GIANFIGLIAZZI, Iacopo
Nacque a Firenze attorno al 1358 da Giovanni di Rosso e Niccolosa di Iacopo Bueri.
La famiglia Gianfigliazzi, una delle più antiche e potenti casate fiorentine, era dedita all'attività bancaria e in particolare tra gli ultimi decenni del Duecento e i primi del Trecento era stata titolare di un banco, con diramazioni anche nel Sud della Francia, specializzato nella concessione di grossi prestiti a signori feudali e grandi potentati. Nel corso del secolo XIV tale attività dovette subire un certo ridimensionamento, ma non cessò del tutto, dato che nel 1395 si ha notizia di un prestito di 3000 ducati concesso in Mantova dal G. a Guglielmo, figlio del conte di Metz.
Non si hanno notizie sul periodo della giovinezza del Gianfigliazzi. Nel 1380 si sposò con Selvaggia di Andrea di Segna, da cui ebbe almeno tre figli, Lorenzo, Daddo e Lisa, sposata a Niccolò Serragli.
Il suo debutto in politica risale al 1° luglio 1394, data della sua prima elezione al priorato; in seguito ricoprì nuovamente questa carica nel bimestre gennaio-febbraio 1403 e nello stesso bimestre del 1418; l'8 genn. 1397 divenne membro dei Sedici gonfalonieri di compagnia, uno dei tre maggiori uffici del Comune di Firenze - con il priorato e i Dodici buonuomini - dai quali i Gianfigliazzi erano rimasti esclusi per quasi un secolo, dopo che nel 1293, essendo annoverati tra le famiglie magnatizie, furono sottoposti alle limitazioni previste dagli ordinamenti di giustizia. Tale situazione discriminatoria nei confronti dei Gianfigliazzi era venuta a cessare in teoria nel giugno 1369 quando, in seguito a una petizione da loro presentata ai Consigli cittadini e approvata, essi avevano ottenuto il riconoscimento dello status popolare, ma in pratica l'effettivo accesso di un Gianfigliazzi alle massime cariche del Comune avvenne soltanto nel marzo 1382, con l'elezione a gonfaloniere di giustizia del cugino del G., Rinaldo.
Il 19 marzo 1404 il G. fu inviato ambasciatore in Lombardia, insieme con Andrea Peruzzi: il loro scopo era quello di favorire e dare una linea comune ai frequenti colpi di mano organizzati dai vari signori locali contro il dominio visconteo, quasi allo sbando dopo la morte di Gian Galeazzo nel 1402. Nel gennaio 1406 fu eletto commissario in campo contro Pisa, il cui acquisto era diventato, dopo la fine delle guerre antiviscontee, il principale obiettivo della politica estera di Firenze che sperava così di garantirsi uno sbocco diretto sul mar Tirreno.
Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, il controllo di Pisa era passato nelle mani di Gabriele Maria, suo figlio naturale, il quale aveva poi consentito a una cessione della città in favore dei Fiorentini. Contro questa iniziativa aveva reagito la popolazione pisana dando luogo, nel 1405, a una resistenza armata protrattasi per tredici mesi. Le autorità fiorentine decisero perciò di contrattaccare e a tale scopo furono nominati a mano (e non per sorteggio) dieci componenti della magistratura destinata a condurre le operazioni militari, tra cui il G.; tra di loro venivano di volta in volta scelti i commissari che a turno dovevano recarsi sul luogo delle operazioni militari per prendere le opportune decisioni e per tenere informati gli organi del governo centrale a Firenze. Era il turno del G., insieme con Matteo Castellani, Vieri Guadagni e Niccolò Davanzati, di trovarsi a Pisa, quando la città si arrese il 9 ott. 1406. Il G., essendo nel novero dei cittadini fiorentini che avevano collaborato alla conquista di Pisa, ne fu compensato con il conferimento della dignità cavalleresca. Tale dignità era stata in passato conferita a molti membri della sua famiglia, tra cui suo padre Giovanni. Altri commissari fiorentini presenti a Pisa al momento della conquista fiorentina rifiutarono invece tale onorificenza. Tornato a Firenze il G. entrò in carica il 15 dicembre dello stesso anno come membro dei Dodici buonuomini.
Nell'aprile 1408 fu inviato dal governo fiorentino ambasciatore a Lucca, insieme con Iacopo Salviati: l'occasione era il matrimonio di Paolo Guinigi, signore della città, con la figlia di Rodolfo da Varano, signore di Camerino. I due ambasciatori, che avevano l'unico scopo di congratularsi con il Guinigi per quelle nozze, furono ricevuti con grandi onori, in omaggio alla cordialità dei rapporti allora esistenti tra i due governi.
Nell'aprile 1411 la Signoria fiorentina affidò al G., insieme con Gino Capponi e Bernardo Guadagni, l'incarico di accompagnare Giovanni XXIII, papa di obbedienza pisana, che transitava per il dominio fiorentino diretto a Siena. Ai primi di giugno dello stesso anno il G. fu inviato, con Vieri Guadagni, ambasciatore presso Carlo Malatesta, signore di Rimini.
L'antefatto di questa ambasciata va ricercato nella precedente ribellione di Bologna al dominio temporale del papa e nella manifestata volontà di reggersi con un regime repubblicano. I Fiorentini, tradizionali alleati di Bologna, esitavano a mandare alla città aiuti militari, che non avrebbero mancato di scontentare il pontefice, di cui essi si consideravano fedeli figli spirituali; quando, però, alcuni luoghi del contado bolognese furono occupati dal Malatesta che si era posto a capo di una coalizione di piccoli signori dell'Emilia Romagna, Firenze pensò di inviare a quest'ultimo un'ambasciata per invitarlo a desistere da questa azione ai danni di Bologna. Il Malatesta non respinse le richieste avanzate in tale occasione, ma pose però come condizione che i luoghi del contado bolognese già occupati rimanessero in mano degli occupanti. Tale richiesta fu poi riferita dal G. e dal Guadagni ai Bolognesi, i quali, non potendo in alcun modo accettarla, chiesero ai Fiorentini l'aiuto militare più volte promesso.
Il 31 ottobre dello stesso anno il G. fu scelto per espletare un altro importantissimo incarico per il Comune di Firenze nell'ambito della latente tensione che opponeva da tempo Firenze a Genova, anche a causa della conquista da parte dei Fiorentini della città di Pisa. Nell'ottobre 1411 la località di Portovenere, soggetta al dominio genovese, si era data spontaneamente in signoria a Firenze e il G. fu appunto inviato nella cittadina ligure quale commissario del Comune di Firenze; la sua permanenza si protrasse fino al 30 marzo 1412; poco tempo dopo fu decisa la restituzione della cittadina alla giurisdizione genovese.
L'8 genn. 1413 il G. entrò di nuovo a far parte dei Sedici gonfalonieri di compagnia; nel giugno dello stesso anno fu inviato - insieme con Filippo Corsini, Michele Castellani e Bernardo Guadagni - ambasciatore presso il pontefice, che si trovava a Siena, dopo che Roma era stata invasa dalle truppe di Ladislao re di Napoli. Scopo di questa ambasceria era di pregare Giovanni XXIII di non entrare in territorio fiorentino, per non compromettere la posizione di Firenze nei confronti del sovrano napoletano. Il ceto dirigente fiorentino era in larga parte orientato alla guerra contro Ladislao, ma, poiché permanevano su questo punto alcune resistenze, era stato deciso di cercare una soluzione diplomatica, per trovare una via d'uscita che non impegnasse la città in una campagna militare. I componenti dell'ambasceria erano però esponenti del partito filopapale e dovevano concertare con il pontefice le modalità di difesa dei territori non ancora occupati da Ladislao.
L'influenza del G. sulla politica fiorentina dei primi due decenni del secolo XV travalicava l'importanza degli incarichi diplomatici e degli uffici pubblici da lui rivestiti. Gli fu infatti molto spesso richiesto il suo parere sui principali problemi che agitavano la vita del Comune di Firenze nell'ambito delle consulte e delle pratiche: si trattava di consigli ristretti e segreti, cui venivano chiamati a intervenire, su richiesta della Signoria, un certo numero di membri ex officio e un certo numero di cittadini che in quel momento non rivestivano alcun incarico, detti "arroti". La partecipazione a questi consigli offriva l'opportunità agli appartenenti al ceto dirigente di influire permanentemente sulla condotta politica del Comune, pur nella veloce turnazione degli incarichi pubblici; il G., insieme con il cugino Rinaldo Gianfigliazzi, fu tra coloro che intervennero più assiduamente a questi consessi.
L'ultimo incarico del G. di cui si ha notizia è la sua seconda elezione al priorato per il biennio gennaio-febbraio 1418.
Morì a Firenze il 9 dic. 1426.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. della Confraternita dei Buonuomini di S. Martino, Fondo Gianfigliazzi, Repertorio dei nomi della Gabella dei contratti, s.n., ad ind.; Arch. di Stato di Firenze, Ufficiali della Grascia, 188, c. 91; Diplomatico - S. Croce, 23 apr. 1395, 5 nov. 1401, 7 giugno 1421; Raccolta Sebregondi, 2573; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, II, Firenze 1869, p. 395; Le consulte e pratiche della Repubblica fiorentina nel Quattrocento. 1401, a cura di E. Conti, Pisa 1981, ad ind.; … 1404, a cura di R. Ninci, Roma 1992, ad ind.; … 1405-1406, a cura di L. De Angelis - P. Pirillo - R. Ninci, ibid. 1996, ad ind.; I. Salviati, Cronica, in Delizie degli eruditi toscani, XVIII (1784), pp. 211, 262, 358; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, pp. 420, 425; L. Martines, The social world of the Florentine humanists, Princeton 1963, ad indicem.