GASPARINI, Iacopo
Nacque a Volpago del Montello, presso Treviso, il 23 marzo 1879 da Giovanni e da Melania Gardin. Laureatosi giovanissimo in giurisprudenza, entrò a far parte dell'amministrazione dello Stato, prima ricoprendo l'incarico di segretario di prefettura, poi passando alle dirette dipendenze del ministero degli Interni e, successivamente, a quelle del ministero degli Esteri. Quando, il 28 apr. 1910, il senatore G. De Martino fu nominato governatore della Somalia, lo volle con sé, come suo principale collaboratore, prima con l'incarico di direttore degli Affari civili, poi con quello di segretario generale della colonia e infine come reggente interinale.
Il G. non tradì la fiducia del De Martino. Funzionario diligente e instancabile - la cui passione africana era, come ha ricordato R. Cantalupo, "la sola della sua vita" -, egli coadiuvò De Martino nel conseguire tre importanti obiettivi: l'occupazione integrale della Somalia meridionale sino agli incerti confini con l'Etiopia; la pacificazione del paese attraverso una paziente e progressiva penetrazione politica; l'avvaloramento della colonia grazie all'istituzione dei primi organismi amministrativi, al riordino del settore agricolo e a un valido programma di lavori pubblici. Il G. curò, infine, i non facili rapporti con i due sultanati della Somalia settentrionale, sui quali l'Italia esercitava un protettorato soltanto nominale. Nel settembre del 1911, per esempio, impedì che il sultanato di Obbia venisse spartito fra i cinque figli del defunto sultano Yūsuf 'Alī, appoggiando con decisione il primogenito 'Alī Yūsuf e bloccando sul nascere una guerra fratricida.
Con la stessa lealtà ed efficienza il G. collaborò con il successore di De Martino, G. Cerrina Feroni, elaborando un ambizioso programma di sviluppo teso a impedire che la cenerentola delle colonie italiane morisse per asfissia.
Il programma, che poi venne realizzato negli anni '20 e '30, prevedeva: la penetrazione economica nell'Etiopia meridionale; la creazione di un'agenzia commerciale che facilitasse gli scambi fra Somalia e Italia; l'istituzione di una linea di navigazione per collegare l'Italia con i porti dell'Eritrea e della Somalia; lo sviluppo dell'industria della pesca, lo sfruttamento dei depositi di sale di Hafun e l'esportazione dei ricercati prodotti della Somalia settentrionale, come le resine, le gommoresine e l'incenso.
Nel 1919, dopo quasi un decennio di logorante attività in Somalia, il G. chiese il collocamento a riposo dall'Amministrazione coloniale, che glielo concesse col titolo e grado onorario di segretario generale. Nello stesso anno fu inviato a Parigi quale membro della delegazione italiana alla conferenza delle riparazioni di guerra, che trattava anche i compensi coloniali promessi all'Italia con gli accordi segreti di Londra del 1915.
Rientrato in Italia, il G. fece della propria azienda agricola nel Trevigiano un'impresa all'avanguardia e ricoprì anche importanti incarichi pubblici, come quello di presidente della Provincia di Treviso e di presidente della Cassa di risparmio della stessa città. Ma egli aveva accumulato troppi meriti in ambito coloniale per poter restare a lungo lontano dall'Africa. Il 1° giugno 1923 fu infatti nominato governatore dell'Eritrea, incarico che tenne per cinque anni, durante i quali esercitò un'influenza benefica sulla colonia, provata dai due terremoti del 1921 e che, sul piano economico, si trovava sull'orlo del collasso.
Sua prima cura fu quella di ricostruire Massaua e il suo porto, all'80% distrutti dai sismi. Contemporaneamente, provvedeva a migliorare le vie di comunicazione della colonia per agevolare i traffici con l'Etiopia e con il Sudan anglo-egiziano; completava inoltre il tratto di ferrovia Cheren-Agordat, di 86 km, e impostava il primo tronco della Agordat-Tessenei. Ma dove si distinse maggiormente fu nel settore agricolo: nel 1924 fece sbarrare il fiume Gasc alla stretta di Togolel, creando così un comprensorio di bonifica dell'estensione di 15 mila ettari nella pianura di Tessenei, quasi al confine con il Sudan.
Rinnovate le strutture della colonia "primogenita" e dato impulso alla sua languente economia, il G. curò molto anche i rapporti con le popolazioni dell'Eritrea. Egli fu infatti l'ultimo governatore a praticare la cosiddetta "politica degli indigeni", un metodo di governo caro alla vecchia Italia prefascista e inviso, invece, ai funzionari coloniali del regime.
Pur senza giungere ad adottare il sistema britannico dell'indirectrule, il G. fece leva sui capi e sui notabili indigeni, restituì loro parte dell'antica autorità, li ammise alla mensa governatoriale, li volle accanto a sé durante le cerimonie ufficiali. Determinante fu anche il suo apporto nella redazione del r.d. 269 del 7 febbr. 1926, che abrogava gli indemaniamenti forsennati eseguiti dal generale O. Baratieri e che garantiva alle popolazioni indigene dell'altopiano l'intangibilità delle loro terre: il che significava che i coloni italiani avrebbero potuto coltivare terre soltanto nei bassopiani orientale e occidentale della colonia.
Intuendo, inoltre, che, nel clima instauratosi con il fascismo, l'importanza politica e strategica dell'Eritrea era destinata a crescere, il G. cominciò a praticare anche la "politica periferica", il cui principale obiettivo era quello di stabilire stretti vincoli con i capi etiopici che esercitavano la loro autorità alla periferia dell'impero negussita, con l'intento, neppure molto dissimulato, di aizzarli al momento opportuno contro il potere centrale di Hailè Selassiè.
In questa attività di intelligence il G. superò tutti i suoi predecessori riuscendo a stabilire fruttuosi contatti con il deggiac Garasellassiè Barya-Gaber del Tigrè, con ras Hailù Tecla Haimanot del Goggiam e con il deggiac Ajaleu Burrù dell'Uogherà. Oltre a indebolire la compagine etiopica, il G. mirava a ottenere il maggior numero di informazioni di carattere economico e militare.
Fermamente convinto che l'Eritrea potesse diventare una base preziosa per preparare un'espansione tanto a Sud, ai danni dell'Impero d'Etiopia, che a Nord, a spese degli Stati della penisola arabica, il G. elaborò una politica araba audace, ma non priva di rischi, perché andava a toccare gli interessi inglesi nella regione strategica dello stretto di Bab el-Mandeb. Con quasi tre anni di paziente e segreto lavoro, riuscì a persuadere il vecchio re dello Yemen, l'imām Yaḥya, ad affidare all'Italia l'incarico di far uscire il biblico paese dal sottosviluppo. E lo fece battendo tutti gli altri concorrenti, Egiziani, Francesi, Tedeschi e Inglesi. Il 2 sett. 1926, a Ṣan‛ā', il G. e Yaḥya firmarono un patto di amicizia che il ministro delle Colonie, P. Lanza di Scalea, non esitò a definire, in una lettera a Mussolini, "la prima parola imperiale della nostra politica coloniale" (Documenti diplomatici italiani, I, doc. 414, p. 319).
Il 1° giugno 1928 il G. concluse la sua missione in Eritrea e rientrò in Italia, dove il regime lo premiò nominandolo senatore. Ma in patria egli si fermò giusto il tempo per reperire i capitali necessari per completare la grande azienda agricola di Tessenei, della quale diventò presidente nel 1931.
A questa azienda, la Società imprese africane, che nel corso degli anni '30 giunse a produrre ogni anno 10.000 quintali di dura e 6000 quintali di cotone, il G. dedicò tutte le sue energie e le notevoli capacità imprenditoriali, tanto da farne un'azienda pilota, un punto di riferimento per tutti gli agricoltori che operavano nelle colonie italiane. Ma, a partire dal 1934, Tessenei non costituì soltanto un successo in campo agricolo, diventando, alla vigilia dell'invasione italiana, la più importante centrale di raccolta di informazioni sull'Etiopia. Ha scritto il maresciallo E. De Bono ricordando l'opera del G.: "Egli figurava di badare ai suoi interessi e, con la scusa di affari, riceveva le persone d'oltre confine e faceva passare la frontiera ai suoi emissari".
L'azione politico-informativa compiuta dal G. tra il 1934 e il 1936 fu determinante ai fini dell'indebolimento dell'apparato militare di Hailè Selassiè. Non soltanto riuscì a neutralizzare, con lusinghe e sacchi di talleri, parte delle forze armate etiopiche, ma provocò ribellioni nel Goggiam e la diserzione di intere unità. L'opera di sovversione condotta dal G. mirava addirittura al crollo dell'intero fronte etiopico al Nord e avrebbe sicuramente avuto pieno successo se il personaggio centrale di questo intrigo, il deggiac Ajaleu Burrù, non avesse mostrato qualche incertezza, tanto da consentire a ras Immirù di limitare i danni. Ma dopo la sconfitta etiopica del marzo 1936 nello Scirè, Ajaleu Burrù riprese ad agire autonomamente ripiegando senza combattere verso il Beghemeder. Il che consentì alla colonna autocarrata guidata dal segretario del Partito nazionale fascista, A. Starace, di coprire i 300 km che separano il confine eritreo da Gondar senza sparare un solo colpo di fucile. A sgombrare la strada da ogni possibile ostacolo era il G., che precedeva l'autocolonna di qualche chilometro.
Conclusa la "guerra dei sette mesi", il G. tornò a occuparsi dell'azienda di Tessenei e, più tardi, costituì anche una società per la coltura del caffè negli Arussi. Ma ciò non interruppe la sua attività politica.
Nel 1937 fu in missione diplomatica a Ṣan‛ā' per rinnovare con re Yaḥya il trattato del 1926. Consigliere del viceré d'Etiopia, R. Graziani, cercò di convincerlo a favorire rapporti di collaborazione con i capi indigeni in vista di un trapasso, seppure in tempi non brevi, dal governo diretto a quello indiretto. Inascoltato da Graziani, che preferiva governare l'Etiopia col pugno di ferro, trovò invece nel suo successore, Amedeo di Savoia, duca d'Aosta, un uomo sensibile ai suoi suggerimenti, tanto che si ritornò ad applicare, anche se troppo tardi, l'antica e più umana "politica degli indigeni", che prevedeva il ripristino parziale dell'autorità dei capi locali.
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale colse il G. mentre era in Italia. Sofferente di cuore, avrebbe potuto restare in patria, ma non ascoltò ragioni e ritornò in Africa, dove il duca d'Aosta lo nominò commissario per l'Economia e gli Approvvigionamenti presso il governo generale dell'Africa orientale italiana.
Completamente circondata da colonie di dominio inglese, collegata con l'Italia soltanto da sporadici voli di bombardieri, l'Africa orientale italiana aveva scarsissime possibilità di resistere all'urto degli eserciti avversari. Durante una drammatica riunione, il 10 genn. 1941 il duca d'Aosta espresse il parere che non era possibile difendere l'intero territorio e che bisognava abbandonare i bassopiani eritrei, Tessenei compresa. Il G. cercò inutilmente di difendere la "sua" Tessenei, sottolineando che l'abbandono del più grande e riuscito lavoro di bonifica compiuto dall'Italia in Eritrea avrebbe avuto ripercussioni catastrofiche sulle popolazioni indigene e avrebbe sminuito il prestigio dell'Italia. Ma il ripiegamento era, più che necessario, obbligatorio. Il 19 gennaio il generale W. Platt, varcati i confini dell'Eritrea, occupava Tessenei e procedeva spedito per Agordat e Cheren.
L'ultimo aereo in partenza da Addis Abeba trasportò il G. ad Asmara. Gli fu chiesto se desiderava proseguire per l'Italia, dove avrebbe potuto curarsi, ma egli rifiutò di imbarcarsi. Qualche giorno dopo subì un grave attacco cardiaco, ma sopravvisse ancora qualche settimana, in tempo per vedere le truppe britanniche entrare in Asmara.
Il G. morì ad Asmara il 16 maggio 1941.
Fonti e Bibl.: R. Cantalupo, J. G., in Gli Annali dell'Africa italiana, IV (1941), p. 686; L. Federzoni, Commemorazione di J. G., ibid., V (1942), pp. 291-293; E. De Bono, La conquista dell'Impero. La preparazione e le prime operazioni, Roma 1937, p. 35; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale, I-IV, Roma-Bari 1976-84, ad indices; L. Goglia, Un aspetto dell'azione politica italiana durante la campagna d'Etiopia 1935-1936: la missione del senatore G. nell'Amhara, in Storia contemporanea, VIII (1977), pp. 791-822.