Iacopo da Lentini
Rimatore siciliano (sec. XIII), su cui sono pervenute scarse, frammentarie e spesso indirette notizie. Fu notaio al seguito dell'imperatore Federico II, e per questa carica, da lui ricoperta per un presumibilmente non breve periodo di tempo, egli è anche noto per antonomasia, nei codici di rime e in opere di letterati, semplicemente come il " Notaio " O " Notaro ".
La sua presenza presso Federico è attestata in documenti dell'anno 1233, dai quali risulta che egli fu a Policoro, in Basilicata, nel marzo, a Catania e a Messina nel giugno, a Castrogiovanni (oggi Enna) nell'agosto e a Palermo nel settembre. Una sua firma autografa inoltre egli appose in qualità di testimone in un altro documento che si conserva nell'Archivio del Tabulario di S. Maria delle Moniali di Messina, datato 5 maggio 1240: " Iacobus de Lentino, domini imperatoris notarius "; e a lui si fa cenno in lettere imperiali dell'aprile e del maggio di quello stesso anno. Dal contenuto delle sue poesie si ricavano elementi allusivi di condizioni politiche riferibili, assai probabilmente, al 1233-34 (cfr. Ben m'è venuto prima cordoglienza 34-35), nonché l'esatta e ripetuta indicazione del luogo di nascita dell'autore: " Lo vostro amor, ch'è caro, / donatelo al Notaro / ch'è nato da Lentino " (Meravigliosamente 61-63); e ancora: " Per vostro amor fui nato, nato fui da Lentino " (Madonna mia 53-54). E le sue tenzoni con Pier della Vigna e con Iacopo Mostacci insieme, probabilmente nell'ambito stesso della corte, e con l'Abate di Tivoli inducono a fissare nel decennio 1230-1240 circa la sua attività poetica.
I. è dunque a buon diritto ed è stato sempre considerato uno degl'iniziatori, e forse l'iniziatore, della nuova poesia in volgare, e il caposcuola dei più antichi rimatori. Tale egli apparirà già nel venerando codice Vaticano 3793; ed è fuor di dubbio che la tecnica espressiva da lui inaugurata in volgare costituisse subito un valido testo d'imitazione per i ‛ siciliani ' delle varie regioni d'Italia. Fra l'altro, a lui si attribuisce con fondamento di verità la fortunata invenzione del sonetto, diventato immediatamente la forma metrica di gran lunga più usata.
Sonetti, canzoni e un discordo costituiscono il relativamente nutrito canzoniere che di lui ci è pervenuto; nel quale confluiscono temi, motivi e immagini della poesia provenzale, nonché certi lati anche difficoltosi di quella specifica tecnica dell'entrebescamen (costrutti assai complessi, aggrovigliati e oscuri), che avranno poi tanto seguito presso Guittone e i guittoniani (cfr. [E]o viso e son diviso da lo viso). La trama ideologica delle poesie implica radicalmente la tradizionale concezione d'amore cortese e cavalleresca, improntata all'origine di atteggiamenti di carattere feudale; onde l'immagine della donna-signore altera e irraggiungibile, la condizione del poeta-vassallo legato al servizio d'amore dolcemente e dolorosamente, la speranza del ‛ meritare ', la gelosia, il gabbo, ecc.; elementi tutti che, mutuati dai provenzali, diverranno topici presso tutti i ‛ siciliani ' e oltre. Analogamente, siffatta trama ideologica si cala in un dizionario d'immagini anch'esso in buona parte ripreso dai provenzali, nel quale non mancano quelle dell'" omo salvaggio ", della " stella rilucente ", degli " occhi belli " che sono le porte dell'amore, della " fresca cera ", della nave sbattuta dal mar tempestoso, degli elementi naturali in funzione simbolica, e così via, con l'ovvia utilizzazione del tradizionale bestiario (salamandra, vipera...). E anche la tecnica espressiva imita dai poeti di Provenza le dittologie sinonimiche, i chiasmi, gli ossimori, l'aggettivazione cristallizzata e simili mezzi retorici in una lingua costellata di provenzalismi, oltre che di francesismi e di latinismi, e in una metrica che non ignora le rime care, le rime unisonanti, le riprese, e anzi riproduce in volgare anche l'estro ritmico del discordo. Sicché la figura di I. si presenta principalmente come quella di un rielaboratore e di un adattatore in siciliano illustre della poetica provenzale, anche se i suoi versi non mancano talora di una grazia lieve e trasparente, e sia pure calligraficamente stilizzata e manieristica (cfr. Io m'aggio posto in core a Dio servire; Madonna ha 'n sé vertute con valore, ecc.).
Una menzione particolare meritano i versi che egli scambiò in tenzone con l'Abate di Tivoli su modi e vicende amorose, e specialmente quelli che anche in tenzone scambiò con Iacopo Mostacci e Pier della Vigna sulla natura d'amore. Il sonetto Amor è uno desio che ven da core, concepito nell'ambito di una precisa ideologia etico-cortese, costituisce felice sintesi di una diffusa poetica e quasi il primo manifesto di una rinnovata tradizione in lingua volgare.
Nel De vulg. Eloq., ove pure è assegnato adeguato spazio alla scuola poetica siciliana, il nome di I. non compare mai espressamente. Di lui, erroneamente inserito fra gli Apuli, cioè fra i continentali, è ricordata soltanto la canzone Madonna dir vo voglio senza nome di autore, probabilmente perché a tutti noto, insieme con l'altra Per fino amore di Rinaldo d'Aquino (anche questa senza il nome dell'autore), quale testo esemplare dello stile di quei poeti meridionali præfulgentes, i quali polite locuti sunt, vocabula curialiora in suis cantionibus compilantes (I XII 8). Più ampi riconoscimenti sono invece attribuiti ad altri ‛ siciliani ', per esempio a Guido delle Colonne. Ma nel poema, nel celebre episodio di Bonagiunta da Lucca (Pg XXIV 56) ove in veloce prospettiva compaiono i modi critici della prima poesia italiana, è proprio il nome di I. che ritorna, nella sua antonomastica qualifica di Notaro, accanto a quello di Guittone, a significare emblematicamente l'intera scuola poetica siciliana. Rispetto al trattatello la mira si rivela assai più aggiustata e più maturo il giudizio, diventato poi - come tanti altri di D. - tradizionale e storicamente definitivo.
Bibl. - Edizioni: F. Langley, The poetry of G. da L., Sicilian poet of the thirteenth century, Cambridge (Mass.) 1915; M. Vitale, Poeti della prima scuola, Arona 1951, 115-178; B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, Firenze 1962, 1-58. Ampia scelta di testi in edizione critica e commentati in Contini, Poeti I 49-90. Si veda anche C. Guerrieri-Crocetti, La Magna Curia, Milano 1947, 111-158.
Studi: A. Mussafia, Per la canzone del notaio G. da L. " La 'namoranza disiosa ", in " Rass. Bibl. Lett. Ital. " IV (1895) 69 ss.; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, 1 ss.; C.A. Garufi, G. da L. Notaro, in " Arch. Stor. Ital. " s. 5, XXXIII (1904) 401-416; F. Torraca, Nuovi studi danteschi, Napoli 1921, 497-500; G.A. Cesareo, Le origini della poesia lirica e la poesia siciliana sotto gli Svevi, Palermo 1924², 124-130; S. Santangelo, Le tenzoni poetiche nella letteratura italiana delle origini, Ginevra 1928, 76 ss.; B. Croce, Un sonetto di G. da L., in Poesia antica e moderna, Bari 1941, 148-150; V. De Bartholomaeis, Primordi della lirica d'arte in Italia, Torino 1943, 131-133; M. Apollonio, Uomini e forme della cultura italiana delle origini, Milano 1943², 208-217; L. Di Benedetto, Da G. da L. a Francesco Petrarca, Napoli 1949; G.E. Sansone, Sul testo del discordo di G. da L., in " Rendiconti dell'Acc. dei Lincei " s. 3, VI (1951) 31-49; S. Santangelo, La canzone " Ben m'è venuto ", in Saggi critici, Modena 1951, e Il discordo del notaio G. da L., ibid. 191 ss. e 211 ss.; A. Pagliaro, Involuti sono gli scolosmini, in Nuovi saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1956, 199-212; L. Spitzer, " Aivo " nel discordo di G. da L., in " Lingua Nostra " XVII (1956) 107-108; ID., Una questione di punteggiatura in un sonetto di G. da L. (e un piccolo contributo alla storia del sonetto), in " Cultura Neolatina " XVIII (1958) 61-70; S. Santangelo, Pro discordo, in Studi, rassegne, varietà, Padova 1963, 30 ss.; G. Folena, Cultura e poesia dei Siciliani, in Storia della letteratura italiana - Le Origini e il Duecento, a c. di vari autori, Milano 1965, 271-347, in partic. 294 ss.