CORSI, Iacopo
Di famiglia, se non fiorentina, certamente toscana, fu poeta e applaudito improvvisatore in diversi ambienti e in varie corti nella seconda metà del sec. XV.
Fratello di Girolama, maritata a un Ramos, e rimatrice essa stessa, visse anch'egli parte dei suoi giorni fuori del territorio toscano: a Venezia al seguito di Roberto Sanseverino, a Milano presso il Moro, a Roma al servizio di Federigo Sanseverino, il figlio di Roberto nominato cardinale per intercessione dello Sforza (L. Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1942, p. 312 e n. 6). Morì assassinato a Roma nel febbraio 1493, come risulta dal dispaccio dell'inviato sforzesco Stefano Taverna, in data 18 di quel mese: "Il Corso, quale stava col reverendissimo cardinale Sanseverino et diceva in proviso et in sonetti, è stato morto de mezzo giorno apresso Monte Iordano da tre che erano a cavallo, vestiti a la spagnuola, incogniti. Si ha opinione che sia facto fare del cardinale San Pietro in Vincoli [Giuliano della Rovere], el quale aveva facto fare doglianze al papa chel doveva havere cantato improviso alcune cose poco honorevole de luy in casa del prefato Rev. cardinale Sanseverino, stando a tavola Monsignore Rev. et la sua Signoria Reverendissima [Ascanio Sforza]" (Paschini, p. 33).
Quali che fossero il movente e il mandante dell'omicidio, il fatto destò enorme impressione, e il Pistoia diffidava Panfilo Sasso dal continuare negli insulti poetici antisforzeschi ricordandogli la tragica fine del C., non vittima del Moro (lo esclude ora la lettera del Taverna) ma esempio di quanto rischio fosse lo scrivere contro i potenti: "non far de Ludovico più trascorso, / che un dì ne andresti a desinar col Corso!" (A. Cammelli, I sonetti faceti... secondo l'autografo ambrosiano, a cura di E. Pèrcopo, Napoli 1908, pp. 202 s.; sul C. vedi anche p. XXIV). Pressoché unanime apparve il compianto dei poeti cortigiani, dal Sasso al Tebaldeo, dall'alessandrino (ma attivo a Milano) Baldassare Taccone al bolognese Girolamo Casio; ma la più dolente testimonianza rimane quella affidata a cinque sonetti e a un capitolo in morte del fratello, inseriti da Girolama nel suo canzoniere (ms. Marciano it., cl. IX, 270 [= 6367], cc. 7r, 17r-21r). Rilevante ai fini biografici è soprattutto il capitolo, dal quale apprendiamo che il poeta morì in età giovanile (a c. 19v si maledice l'uccisore che osò "tagliar la pianta... in sul far del frutto"). Provvide a dare al C. onorata sepoltura uno dei suoi protettori Sanseverino.
Varia e di facile vena, la sua produzione poetica si inscrive tutta in quella corriva rimeria d'occasione e d'intrattenimento, di tono tra il colto e il popolare, così gradita nelle corti quattrocentesche, e tipica di quel gusto essa è per le forme metriche (oltre ai sonetti, terzine piane, sdrucciole e strambotti) e letterarie (epistole, egloghe) come per i temi prescelti (l'amoroso, il morale e il panegirico). Il più antico dei componimenti databili è l'Epistola Lucretiae ad principem Robertum Sanseverinum, con la profezia post factum della morte del principe perito, come capitano generale dell'esercito veneziano, durante la battaglia di Calliano, che consente di datare l'epistola dopo il 10 agosto 1487. Dell'anno successivo è il sonetto sopra il duplice assassinio di Gerolamo Riario e di Galeotto Manfredi, composto forse a Firenze, dove il C. verisimilmente si trovava ancora quando, l'8 apr. 1492, morì Lorenzo de' Medici. Per l'occasione egli dettò un sonetto epitaffio e trasse dall'episodio ispirazione per l'egloga che ben ci ragguaglia sulle sue successive vicende: due pastori, Astreo e Mauro giungendo dalla Liguria in Toscana, sorprendono i lamenti di Plutarco (sotto le cui spoglie pare celarsi l'autore stesso), sconvolto dalla morte di Panarete (cioè il Magnifico) e riescono a alleviarne l'ambascia solo con la promessa di condurlo presso Clitarco (cioè il Moro), del quale fanno intanto l'elogio. Il componimento è accompagnato da un sonetto di dedica allo Sforza, che accolse il C. tra i suoi cortigiani come "cameriere", qualifica risultante dal titolo di un sonetto per il cane del duca "chiamato el favorito", conservato, completo di didascalia e con l'epitaffio per il medesimo, nel ms. Magliabechiano VII, 735, l'importante silloge di canti carnascialeschi e di rime varie (alcune di Lorenzo e del Poliziano e due sonetti attribuiti dal codice a Giuliano de' Medici), che traccia come le coordinate mediceo-sforzesche di questo periodo della vita del Corsi.
Appunto durante il breve soggiorno alla corte di Milano è probabile che il C. incontrasse il figlio del suo antico signore, Federigo Sanseverino, che seguì a Roma dove lo troviamo già al principio del 1493, subito attratto nell'orbita di Paolo Cortese. Da una lettera dell'umanista a Piero de' Medici in data 4 genn. 1493, si apprende di una visita da lui fatta in compagnia del C. a Federico d'Aragona, che in quel periodo si trovava, per ragioni di Stato, a Roma ospite del cardinale Giuliano della Rovere (Pastor, ibid., p. 356). II C. recitò "in proviso" per il principe e dopo l'esibizione Federico si intrattenne con gli ospiti parlando di Piero e dell'illustre memoria di suo padre Lorenzo e mostrò loro l'esemplare della "Raccolta aragonese". Dell'amico, il Cortese, di cui sono pur noti gli interessi per il volgare, serbò ricordo anche nel De cardinalatu (I. III, cap. VI, Castro Cortesio 15 10, c. CLXIIIIv, in realtà 132v), citandolo con Baccio Ugolini tra i migliori improvvisatori di qualche anno prima. Il Calmeta, che certamente dovette frequentarlo a Roma, ne apprezzò le doti naturali, vicine a quelle di Luigi Pulci e di Serafino, ma lo trovava diseguale "massime in composizion lunga" e scarsamente padrone dell'arte; come poeta bucolico lo pose tra quanti, come l'Arzocchi, Bernardo Pulci, il Tebaldeo, erano rimasti al di qua dell'eccellenza toccata dal Sannazaro.
Vittorio Rossi, che per primo ne tracciò il ritratto compiuto, lo giudicò con qualche simpatia, pur confermandone recisamente l'appartenenza alla schiatta pigmea dei rimatori di corte, con impazienza certo legittima ma forse dimenticando troppo che le doti migliori del C., la prontezza dell'ingegno estemporaneo e la soavità del canto, sono andate perdute insieme col loro possessore. Con una certa severità il Flamini ne rilevò la posizione gregaria rispetto a Niccolò da Correggio, al Cosmico, al Sasso e agli altri che gli fanno compagnia nel ms. Estense X.*.34. Il suo gusto temperato e discorsivo, mentre appare consono a una mediocrità cantabile e affettuosa, risulta tendenzialmente alieno dal concettismo di Serafino o del Tebaldeo, cui pure dedicò un sonetto conservato autografo nel ms. Estense I.*.18. Non sarà perciò casuale se, nella rassegna di poeti e letterati contemporanei e quattrocentisti contenuta nel cap. VIII del poemetto didattico-allegorico dedicato da Lelio Manfredi a Francesco I e pubblicata, dal ms. Ital. 1039 della Bibliothèque nationale di Parigi, da Francesco Flamini (Viaggi fantastici e "Trionfi" di poeti, in Nozze Cian-Sappa Flandinet. 23 ott. 1893, Bergamo 1894, pp. 292 ss.), al giudizio nettamente restrittivo sull'Aquilano (vv. 28-30: "Ecco qua l'Aquilano Seraphino, / del vulgo in tanta opinïon transcorso, / che quasi in terra lo estimò divino"), sia esattamente simmetrica l'esaltazione del C. (vv. 3133: "Quel signor fu a Correggio, l'altro è il Corso, / amico vero del superno Phebo, / e venne qui 'nanzi al fatal suo corso").
Quarantotto componimenti (ma alcuni di dubbia paternità) e cioè: trentotto sonetti, cinque capitoli ternari e cinque strambotti, sparsi in quattordici manoscritti finora riconosciuti, sono tutto ciò che di lui ci rimane: né il bolognese Giambattista Refrigerio né il C. (i due nomi furono concorrenzialmente avanzati, a titolo meramente orientativo, da V. Rossi), bensì, come dimostrò poi il Medin, il Grifo (Il canzoniere di Antonio Grifò, in Dai tempi antichi ai tempi moderni: da Dante al Leopardi. Raccolta di scritti critici..., nozze Scherillo-Negri, Milano 1904, pp. 301 ss-) è infatti l'autore del ponderoso canzoniere (961 pezzi) conservato adespoto nel ms. It. Z. 64 della Biblioteca Marciana (C. Frati-A. Segarizzi, Catalogo dei codici marciani italiani, I, Modena 1909, pp. 62 ss.). Due nuovi sonetti gli sono infine attribuiti nel ms. Rare Books Room 17 della University of Notre Dame, Indiana (editi da D. S. Cervini, Inediti di F. C. e del Sannazaro in un ms. della University of Notre Dame, in Studi e problemi di critica testuale, XIX[ott. 1979], pp. 25 ss.).
Fonti e Bibl.: V. Calmeta, Prose e lettere edite e ined., a cura di C. Grayson, Bologna 1959, pp. LV n., 11, 13; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VI, 2, Modena 1790, p. 859; R. Renier, in Giorn. stor. d. letter. ital., X (1887), p. 413 n.; V. Rossi, Di una rimatrice e di un rimatore del sec. XV. Girolama Corsi Ramos e J.C., XV (1890), pp. 183-200; F. Flamini, J. C. e il Tebaldeo, ibid., XVII (1891), pp. 391 ss.; V. Rossi, Un'egloga volgare di Tito Vespasiano Strozzi, in Nozze Cian-Sappa Flandinet, Bergamo 1894, p. 200; G. Rossi, Alcune rime ined. di J. C., in Giorn. stor. d. letter. ital., XXVI(1895), pp. 390 ss.; V. Cian, Per Bernardo Bembo. Le sue relazioni coi Medici, ibid., XXVIII(1896), pp. 363 s. (vedi anche M. Barbi, Studi sul canzoniere di Dante, Firenze 1915, p. 225); G. Rossi, Il codice Estense X.*.34, ibid., XXX (1897), pp. 21 s., 39, 43 s., so, si e n., 52 n. (e vedi [E. Pèrcopo], in Rass. critica della lett. italiana, II, p.[1897], p. 189 n.); Id., Il codice Estense X.*.34. App. III, ibid., XXXIII (1899), p. 301; A. Vitagliano, Storia della poesia estemporanea... Roma 1905, pp. XIII, 37 s.; E. Carrara, La poesia pastorale, Milano [1908], p. 216; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, p. 548; P. Paschini, Una famiglia di curiali nella Roma del Quattrocento: i Cortesi, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XI (1957), pp. 32 s.; B. Bauer Formiconi, Die Strambotti des Serafino dall'Aquila, München 1967, pp. 43, 54, 112, 122, 128; C. Dionisotti, Gli umanisti e il volgare fra Quattro e Cinquecento, Firenze 1968, pp. 55, 73; A. Ceruti Burgio, La cultura fiorentina ai tempi del Magnifico: echi della poesia di Lorenzo nelle rime di J. C., in Lettere italiane, XXVI (1974), pp. 338 ss.; B. Beffa, Antonio Vinciquerra Cronico, segretario della Serenissima e letterato, Berna-Francoforte / M. 1975, p. 111 e n. 1; P. Vecchi Galli, La poesia cortigiana tra XV e XVI secolo. Rassegna di testi e studi (1969-1981), in Lettere italiane, XXXIV (1982), pp. 120, 129 s., 133. Per il motivo del cagnolino nella poesia del secondo '400 vedi ora A. Rossi, Serafino Aquilano e la Poesia cortigiana, Brescia 1980, p. 43.