DEL PECORA, Iacopo (Iacopo da Montepulciano)
Nato forse tra il 1340 e il 1350 da Bertoldo Novello, apparteneva alla nobile e potente famiglia dei Del Pecora di Montepulciano, detta anche dei Cavalieri o de Militibus, e partecipò alle lotte dei cugini, Giovanni di Niccolò e particolarmente Gerardo di Iacopo, per conservare o recuperare la signoria della città, insidiata prima da mire di dominio del Comune di Siena, più tardi contesa tra Siena, appoggiata da Gian Galeazzo Visconti, e Firenze, e conquistata infine da Firenze tra il 1388 e il 1390, con una definitiva estromissione dei Del Pecora.
Il D. fu allora tra i principali protagonisti di una congiura che vide coalizzati Siena, i Visconti, Giovanni d'Azzo degli Ubaldini e alcuni alleati minori di quest'ultimo. Il D., che agiva direttamente per mandato del conte di Virtù, Gian Galeazzo Visconti, e si riprometteva evidentemente di reintegrare la propria famiglia nei domini aviti di Montepulciano, ebbe il compito di avvicinare alcuni cittadini fiorentini; e svolse a Firenze la missione sotto la stretta sorveglianza delle autorità del Comune, che erano Perfettamente informate delle sue intenzioni.
Smascherato, tentò o finse di praticare il doppiogioco, "duplicem proditionem", secondo i verbali del processo al quale fu sottoposto; ma senza successo. Per le sue macchinazioni a favore del Visconti contro la libertà fiorentina fu arrestato e norchiato" dal capitano del Popolo Giovan Mario de' Camporeni d'Ascoli, che lo definì "hominem pessimum, proditorem, scandali et discordie seminatorem", e riuscì a provare che il D. aveva anche scritto numerose lettere al Visconti informandolo sui dispositivi di difesa di Firenze. Il Comune fiorentino volle evitare lo scandalo e il pericolo di clamorose rivelazioni - si conserva tra gli altri un parere in tal senso di Franco Sacchetti - e preferì non inquisire e non divulgare i nomi dei cittadini fiorentini compromessi dal D., ma condannò quest'ultimo al carcere perpetuo alle Stinche con una sentenza del 13 apr.1390.
La severità delle autorità fiorentine nei confronti del D. durò molto a lungo, provocando ripetuti fallimenti dei tentativi, compiuti personalmente dal D. o da altri, per ottenere la scarcerazione o un'abbreviazione della pena, confermando così la reputazione di uomo estremamente pericoloso che emerge dai documenti del processo. Da questo momento ebbe fine la vita elegante e avventurosa del D., che lo aveva veduto alla corte dei Visconti e ospite di nobili e splendide case come quella di Manetto Davanzati: egli restò chiuso in carcere per diciassette anni. Al periodo della lunga detenzione appartiene la sua attività letteraria; svolta, come egli stesso ebbe a dire, più per una prepotente inclinazione naturale che per un'adeguata formazione culturale; e che spesso fu "scrivere per prego", cioè composizione su commissione e a pagamento. Essa include liriche, laude, ottave e capitoli, e il più noto poemetto che porta il nome di Fimerodia.
Il D., le cui azioni politiche hanno normali motivazioni di interesse familiare, ma non furono trascurabili, si proclamò sempre innocente e ingiustamente perseguitato. Sono questi i motivi ricorrenti di un interessante carteggio intrecciato dal carcere con alcuni corrispondenti e benefattori, come Manetto Davanzati, padre del dedicatario, Luigi di Manetto, della Fimerodia, e di essa probabile committente; come il celebre mercante Francesco di Marco Datini da Prato, che con i familiari svolgeva attività caritatevoli attraverso il Ceppo de' poveri di Prato, e che ci tramandò le lettere alle quali il D. deve la fama, lungamente perpetuatasi, di vittima innocente del cieco rancore imperialistico del Comune fiorentino; come Donato Acciaiuoli, che procurò al detenuto qualche agevolazione. A Coluccio Salutati il D. indirizzò un capitolo, "Tra' miei gravi dolor un nuovo affanno". Con Zenone da Pistoia intrecciò alcuni sonetti.
"L'anno de' Bianchi fece alcuna lauda / Che fu cagion di sua fama di fuore": così Stefano Finiguerri detto lo Za, in un luogo della sua Buca. Nel 1399, infatti, il D. aderì con devozione al moto spirituale dei bianchi, e compose in tale occasione le sei laude che si conoscono di lui. Fu questo il momento del più importante tentativo, specie della cerchia del devoto Datini, per ottenerne la scarcerazione. La grazia gli fu però negata e non poté uscire dal carcere prima del settembre 1407. Null'altro si sa di certo sul suo conto; un ultimo scorcio della vita di questo magnate di Montepulciano, assimilato alla schiera dei falliti fiorentini perseguitati dai debiti, si legge nel luogo ricordato della Buca del Finiguerri. La data di quest'opera non ci porta molto oltre l'anno 1407, sebbene il brano che dà per vivo il D. possa esser stato anche scritto qualche anno piu tardi (Guerri).
Fimerodia, cioè famoso canto d'amore ènei codici il titolo di un poema in trentotto capitoli in terza rima, intercalati con alcune canzoni, composto non prima del 1395 (Renier) e non oltre il 1404 (Zaccagnini). Preceduto da un'Epistola a Luigi di Manetto Davanzati, "giovane inamorato", ha per tema l'amore di Luigi per Alessandra di Riccardo di Piero de' Bardi, sposa di un Sassolini, ed è poema morale in forma di visione allegorica: una spiritualizzazione del Roman de la Rose esortante all'amore virtuoso e ricca di digressioni, tra le quali si segnala la rassegna di illustri fiorentini con un famoso elogio del Petrarca nel libro II. Nonostante le fitte reminescenze dantesche, la visione deve molto alle più recenti prove allegoriche del Petrarca, specie del Trionfo di castità, e del Boccaccio dell'Amorosavisione. Materiali mitologici e altri segnali riconducono invece alla voga classicistica del coevo umanesimo fiorentino.
La Fimerodia fuedita dal Del Balzo nel 1891 sulla scorta del cod. Magliab. II. 128 e del Magliab. VII. 963. 8 della Bibl. nazionale di Firenze. G. Zaccagnini segnalò un terzo codice (autografo?), il cod. Acq. 70 della Bibl. Laurenziana di Firenze. La rassegna dei fiorentini illustri si legge anche nel Vat. lat. 3126 della Bibl. apost. Vaticana. Le Lettere del D., pubblicate da C. Guasti e da G. Zaccagnini, sono tratte dal Carteggio Acciaiuoli delFondo Ashburnham della Laurenziana, e dall'Archivio di Stato di Firenze, Arch. del Ceppo, Carteggio privato di F. Datini. Delle laude, quattro, edite dal Tenneroni, si leggono nel cod. Ashb. 423 della Laurenziana; due, inedite, nel Chig. L. VII. 266 della Bibl. apost. Vaticana. Le liriche sono conservate per la maggior parte dal ms. 162 della Fraternità di S.Maria di Arezzo, e dal Parmense 1081 della Bibl. Palatina di Parma.
Sulla pergamena che serve di guardia all'indice in un volume di contratti del sec. XVI della Biblioteca capitolare di Prato si leggono frammenti di un capitolo alla Vergine con una didascalia che lo definisce "declamatione overo soliloquio, fatto per jacopo di Messer Bertoldo da Monte pulciano, infelicissimo, alla Vergine Maria, per la negata gratia" del 1399. Scoperta nel 1838 dal Tommaseo, diede inizio alla fama romantica del patetico prigioniero delle Stinche. La ricostruzione storica delle vicende del D. è stata tratta (Zaccagnini) dall'Archivio di Stato di Firenze, Consulte e pratiche, Provisioni per gli anni 1390, 1399 e 1407 e soprattutto dal Liber sive quaternus malleficiorum Comunis Florentini continens in se inquisitiones factas tempore magnifici et potentis militis domini Iohannis Marii de Camporinis de Esculo etc. sub anno D. MCCCLXXXVII et partim sub anno D. MCCCLXXXX.
Bibl.: G.M. Crescimbeni, L'istoria della volgar poesia, III, Venezia 1730, pp. 194 s.; N. Tommaseo Gita a Prato, in Nuovi scritti, II, Venezia 1838, p. 313; C. Guasti, Ser Lapo Mazzei. Lettere d'un notaro a un mercante del sec. XIV, Firenze 1880, II, pp. 343-47; T. Casini, I manoscritti della Biblioteca naz. di Firenze, II, Firenze 1881, pp. 172-82;F. Zambrini, Tre canzoni di Iacopo da Montepulciano, Imola 1881;R. Renier, Un poema sconosciuto degli ultimi anni del sec. XIV (Fimerodia di I. D.), in Il Propugnatore, XV (1882), 1, pp. 176-87, 325-79; 2, pp. 42-75;Iacopo da Montepulciano, Frammento di un capitolo alla Vergine tratto da una pergamena del buon secolo della lingua, Prato 1882;R. Renier, Cinque sonetti di Iacopo da Montepulciano, in Giorn. stor. d. lett. ital., I (1883), pp. 440-45;L. Gentile, Rime ined. di I. daMontepulciano e d'altri a lui, ibid., III (1884), pp. 222-30; La Buca di Monteferrato, lo Studio d'Atene e il Gagno, poemetti satirici del XV sec., a cura di L. Frati, Bologna 1884, pp. 40e X-XI (cfr. la recensione di S. Morpurgo in Riv. crit. d. letter. ital., I [1884], p. 175; IV [1887], p. 168); A. Tenneroni, Laude di Iacopo da Montepulciano, in Giorn. stor. d. letter. ital., XI (1888), pp. 190-97;E. Costa, Il Codice parmense 1081, ibid., XII (1888), pp. 106 s.; G. A.Scartazzini, Prolegomenialla Divina, Commedia, Leipzig 1890, p. 555; C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a DanteAlighieri, III, Roma 1891, pp. 5-208;L. Volpi, Rime di trecentisti minori, Firenze 1907, pp. 180ss.; L. F. Benedetto, Il Roman de la Rose e laletter. ital., Halle 1910, pp. 182-85;G. Zaccagnini, I. da Montepulciano, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXXVI (1925), pp. 225-88;N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1934, pp. 132 s., 138, 561, 569 (nell'ed. ibid. 1973, pp. 129 s., 137, 532);D. Guerri, La corrente popolare nel Rinascimento, Berte, baie eburle nella Firenze del Brunellesco e del Burchiello, Firenze 1931, pp. 40-55;G. Petrocchi, Cultura epoesia del Trecento, in Storia d. letter. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, II, Milano 1965, p. 600; N. Sapegno, Storia letter. d. Trecento, MilanoNapoli 1968, p. 176.