DEL PECORA, Iacopo
Figlio di Bertoldo di Guglielmo, nacque con ogni probabilità a Montepulciano (Siena) da illustre famiglia locale, ignoriamo esattamente in quale anno, ma certo nei primi decenni dei sec. XIV.
I Del Pecora si erano venuti affermando nella loro città per potenza economica e influenza politica sul finire del secolo precedente, ed avevano accelerato la loro ascesa per mezzo di prestigiosi matrimoni e attraverso la gestione di importanti incarichi militari. Tuttavia fu solo verso la metà del Trecento che la storia della loro famiglia si identificò con la storia stessa di Montepulciano, quando il dissidio, che allora contrappose il D. - esponente principale della sua casata e in quegli anni uno dei maggiori protagonisti della vita pubblica della sua città - al fratello Niccolò, si radicalizzò, travalicando gli ambiti locali e coinvolgendo gli interessi non solo di Firenze e di Siena, che da secoli si disputavano l'egemonia politica su Montepulciano, ma anche quelli di Arezzo, di Perugia, e dello stesso re dei Romani Carlo IV del Lussemburgo.Le prime notizie sicure in nostro possesso a lui relative iniziano a partire dal 1352, quando, probabilmente scissosi in due fazioni antagoniste il gruppo di potere che dominava allora Montepulciano, il D. organizzò un colpo di Stato per rovesciare il governo filo-fiorentino dei "Cinque difensori" e del Consiglio generale e farsi signore della città, contando soprattutto sull'appoggio militare del signore di Milano Giovanni Visconti, la cui politica di espansione stava per accendere in Toscana un conflitto di vaste dimensioni (reparti viscontei erano allora impegnati in azioni di guerra contro Perugia). Il complotto e l'accordo col Visconti, messi a punto nei primi mesi di quell'anno, vennero tuttavia scoperti dal fratello stesso del D., Niccolò, che probabilmente aderiva alla fazione avversa e che con ogni verosimiglianza dovette cogliere l'occasione per eliminare il D. dalla vita pubblica cittadina ed'assumere - pur rimanendo nella legalità delle istituzioni comunali - il ruolo di leader politico incontrastato. Infatti il 7 aprile, giorno di sabato santo, Niccolò denunziò alle autorità e al popolo il fratello, suscitando un tumulto nel corso del quale il D. e "venti altri terrazzani suoi seguaci, uomini nominati di stato intra il Popolo", furono espulsi con la violenza dal borgo fortificato; e quando, subito dopo, le magistrature municipali "riformarono la Terra di loro reggimento" e dichiararono al bando il D. ed i suoi aderenti, questo venne fatto "col consiglio di messer Niccolò" (M. Villani).
Rifugiatosi a Siena., il D. si diede immediatamente a preparare la rivincita, riorganizzando le sue forze e prendendo contatti con possibili sostenitori, cercando alleanze ed appoggi tra le potenze ostili a Firenze. Collusioni e simpatie doveva tuttavia aver certamente conservato anche nel suo borgo nativo, se era riuscito a trascinare dalla sua - come riferisce il Villani - il magistrato incaricato della difesa e del mantenimento dell'ordine pubblico in Montepulciano, ed una parte della gente d'arme che stava ai suoi ordini.
Nell'autunno aveva già raccolto un piccolo esercito di fuorusciti, che aveva rinforzato con un reparto di oltre 100 cavalieri inviatogli da Giovanni Visconti. E compì un nuovo tentativo per impadronirsi di Montepulciano.
Il 2 novembre, a notte già fatta, si presentò sotto le mura del borgo, alla testa dei suoi armati: gli fu aperta una porta ed egli si inoltrò sino alla piazza grande, chiamando il popolo alla rivolta. Là venne improvvisamente attaccato dal fratello Niccolò che, alla testa di pochi armati, ebbe in breve ragione degli avversari. Il D. riuscì a stento a salvarsi fuggendo con una ventina di compagni; il resto dei suoi rimase intrappolato nel borgo e cadde prigioniero.
La repressione allora compiuta dalle autorità municipali fu spietata: il magistrato sopra la Guardia ed i suoi uomini d'arme, che avevano tradito, vennero impiccati, insieme con venticinque dei cavalieri entrati nel borgo al seguito del D., mentre gli altri furono tutti mutilati delle orecchie e del naso. "Montepulciano fu libera, per questa volta", osserva qui il cronista, "ma cagione fu appresso della loro soggezione". Infatti nel corso del 1353 il conflitto fra il D. e suo fratello per la direzione politica del loro borgo si ampliò, superando il ristretto ambito municipale e coinvolgendo anche le potenze limitrofe maggiori, che intervennero con il peso delle loro armi nella lotta.
Dopo il fallimento della sua impresa contro Montepulciano, il D. trovò nuovamente asilo a Siena. Niccolò ed il governo dei Cinque difensori del Popolo, allora, temendo che Siena potesse aiutare il D. nei suoi propositi di rivincita, cercarono l'alleanza di Perugia. Siena, che paventava un qualsiasi aumento della potenza di Perugia, decise immediatamente di agire per staccare Montepulciano dall'intesa con Perugia, riportandola all'antica soggezione. I Senesi posero l'assedio a Montepulciano difesa anche da truppe perugine, mentre Firenze, preoccupata per le possibili e pericolose conseguenze del prolungarsi di una guerra tra Comuni guelfi, cercava di mediare tra le parti in conflitto. Siena riuscì ad avere la meglio sull'avversaria, ma fu costretta a trattare: dopo laboriosi negoziati dovette acconciarsi a firmare un accordo con Montepulciano, che la privava in parte dei frutti della campagna militare. Scontento ne dovette rimanere anche il D., cui non fu concesso di far ritorno in patria (21 apr. 1353).
Per le clausole di questo trattato - della cui esecuzione erano garanti Firenze e Perugia - Montepulciano si vedeva riconosciuto il diritto di reggersi a governo di popolo, ma doveva accettare, per un periodo di vent'anni, il protettorato di Siena, e s'impegnava ad accogliere entro le mura, per il medesimo periodo di tempo, un "capitano di Guardia" ed un presidio senese. Siena, dal canto suo, prometteva di riconoscere per la durata di dieci anni a Niccolò l'immunità personale e reale, ed il diritto di continuare a risiedere in Montepulciano; si assumeva inoltre l'obbligo di versare a lui, giacché aveva sostenuto il maggior onere delle spese di guerra, un indennizzo di 6.000 fiorini. Quanto al D., non poté ottenere la revoca della condanna all'esilio. Il governo senese si impegnava tuttavia - proprio in forza di questo trattato - a pagargli un risarcimento di 3.000 fiorini e a corrispondergli regolarmente le rendite dei suoi beni in Montepulciano.
Lo storico senese Orlando Malavolti osserva che non "si vede già nel contratto di questa capitolazione ... che i Sanesi s'obbligassero a dare alcuna quantità di denari a m. Niccolò, né a m. Iacomo ... come afferma Matteo Villani". Secondo il Tommasi, il trattato di pace avrebbe costretto Montepulciano a far rientrare i fuorusciti e a versare alla Repubblica di Siena la cospicua somma di 9.000 fiorini, che avrebbe ricavato dalla confisca e dalla vendita dei beni dei Del Pecora. Lo stato attuale delle ricerche non consente di accertare queste notizie.
Una volta che ebbero posto piede a Montepulciano i Senesi riformarono il Comune, facendo fra l'altro togliere dai bossoli per le elezioni alle cariche pubbliche tutti i nomi dei componenti la famiglia Del Pecora, e fecero eleggere i cinque priori. Agirono poi contro Niccolò: nel 1354 infatti lo bandivano dalla città, accusandolo - ingiustamente secondo il Villani - di tradimento. Con Niccolò furono colpiti con sentenza di bando anche numerosi suoi aderenti. Falliti i suoi tentativi per rientrare con la forza in patria, Niccolò si vide accomunato al D. nella condizione di esiliato.
Come l'intervento nelle vicende politiche della Toscana di una grande potenza come quella dei Visconti, sin'allora rimasta ad esse estranea, aveva contribuito nel 1352 ad esasperare il conflitto tra il D. e suo fratello per la direzione politica di Montepulciano, così l'apparizione nella penisola di una nuova forza, quella del re dei Romani Carlo IV del Lussemburgo, venuto in Italia sul finire del 1354 per cingervi la corona ferrea e quella imperiale, valse a risollevare le fortune dei Del Pecora.
L'ingresso in Siena del sovrano (23 marzo 1355) ebbe come conseguenza una serie di agitazioni popolari che culminarono con una sommossa che portò alla caduta del regime dei Nove, sin'allora al governo nella città (27 marzo). Tali avvenimenti ebbero un influsso negativo anche sulle condizioni interne dei Comuni soggetti e su quelli finitimi, ed offrirono al D. la possibilità di rientrare in patria e di riassumervi il potere.
Senza dubbio egli aveva tratto le dovute conclusioni dalle amare esperienze degli anni precedenti. Si era infatti rappacificato col fratello, ormai convinto "che la loro discordia gli aveva abbattuti dalla signoria, e cacciati dalla loro Terra e dalla città di Siena" (M. Villani). Aveva inoltre senza dubbio valutato in tutte le sue implicazioni il peso di un elemento di disturbo nei normali rapporti fra le potenze italiane, quale era quello rappresentato dalla presenza del re dei Romani; e doveva essere certo che il nuovo regime instaurato in Siena "dal Popolo minuto e dagli artefici" non poteva avere, data la sua intrinseca debolezza e la sua evidente caducità, se non molto scarse possibilità di reazione nei confronti di iniziative esterne condotte con spregiudicatezza e decisione.
Puntando su questo favorevole complesso di circostanze, tra il febbraio e il marzo del 1355 il D. inviò il fratello Niccolò a Montepulciano col compito di imporvi nuovamente la loro autorità. Niccolò fu accolto favorevolmente, assunse il governo in nome proprio e del D., e pose l'assedio alla rocca, nella quale si era asserragliato il presidio senese. Per prevenire qualsiasi reazione sia da parte delle autorità di Siena, sia da parte del sovrano, il D., non appena fu informato della buona riuscita dell'impresa, "avendo in sua compagnia alquanti grandi uomini di Siena", si presentò dinnanzi al re dei Romani, che si trovava ancora a Siena, "e informollo pienamente dei manifesto torto, che il popolo di Siena aveva fatto loro, non attenendo i patti né le convenienze ch'aveano promesse per la corrotta fede dei Nove" (M. Villani). Il discorso convinse Carlo IV il quale concesse ai due Del Pecora il vicariato imperiale per la Terra di Montepulciano (fine marzo). Ma quando pochi giorni dopo sostò a Montepulciano, dove fu degnamente accolto dal suoi nuovi vicari, il sovrano "nella Terra mise altra gente alla Guardia", e volle che il D. lo seguisse col fratello nella marcia verso Roma, dove giunsero il 1º aprile; qui si ruppe la buona intesa che sembrava essersi stabilita tra i tre. Niccolò, convocato dall'imperatore per rispondere di accuse che erano state lanciate contro di lui, "per sospetto della sua persona "rifiutò di presentarsi al sovrano: anzi, se ne partì da Roma senza nemmeno prender commiato da lui, e fece ritorno a Montepulciano. Poco dopo anche il D. rientrava in patria.
Nei confronti di Siena e del suo nuovo regime il D. e suo fratello cercarono di mantenere in questo periodo un atteggiamento di indipendenza; lo stesso fecero nei confronti del patriarca di Aquileia, il vicario imperiale che Carlo IV aveva lasciato in quella città. Da un lato, infatti, mantennero l'assedio alla rocca di Montepulciano; dall'altro si rifiutarono di ottemperare - come del resto fecero allora anche Massa e Grosseto - agli ordini ed ai provvedimenti del vicario imperiale, così come si rifiutarono di accogliere i suoi inviati. In un secondo momento, dopo i torbidi che culminarono il 27 maggio con l'espulsione da Siena del patriarca di Aquileia, arruolarono un buon numero di soldati e, con il contributo militare fornito anche dalla popolazione locale, ripresero con maggior decisione l'assedio della rocca. Nel giugno il governo senese, dopo aver riassoggettato Massa e costretto Grosseto alla sottomissione, inviò tutte le sue forze ad investire Montepulciano, con l'obiettivo di portare soccorso al presidio della rocca. Tra la fine di settembre ed il mese d'ottobre il D. e suo fratello. dopo aver respinto i tentativi compiuti dal governo senese sul piano diplomatico per giungere ad una soluzione non cruenta della crisi, temendo probabilmente un attacco in grande stile da parte di Siena, si schierarono con una delle antagoniste di quest'ultima, Perugia, cui offrirono "la guardia di Montepulciano". Perugia accettò ed inviò in questa città "soldati a cavallo e a pié per difenderla da' Sanesi" (M. Villani).
Ne seguì una nuova guerra che desolò la regione e coinvolse anche Cortona. È difficile dire quale parte ebbe il D. nelle vicende di questo conflitto, che culminò nella battaglia di Torrita, vinta dai Perugini e dai loro alleati (10 apr. 1358), e che si concluse con il lodo pronunziato il 30 ottobre di quello ste sso anno dal vescovo di Torcello e legato pontificio in Romagna. A certo, tuttavia, che il D. dovette mantenersi fedele all'alleanza con Perugia, così come fece suo fratello Niccolò; e che nella giornata di Torrita si fece notare tra le file degli alleati di Perugia un figlio del D., Gherardo, il quale fu dai Perugini creato cavaliere, a riconoscimento del suo valore. Risulta inoltre, dalle disposizioni del lodo del 30 ott. 1358, che il D. e suo fratello furono costretti ad. abbandonare il governo di Montepulciano e a ritirarsi dai confini per motivi di ordine pubblico.
Fu, ad ogni modo, un esilio di breve durata. Già nel maggio del 1359 Niccolò, che i Perugini avevano creato cavaliere ed al quale avevano donato una tenuta presso Montepulciano, rientrava in patria, accolto con gioia dai suoi concittadini. Poco dopo, fatto richiamare dal fratello, anche il D. tornò in patria, dove, insieme con Niccolò, riassunse il potere. La restaurazione della signoria dei due Del Pecora avvenne - per quanto ci consta - all'insegna del consenso e della concordia: concordia consortile e di fazioni, che durò cinque anni, durante i quali la politica estera di Montepulciano seguì una coerente linea programmatica di equidistanza tra Siena e Perugia, e che venne bruscamente e violentemente interrotta nei primi mesi del 1364, quando "per trattato fatto per i Sanesi colla forza de' fanti d'Agnolino Bottoni, contra i patti della pace fatta tra' Perugini e' Sanesi messer Niccolò Del Pecora per i consorti suoi fu cacciato di Montepulciano" (F. Villani). Perugia non intervenne a difesa del suo antico alleato e il D. rimase solo a governare il Comune.
La vendetta di Siena colpì il D. cinque anni più tardi. Agli inizi del 1369, infatti, i "grandi", usciti da Siena, con l'appoggio di quest'ultima e con quello degli estrinseci e dei fuorusciti, attaccarono Montepulciano e la conquistarono. Il D. venne deposto e incarcerato. Pochi giorni dopo, nel corso di disordini, venne strappato ai suoi custodi e linciato dalla folla tumultuante.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Madonna de' Ricci crociferi, 1352, maggio 2; S. Ammirato, Istorie fiorentine, IV, Firenze 1824, pp. 176, 220;M. Villani-F. Villani, Cronica, a cura di F. Dragomanni, Firenze 1846, V, pp. 215, 236, 257, 279, 351, 387, 401, 434, 461; VI, pp. 217, 468; O. Malavolti, Dell'historia di Siena, Venetia 1559, II, p. 136; G. Tommasi, Historie di Siena, II, Venezia 1626, pp. 319 s.; S. Benci, Storia della città di Montepulciano, Firenze 1641, pp. 39 ss., 43 ss., 49 ss.; E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, III, Firenze 1839, pp. 469-472; R. Renier, Un poema sconosciuto degli ultimi anni del sec. XIV, Bologna 1882, pp. 78 s.