accademico incognito, si legò ai circoli libertini veneziani. Nel febbraio del 1671, inaugurato nella città lagunare il teatro anatomico, e andato a Folli l'incarico di insegnarvi anatomia, il G. ne divenne incisore; a lui, inoltre, fu affidato il compito di pronunciare l'orazione d'apertura, poi stampata per i tipi di A. Giuliani con il titolo di Oratione nell'aprirsi del nuovo teatro d'anatomia a Venezia li 2 febbraio 1671 (Venezia 1671).
Si tratta di un elogio dell'anatomia di gusto barocco, nel quale il G., abilmente utilizzando quei canoni retorici finalizzati a suscitare meraviglia nell'uditorio, elenca tutti i più famosi teatri anatomici del tempo celebrandone l'utilità. La scienza anatomica è presentata come un compendio di tutti gli altri saperi, non solo di quelli fisico-matematici ma anche di discipline quali l'architettura, la musica e la teologia.
Collegata tematicamente a questa è una seconda orazione che il G. diede alle stampe nello stesso anno: la De laudibus Sanctorii Sanctorii (Venetiis 1671). In essa il G. ripropone, attraverso una ricostruzione delle dottrine e una presentazione delle principali esperienze di S. Santorio, la sua posizione favorevole alla medicina neoterica e iatromeccanica. Tali convinzioni lo portarono poi, nella Risposta a Girolamo Santasofia… intorno a una serpe trovata in un ovo fresco di gallina, pubblicata nel Giornale de' letterati di Roma del 1673 (p. 106), a respingere la tesi della nascita ex putri degli esseri viventi e a sostenere, sulla scia di F. Redi, quella ex ovo.
Intanto, il campo degli interessi del G. andava ampliandosi, includendo da un lato la paleontologia, dall'altro le belle lettere. In quest'ultimo dominio significativa fu la nascita dell'Accademia Dodonea, fondata dal G. insieme con A. Ottoboni, nipote del cardinale P. Ottoboni, poi papa Alessandro VIII, nel dicembre 1673. Di questa Accademia, che si radunava in casa del procuratore di S. Marco A. Morosini, e di cui il G. fu regolatore e assessore, ci è giunto l'emblema, ideato dallo stesso G. (Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 1028, c. 47), nonché, come unica opera certamente attribuibile all'ambiente accademico, una raccolta poetica, le Glorie funebri. Composizioni in morte di s.e. Battista Nani (Venezia 1679), che comprende anche una poesia del G., Per un aborto conservato in una ampolla d'acque artificiali (p. 167). Per quel che riguarda la questione dei fossili abbiamo notizia di una serie di studi - condotti dal G. a partire dal 1673 di concerto con P. Boccone, poi divenuto frate con il nome di Silvio - che tre anni più tardi sfociarono in un'opera, il De veritate diluvii universalis et testaceorum quae procul a mari reperiuntur generatione, pubblicata in appendice al De testaceis fossilibus Musaei Septaliani di G. Quirini (Venetiis 1676).
L'opera è costituita da una serie di obiezioni alla tesi antidiluvialista sostenuta in campo paleontologico da Quirini. L'opzione catastrofista è preferita dal G. in quanto maggiormente coerente con il principio della generazione ex ovo degli esseri viventi: troppo sospetta l'ipotesi, fatta da Quirini, di una formazione per cristallizzazione delle conchiglie fossili, prodotta per unione dei "germi" dei molluschi marini con la sostanza minerale delle rocce. Notevole è poi la descrizione delle stratificazioni geologiche proprie del sottosuolo modenese, ricavata da osservazioni condotte dal G. in occasione dello scavo di nuovi pozzi.
Nel 1676 il G. succedette al Folli come professore d'anatomia nella scuola veneziana, assumendo in tal modo, e fino alla morte, un ruolo di vertice nel mondo medico veneto. Tale posizione lo portò, negli anni immediatamente seguenti, a ricoprire a Venezia la carica di sindaco del Collegio dei filosofi medici e quella di consigliere del Collegio dei medici chirurghi. Nel luglio del 1680 il G. fu anche nominato, "per disposizione dei Notari", aiuto del Folli "nella carica di protomedico" (Pagano, p. 564). Il G. si trovò così a svolgere una funzione di raccordo tra questo mondo e personalità quali F. Redi, M. Malpighi, B. Ramazzini, R. Boyle. Con Redi, in particolare, si sviluppò un'amicizia di cui ci è rimasta testimonianza in sei lettere, inviate dal G. tra il 1683 e il 1686. La posizione assunta, le influenti amicizie, la fama professionale consolidata fecero sì che da più parti cominciassero a giungere al G. offerte di onori e di incarichi. Accademico ricoverato nel giugno del 1678, a quella data era già stato associato all'Accademia dei Gelati di Bologna.
Inoltre, secondo alcune fonti (ma mancano i riscontri), nello stesso scorcio di tempo furono proposte al G. cattedre sia dallo Studio pisano, sia da quello patavino. Se quest'ultima notizia corrisponde a verità, a motivo del rifiuto opposto a tali chiamate vi potrebbe essere stato il manifestarsi delle prime avvisaglie di una salute cagionevole. Infatti, nell'inverno del 1679, il G. si ammalò di una non precisata grave malattia, che lo spinse, all'inizio di marzo di quell'anno, a stendere testamento. Pur restando minato nel fisico, il G. sopravvisse al male e ben presto si rigettò, con la solita intensità, nelle sue attività. Nel 1683 diede alle stampe a Venezia un epinicio In Viennam liberatam et victoriam Turcarum a serenissimo Ioanne tertio Poloniae rege…, celebrativo della vittoria cristiana sui Turchi sotto le mura di Vienna; l'anno seguente rimase coinvolto nella violenta polemica originata dalla pubblicazione, a Napoli nel 1682, della quarta "scanzia" della Biblioteca volante di G. Cinelli Calvoli. Nel quadro di tale polemica va infatti inserita la pubblicazione, nel 1684 con la falsa indicazione di Fori Vibiorum, di un anonimo libello ingiurioso, Io. Cinelli et… Magliabechi vitae. Scritto, con tutta probabilità, da N.F. Bertolini, fu attribuito da A. Magliabechi al G. e in seguito a ciò i rapporti tra i due si deteriorarono in maniera irreparabile, al punto che il Magliabechi da quel momento in poi non perse occasione per scagliarsi contro il G., a volte con toni di rara violenza. Attorno al 1684 il G. fu eletto accademico della Crusca; l'Accademia nel 1685, per opera di A.M. Salvini e di A. Forzoni Accolti, eseguì la revisione linguistica della Risposta di Iacopo Grandi… a una lettera di Alessandro Pini… sopra alcune richieste intorno a S. Maura e la Prevesa, data poi alle stampe in Venezia nel 1686.
Lo scritto prende spunto da una richiesta del Pini intorno a una questione di botanica a proposito di una pianta medicamentosa, la salvia baccifera, al tempo molto diffusa sull'isola greca di Santa Maura. Si tratta di un'erudita dissertazione intorno alla storia e alla geografia della Grecia classica. Forse l'aspetto più interessante di essa sta nel tentativo di provare che la scienza geografica ebbe i suoi natali in Egitto, nel periodo precedente al regno del faraone Sesostri I, e che le cognizioni geografiche contenute nella Bibbia sono tutte di origine egizia. Con ciò il G. mostra di condividere la convinzione, cara alla tradizione ermetica, di un antichissimo sapere egizio, fonte di tutti i saperi successivi.
Benché la salute fosse tutt'altro che buona - soffriva da un paio d'anni di episodi di una malattia infettiva, l'erisipela, che sarebbe poi stata la causa della sua morte -, il G. non abbandonò l'attività di insegnamento e nell'inverno del 1686 ebbe modo di ospitare nel suo teatro anatomico, per permettergli di far pratica, A. Vallisneri senior, appena addottoratosi, che di questa sua permanenza a Venezia conservò un ottimo ricordo.
Risalgono al 1688 un paio di opere del G., una rimasta manoscritta, Frinia civitas. Lettera… in cui si riprova l'opinione del sig. Alessio Magnani che nei prati di Pavullo sia stata anticamente una città col nome di Frinianum (Modena, Biblioteca Estense, Fondo Sorbelli, 1004); l'altra, De stibio eiusque uso apud antiquos in re cosmetica ac de aqua Nilotica, de stibii mentione in sacris litteris et de fucorum materia, dissertatio per epistolam, pubblicata a Norimberga.
Delle due opere, la prima, che affronta una questione di storia locale, è di assai limitato interesse. Nell'altra, la cifra prevalente è quella che già caratterizzava la Risposta al Pini. Infatti, la trattazione di argomenti medici è frammischiata a una sovrabbondante erudizione antiquaria. Così, nella prima parte dello scritto, dedicata all'analisi delle acque del Nilo e alla dimostrazione che è questa l'acqua utilizzabile per scopi terapeutici di cui parla Ippocrate, e che la composizione di essa è simile a quella dell'acqua di Nocera, il discorso si trasforma presto in un'elencazione di notizie di geografia storica intorno al Nilo. La seconda parte, invece, che affronta il tema dell'antimonio, è prevalentemente incentrata sull'analisi etimologica della parola "stibio" e sui modi di commerciare questo metallo nell'antichità. La terza parte, infine, è una vera e propria storia dell'uso cosmetico, fatto dagli antichi, del fuco.
La fama del G. aveva ormai assunto risonanza europea, tanto che nel marzo del 1688 fu ascritto, con il nome accademico di Seneca, all'Academia naturae curiosorum di Lipsia e, due anni dopo, nel febbraio del 1690, durante il periodo di soggiorno veneziano del suo viaggio in Italia, G.W. Leibniz volle conoscerlo. Da quest'incontro scaturirono un paio di lettere a firma del G., entrambe risalenti a quell'anno.
L'8 marzo 1691 il G. morì a Venezia, e fu sepolto nella chiesa di S. Faustino.
Fonti e Bibl.: Padova, Arch. stor. dell'Università, Mss., 360, cc. 131v-132v; 698, cc. 193r, 196v; Arch. di Stato di Modena, Archivio Iacoli, b. 12, f. III (variante autografa, di 17 carte, della Risposta… a una lettera di Alessandro Pini; due delle sei lettere a F. Redi); Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Fondo Redi, 218 (le altre quattro lettere al Redi); Ibid., Arch. stor. dell'Accademia della Crusca, Fascicolo Grandi (lettera ad A. Segni e nota di A.M. Salvini riguardante la revisione linguistica della Risposta); B. Ramazzini, Epistolario, a cura di P. Di Pietro, Modena 1964, pp. 26-33, 92 s., 100, 113; A. Robinet, G.W. Leibniz iter Italicum, Firenze 1988, pp. 414 s. (le due lettere a Leibniz); A. Vallisneri, Epistolario, I, a cura di D. Generali, Milano 1991, pp. 136, 149 s.; B. Ricci, Del medico I. G. da Gaiato, Modena 1893 (alle pp. 33-35 testamento del G.); G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, III, Modena 1783, pp. 3-6; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, II, Parma 1804, pp. 277 s.; G. Brocchi, Conchiologia fossile subapennina, Milano 1814, pp. XXVI s.; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, II, Bologna 1927, pp. 217 s.; A. Barbieri, Modenesi da ricordare, I, Modena 1968, s.v.; S. Parodi, Catalogo degli accademici della Crusca dalla fondazione, Firenze 1983, s.v.; A. Pagano, Folli, Cecilio, in Diz. biogr. degli Italiani, XLVIII, Roma 1997, pp. 562-564.