DANI, Iacopo
Incerta la data della nascita, che si presume avvenuta intorno al 1530 a Bruges, come risulta dal suo testamento, nel quale gli viene attribuito l'aggettivo di Bruggensis.
Si può fare l'ipotesi che il padre, Luigi, fosse allora al servizio dei Medici, in una loro agenzia all'estero. Si spiegherebbe così il luogo di nascita del D. e il fatto che in un registro di "provisionati" della corte medicea si trovi: "messer Jacopo Dani, fiammingo, scolare in Pisa con provisione di scudi 4 al mese, comincia dal dì primo dì marzo 1551...". Cosimo I, in virtù di servigi resigli dal padre, avrebbe fatto studiare a sue spese il D. nello Studio di Pisa.
Questa sembra la tesi più probabile sul primo periodo della vita, per altro alquanto oscuro: infatti alcune fonti lo dicono nato a Trento, mentre F. Diaz afferma che la sua famiglia era originaria del Piemonte. Quel che è certo è che il D., così come molti dei funzionari della burocrazia medicea, non apparteneva a una famiglia di cittadini fiorentini, né a differenza di altri "forestieri" a cui fu concessa la cittadinanza per "grazia" del principe, la conseguì mai.
Dopo essersi laureato a Pisa in utroque iure il 15 apr. 1555, il D. entrò a far parte dei ruoli della segreteria medicea. Quindi tre anni dopo venne inviato come segretario di legazione alla corte imperiale al servizio dei residenti Lorenzo de' Medici prima e Antonio degli Albizzi poi. Qui per una serie di motivi, tra la partenza del Medici, avvenuta nel settembre del 1560 e l'arrivo del suo successore nell'ottobre del 1561, si trovò solo per più di un anno a difendere gli interessi della Toscana. Rientrato a Firenze nell'estate del 1562 riprese a svolgere le normali incombenze di segretario. Nel 1564 fu nuovamente inviato alla corte di Vienna con un incarico specifico: il perfezionamento degli accordi per le nozze tra il principe ereditario e Giovanna di Asburgo figlia di Ferdinando I, morto quell'anno, e sorella di Massimiliano II, nuovo imperatore.
Conclusa la missione. il D. ritornò ai suoi compiti di segretario, senza peraltro ricoprire incarichi di particolare prestigio; nel 1569, secondo una lettera a lui inviata da Filippo Cavriana era "segretario alle suppliche", incaricato cioè di ricevere e registrare tutte le suppliche e richieste che venivano inviate al principe dai sudditi dello Stato.
Non si sa, tuttavia, quali fossero le sue mansioni specifiche in questi anni fino al 1582. Certamente oltre a dedicarsi al disbrigo degli affari politici il D. dovette continuare gli studi. "Uomo adunque adornato di tante belle cognizioni" (Salvini), egli intrattenne un fitto carteggio con letterati ed eruditi del tempo, come risulta dalle numerose lettere a lui inviate da Francesco Bocchi, da Paolo Cini, da Iacopo Strada, da Vincenzo Borghini. Un'altra testimonianza della sua passione per gli studi si trova nel testamento dove si fa menzione di molti libri di storia e di filosofia, matematica, medicina e anatomia.
Il D. raggiunse l'apice della carriera burocratica il 20 dic. 1582, quando, secondo il decreto di Francesco I, fu nominato "auditore delle Riformagioni" e "secretario della Magnifica Pratica Segreta".
L'auditore, specie nei primi tempi del principato, era uno dei più stretti consiglieri del duca, esercitando, come era caratteristico dell'epoca, sia funzioni proprie di un ministro particolare del principe, che di "ufficiale pubblico" in diretto contatto con gli organi che la costituzione del 1532 aveva posto al vertice dello Stato: il Magistrato Supremo, il Consiglio dei duecento, di cui era anche il segretario, ed il Senato dei quarantotto. In questa veste non solo registrava le deliberazioni di questi organi collegiali, ma soprattutto curava la formazione e la stesura delle leggi e delle norme da essi emanate, sottoponendoli così, in nome del principe, ad un rigido controllo che ne svuotava le funzioni politiche. Oltre a varie incombenze, tra le quali la censura sulla stampa, ad esso era affidato il compito di istruire tutti gli affari che dovevano essere trattati dalla Pratica Segreta, una sorta di consiglio ristretto, formato dai principali funzionari, che prendeva parte alla trattazione di tutte le questioni relative alla politica interna dello Stato.
Il D. continuò a ricoprire la carica di auditore delle Riformagioni e di segretario della Pratica Segreta anche col successore di Francesco, Ferdinando I. Nel 1590 fu chiamato a svolgere temporaneamente le funzioni di "primo auditore et secretario", durante l'assenza, per un'ambasceria presso la corte imperiale, del titolare Giovan Battista Concini. Due anni più tardi, nella sua qualità di segretario della Pratica Segreta, dovette affrontare il problema della manomorta ecclesiastica in Toscana.
Infatti, in seguito ad un decreto del Collegio cardinalizio, che stabiliva che come dote per ogni monaca fossero assegnati beni stabili con una rendita di dieci scudi l'anno, Ferdinando I chiese alla Pratica Segreta e all'auditore Cavallo se fosse possibile "trovar modo legittimo che i beni dei layci non passino nelli non conferenti". Accompagnava il rescritto granducale un'informazione del D. con alcune osservazioni di estrema perspicacia sulle conseguenze deleterie che, attraverso le doti monacali, si avevano nell'economia del paese per l'aumento continuo dei beni immobili di proprietà ecclesiastica. Esse ricordano da vicino le polemiche degli scrittori settecenteschi contro la monasteriorum proprietatem e per la limitazione della manomorta. La maggioranza della Pratica Segreta si schierò tuttavia contro ogni ingerenza verso i diritti acquisiti della Chiesa, nonostante che il D. ribadisse che "i principi secolari non riconoscono loro superiori entro lo stato per il bene pubblico e le leggi devono essere osservate da secolari e da ecclesiastici"; l'atmosfera controriformistica della Firenze della fine del XVI secolo sconsigliò al granduca ogni ulteriore iniziativa di riforma in questo campo.
Fu nominato console dell'Accademia fiorentina nel 1597. Il D. morì a Firenze l'11apr. 1598. Fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo. Non aveva formato una famiglia; suoi eredi furono due nipoti, i servitori, i "ministri" del suo ufficio, oltre a vari amici e a ospedali e enti di assistenza.
Fonti e Bibl.: Il testamento del D. si trova nell'Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno 1410, cc. 87r-90v. La provvisione per studiare a Pisa, Ibid., Depositeria generale 391, c. 129. Altre notizie relative a pagamenti al D., Ibid. 392, c. 136; 393, c. 132; 394, c. 55; 1514, c. 13; 1515, c. 7; 1516, cc. 15 e 95; Miscell. medicea, 264, ins. 20 e 299, ins. 3; Nove Conserv., 936, ins. 132. Cfr. anche Ibid., Indici della Segreteria Vecchia, a C. di F. Brunetti, VI, cc. 95 ss.; Firenze, Bibl. nazionale, Poligrafo Gargani 699 (dove peraltro Bruges viene confusa con Bruxelles). Per la sua attività di segret. di legazione si veda Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 4323 e 4482; l'istruz. per l'ambasceria alla corte imperiale del 1564. Ibid., Carte Strozziane, I serie, XLII, cc. 44r-45v. Per quella di segretario a corte si veda Ibid., Mediceo del Principato, 1317-1318. Il carteggio con vari eruditi del tempo si trova, Ibid., Carte Strozziane, I serie, CXXXIV, cc. 42-49 (lettere di F. Bocchi al D.), c. 51 (lettera di F. Cayriana), cc. 55-62 (lettere di vari al D.); CXXXVII, cc. 280-286 (lettere di V. Borghini al D.); CCCVII, cc. 63-72 (lettere di I. Strada al D.). Il decreto con la nomina a auditore si trova: Ibid., Magistrato Supremo 4314, c. 15rv; si veda pure ibid. 4315, cc. 100v-101r. Circa la sua attività di auditore e di segretario della Pratica Segreta si vedano le filze di Negozi dell'auditore Iacopo Dani, Ibid., Auditore delle Riformagioni 14-22; Pratica Segreta 12-14. L'informazione del D. sulle doti delle monache e sulla manomorta è Ibid., Auditore delle Riformagioni 20, cc. 73r-93v, 792r-860v e in Pratica Segreta 13, ins. 83. La data di morte, Ibid., Medici e Speziali 254, c. 203v.
Scarsa la document. bibliografica: oltre a una scarna biografia in S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia fiorentina, Firenze 1717, pp. 337 ss. (dove si confonde ugualmente Bruges con Bruxelles), si può vedere A. Panella, La censura sulla stampa e una questione giurisdiz. fra Stato e Chiesa in Firenze alla fine del secolo XVI, in Archivio storico italiano, s. 5, XLIII (1909), pp. 140-151; A. Lapini, Diario fiorentino dal 252 al 1596, a cura di G. O. Corazzini, Firenze 1910, p. 261; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 78 s.; F. Diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 175, 242, 281, 283, 335; R. Del Gratta, Acta Graduum Academiae pisanae, Pisa 1980, I, p. 28. Per le notizie intorno al tentativo di riforma della manomorta si veda N. Rodolico, Stato e Chiesa in Toscana durante la Reggenza lorenese, Firenze 1910, pp. 277-286; A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1977, pp. 171-74, 534-47.