COLOMBI, Iacopo (Columbus, Colombinus, Iacobus Columbi, Iacobus Columbinus)
Incerto è il nome esatto e l'identità stessa di questo giurista.
Il Diplovataccio ritenne che fosse esistito un "dominus Columbus", cui la letteratura giuridica più antica. attribuiva la paternità di glosse al Codice e al Vetus, e uno "Iacobus Columbi", figlio del primo e autore di una Summa e di un apparatus ai Libri feudorum. La distinzione non convinse il Savigny, il quale sostenne trattarsi di un solo giurista: nel commento di Alberico da Rosate alla l. sacramenta puberum (C. 2.28.2) il Savigny trovava, infatti, l'affermazione secondo la quale l'apparato ai Libri feudorum "dicitur fuisse domini Columbi". E, d'altro canto, il Savigny metteva in rilievo che sia Alberico sia altri autori - come Odofredo, l'Ostiense e Cino da Pistoia - citavano come "Columbus" sia il civilista sia il feudista.
La tesi dello storico tedesco non piacque al Patetta che non si appagò dell'argomentazione, tanto più che proprio Cino da Pistoia, probabile ispiratore di Alberico, aveva in definitiva distinto o Iacobus Columbi in usu feudorum" (comm. ad C. 2. 28. 2) dal "Columbus" civilista così indicato in altri due luoghi del suo commento, sempre al Codice (C. 3. 39 e C. 7. 40.1). A sostegno di tale affermazione non veniva però aggiunta altra prova; anzi il Patetta ne deduceva che il Commentum domini Columbi usque ad quartum librum, inventariato nel 1211 tra i libri del giudice bolognese Caccianemico dei Porconcini, doveva essere attribuito al "Columbus" civilista. Secondo il Patetta quest'ultima riflessione avrebbe dovuto provare in modo definitivo l'esistenza dei due giuristi. Ma, singolarmente, anche a Iacopo Colombi viene oggi attribuito un commento al Codice, tramandato nel noto manoscritto parigino 4546 conservato nella Biblioteca nazionale di Parigi (Meijers, Cortese, D'Amelio); né il Patetta a sostegno della sua tesi offriva altre prove, diverse e più credibili, di quelle assunte dal Savigny. Di conseguenza, al di là di ogni possibile congettura, le conclusioni dello storico tedesco appaiono più plausibili allo stato attuale delle fonti: esse sono state accolte anche dal Laspeyers e dal Meijers.
Alla tesi del Patetta si è, invece, avvicinato, di recente il Gualazzini secondo il quale "la perfetta continuità cronologica, esistente nei documenti che parlano di "Columbus legum doctor" e del "dominus Jacobus Columbi" può giustificare l'opinione del Diplovataccio che si tratti di padre e figlio, ma elementi assolutamente probanti mancano". Il tentativo del Gualazzini di risolvere la questione basandosi sui pochi documenti in cui compare "Columbus" o "Iacobus Columbi" appare condivisibile dal punto di vista metodologico. Non altrettanto le sue conclusioni. I documenti in questione sono tutti reggiani e coprono un arco di tempo che va dal 1199 al 1244: nei primi si parla di "Columbus legum doctor", mentre nei più tardi il "dominus Iacobus Columbi" compare come giudice o come giurista particolarmente influente nel Comune di Reggio. Il personaggio ricordato nei secondi è certamente più autorevole di quello che compare nei primi. Di modo che, presi nel loro insieme, i documenti in questione sembrano tracciare il progressivo affermarsi all'interno della vita cittadina di un'unica persona - la quale gradualmente andò acquistando fama e stima - piuttosto che riferirsi a due diverse persone.
Il primo atto in cui ricorre un "dominus Columbus" è conservato nel Liber grossus... Comunis Regii, edito dal Gatta, ed è datato 20 marzo 1199. Si tratta di una quietanza per il pagamento di trecento lire imperiali dovute al C. dal Comune di Reggio "pro pacto quo facerant pro comuni cum eo" Ardizzone Manenti, Abricone e Pietro della Carità. Il C., alla presenza di Guido, podestà di Reggio, di tre "iudices Regii" e di altri due giudici, dichiara di essere stato soddisfatto.
Tre anni dopo, e precisamente il 21 nov. 1202 (Gatta), "in presentia domini Collumbi, doctoris legum", Guicciardo di Ottone, podestà di Cremona, e Guido Lupo, podestà di Parma, intimano al podestà di Reggio ed agli ambasciatori del Comune di Modena il termine entro il quale dovranno venire trattate dinanzi a loro le controversie ancora pendenti tra Reggiani e Modenesi. Questo in esecuzione dell'accordo concluso il 6 agosto precedente per porre fine alla guerra apertasi tra i Comuni di Reggio e di Modena per questioni di confine.
Il "dominus Columbus" appare ancora in due documenti dell'agosto 1204 (Gatta), ed è sempre indicato come "legum doctor". Figura come teste "specialiter vocato" in due atti di compravendita nei quali l'acquirente è il Comune di Reggio e gli alienanti sono alcuni cittadini della terra di Rubiera. Si tratta di cessioni di sicuro interesse che realizzano atti di sostanziale espropriazione di proprietari privati da parte del Comune di Reggio nel territorio di Rubiera che, posto a mezza via tra Modena e Reggio, era un punto strategico di particolare importanza, ed era stato da poco ripreso ai Modenesi dai Reggiani.
Dopo questa data bisogna attendere vari anni prima di avere altre testimonianze sull'attività del C. a Reggio. Si potrebbe avanzare l'ipotesi che il C. si sia trasferito a Bologna. A favore di tale ipotesi può essere ricordato che il commento al Codice attribuito al C. si trova elencato tra i libri del giudice bolognese Caccianemico in un atto del 1211 (Gualazzini). Inoltre le glosse dei C. conservate nel ms. 4546 della Biblioteca nazionale di Parigi sono da attribuire - come ha rilevato il Meijers - agli anni in cui Carlo di Tocco insegnava a Bologna, dato che le sigle dei due giuristi risultano insieme al termine di due ampie glosse (gl. fratris, ad C. 2. 4. 10, f. 21vb; gl. exfratris, ad C. 2. 4. 42, f. 24rb).
A Reggio il C. risulta di nuovo in un atto del 7 marzo 1221 con il quale Alberto da Banzola e Alberto Palmeris concedevano al Comune la giurisdizione del castello di Banzola e di una parte del castello di Cavazola (Gatta). Il C. - indicato come "dominus Iacobus Columbi" - compare tra i testimoni con il titolo di giudice.
Dopo questa data mancano testimonianze per altri dieci anni: nel gennaio del 1231, Gerardo di Castellarano, che era giudice subdelegato di Nicola, vescovo di Reggio, già delegato dal pontefice, è chiamato per definire una controversia "de rivo Sanguinario"; egli la esamina "coram domino Iacopo Collumbi, Gigliolo Rasi canonico et Iacopo notario". Nello stesso anno il C. e un tale Guizzardo, indicati come "giuristi", sono chiamati a dare un parere "super litibus quas habebant Guido Cazamius et domina Veneria" a proposito della responsabilità del tutore per inesatta o lacunosa redazione dell'inventario per un'eredità beneficiata (Gualazzini).
Più di dieci anni, ancora, passano prima di trovare un ulteriore ricordo del C. nelle fonti. Il 28 dic. 1242 insieme con Giuliano da Sesso egli è ancora chiamato a dare un parere in una lite insorta tra Giovanni, "sindicus" dei canonici della cattedrale di Reggio, e i consoli del Comune di Rivalta. Il C. si espresse a favore dei canonici e il giudice accolse il suo parere. L'ultima notizia sul C. è di due anni dopo quando risulta tra i membri del Consiglio cittadino ristretto.
L'attività di Iacopo come glossatore civilista è consacrata in alcune glosse siglate Co[lumbus] conservate, come si diceva, nel ms. Lat. 4546, dalla Nazionale di Parigi. Questo codice tramanda un complesso apparato ai primi quattro libri del Codice.
Il Meijers ha sostenuto che le glosse risalgono agli anni bolognesi del C. e che questi fu forse allievo di Pillio. Nel codice parigino l'annotazione dei C. segue la sigla di Pillio in due luoghi del commento (gl. transactione ad C. 2. 4. 26, f. 23rb; gl. velamento, ad C. 2. 6. 4., f. 25 ra). Ma al punto in cui e oggi la critica storica non sembra possibile formulare un qualsiasi giudizio che possa cogliere quale sia la reale connessione di pensiero tra i due giuristi. Piuttosto la presenza di glosse del C. nel complesso manoscritto parigino potrebbe confermare una testimonianza di Odofredo, che lo vuole allievo del Bassiano, in quanto l'eco dell'insegnamento di Giovanni si riscontra in più luoghi nelle glosse siglate dal Colombi. Sarebbe, questo, un ulteriore elemento a favore dell'ipotesi formulata dal Légendre sulla composizione dell'apparato parigino da riferire ad un filone Piacentino-Pillio di notevole importanza, connesso, secondo le interessanti conclusioni del Cortese, con una significativa tradizione d'insegnamento legata proprio al Bassiano (Cortese; D'Amelio). La figura scientifica del C. assumerebbe in tal caso un aspetto singolare: collegato a Pillio nella tradizione dei commento e nella elaborazione sui Libri feudorum e connesso in qualche modo con l'insegnamento di Giovanni Bassiano come formazione giuridica.
Né meno singolare appare la testimonianza indiretta, fornita sempre dal codice parigino, sul commento al Codice riferito al C., che è effettivamente "usque ad quartum librum", come l'apparato simile ricordato nell'atto del 1211 tra i libri del giudice bolognese Caccianemico (Patetta), che appare quindi come semplice punto di riferimento da accertare per una data possibile di composizione di una raccolta dello stesso tipo, che secondo questo documento, non dovrebbe spingersi oltre il primo decennio del secolo XIII.
A questo complesso di glosse attribuibili al C. ne possiamo aggiungere ancora due: una al Vetus conservata nel codice Pal. lat. 733 della Biblioteca Apostolica Vaticana (f. 150r) a D. 7. 1. 12. 3; e l'altra al Novum conservata nel ms. Lat. 4455 della Biblioteca nazionale di Parigi (Padoa Schioppa). Nella tradizione ricordi di glosse e commenti al Corpus iuris appaiono nelle opere di Odofredo, Cino da Pistoia, Alberico da Rosate.
Non meno problematica si rivela la soluzione sull'attribuzione e sulla consistenza dell'opera del C. in materia feudale. In via preliminare è bene considerare le incertezze che collegano le sue opere con quelle di Pillio. E se numerosissime sono le testimonianze che riconducono a lui sia il lavoro esegetico sia la Summa ai Libri feudorum, rifacimento in entrambi i casi di una precedente fatica di Pillio, tuttavia ancora oggi non è possibile dare un'esatta valutazione dell'opera del C. separandola da quella del suo predecessore, poiché sarebbe necessario, sia per la Summa sia per l'apparato alle consuetudini feudali, porre a confronto e studiare accuratamente non soltanto la tradizione manoscritta riferibile ad entrambi, ma anche le successive rielaborazioni o edizioni.
Per quanto riguarda la Summa una notizia certa sul rapporto tra Pillio e il C. si trova in Alvarotti (Super feudis, proem. I, 1, F. 1 pr.) secondo il quale "Iacobus Columbi, glossator noster fecit additiones" alla Summa di Pillio "eamique in melius reformavit".
Riferimenti a questo rapporto si trovano anche in altri giuristi, come Baldo, mentre sì deve ricordare che il testo della Summa dei C. rifluì quasi interamente nell'opera dell'Ostiense.
Il Rota, esaminando l'apparato di Pillio ai Libri feudorum, rintracciavauna glossa (patris I. F. 24 [25], pp. 28, 84) attribuibile al C. dalla quale poteva ricavarsi che questi aveva ritoccato prima la Summa di Pillio e successivamente l'apparato stesso, confermando in tal modo sia la testimonianza degli antichi giuristi sia i numerosi rinvii che appaiono nell'apparato stesso.
I manoscritti che tramandano la Summafeudorum attribuitaal C. oltre ai due Chigiani (E. VII. 218, ff. 154ra-154rb; E. VII. 211, ff. 22v-29v) conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana e il ms. 108 (già A. IV. 10), ff. 263v-270r della Biblioteca Casanatense a Roma, sono a Basilea, Universitätsbibl., C. III. 4; Angers, Bibl. publique, 334, ff. 113-116; Oxford, Bodleian Libr., Canon. misc. 416; Norimberga, Stadtbibliothek, cent. II. 90, ff. 307rb-310rb; Tubinga, Universitätsbibliothek, C. 58, ff. 195ra-204vb; Douai, Bibl. mun., 643, ff. 1-2v; Bamberga, Staatsbibliotek, Canon. 48, ff. 195ra-204vb (Dolezalek).
Anche per l'apparato ai Libri feudorum la opera del C. non può essere isolata da quella di Pillio. Sono infatti numerosi gli scrittori di diritto feudale del XV e del XVI secolo che indicano nel C. l'autore della glossa ordinaria alle consuetudini feudali. Ma l'autore che sembrò affrontare il problema dell'edizione dell'apparato colombino fu Antonio Mincucci da Pratovecchio. Nel pubblicare la opera sul diritto feudale di questo autore lo Schilter dichiarava criticamente attendibile il lavoro del Mincucci e quindi valido il suo tentativo di separare dall'apparato accursiano le masse che lo formavano, in parte risalenti a Pillio, altre attribuibili al C. ed altra adespota. Tutto questo contribuì ad accreditare l'importanza del C. e della sua opera anche presso scrittori più recenti: il Laspeyres - ad esempio - sostenne la paternità della glossa ordinaria da parte del C. contro il Dieck che difendeva i meriti di Accursio. Più di recente il Rota ha riportato i termini della questione su posizioni di maggiore credibilità. Alla luce delle sue conclusioni la fatica mincucciana appare meno impegnata di quanto potesse apparire al Laspeyres, poiché nel presunto commento colombino appaiono anche aggiunte successive allo stesso apparato accursiano, come quelle di Iacopo Belvisi, che erano probabilmente semplici additiones marginali all'apparato stesso.
Per quanto in particolare riguarda il rapporto tra il C. e Pillio, secondo il Meijers Iacopo non avrebbe fatto altro che completare l'opera precedente nelle parti che potevano presentare lacune. Nei titoli già glossati avrebbe corretto i rinvii, sostituendo l'antico metodo di citazione con uno più moderno, ed avrebbe completato alcune glosse con delle additiones. Diconseguenza il commento attribuibile al C. sarebbe in definitiva una complessa composizione di stratificazioni successive che ancora nella recensione ardizzoniana dei Libri feudorum, come era nota a Iohannes Blanchus, non si presentava nell'aspetto che venne successivamente elaborato dal C. stesso e che fu conosciuto poi dall'Alvarotti. Fu tutto questo materiale che venne utilizzato da Accursio.
Se appare, credibile questa ricostruzione esterna della composizione dell'apparato colombino, potremo agevolmente collocare, come ritiene il Laspeyres, l'opera del C. anche se nei limiti di una composizione un po' più elaborata di quanto non fosse stato già fatto in precedenza, tra la recensio ardizzoniana e la successiva forma accolta nella glossa ordinaria e quindi presumibilmente intorno al 1240: quattro anni prima, dunque, dell'ultimo atto che ricorda il C. tra i magistrati del Comune di Reggio.
L'apparatus riferito al C. si trova nei mss. di Budapest, Bibl. nazion. Széchényi, 115, ff. 6-60; Amburgo, Staats- und Universitätsbibliothek, cod. 3, già cod. Jur. 2228, ff. 258-281; Kassel, Murhardsche Bibliothek, 2 ms. Iur. 4/5, ff. 245-269r; Parigi, Bibl. naz., Lat. 4438 (framm.) (Dolezalek).
Fonti e Bibl.: Iacobi Alvarotti Super feudis [Mediolani 1511], Proem., I. F. 1 § 9; Alberico da Rosate, Lectura codicis, Lugduni 1518, f. 10v; Baldo degli Ubaldi, Super feudis, Lugduni 1536, f. 2V; Andrea d'Isernia, Super usibus feudorum, Lugduni 1564, f. 92v; Enrico da Susa, Summa aurea, Venetiis 1574, ff. 82, 468, 964; Cino da Pistoia, In Codicem commentaria, Francofurti 1578, ff. 185r, 451v; A. Mincucci, De feudis libri sex, in J. Schilter, Codex iuris Alemann. feudalis, Argentorati 1695; T. Diplovataccio, Liber de claris iurisconsultis, a cura di F. Schultz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), p. 158; F. S. Gatta, Liber grossus antiquus Comunis Regii, Reggio Emilia 1951, I, pp. 53, 206; II, pp. 264, 266, 279; G. Panziroli, De claris legum interpretibus, Lipsiae 1721, p. 123; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, p. 61; Id., Diz. topagrafico-storico degli Stati estensi, I, Modena 1824, pp. 3, 76; K. F. Dieck, Literargeschichte des longobardischen Lehenrecht, Halle 1828, pp. 224-232; E. A. Laspeyres, Ueber die Entstehung und älteste Bearbeitung der Libri feudorum, Berlin 1830, pp. 359-400; F. C. von Savigny, Storia del diritto ital. nel Medio Evo, II, Torino 1847, pp. 281-286; E. Seckel, Ueber neuere Edit. Juristen Schriften, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgesch., Röm. Abt., XII (1900), pp. 250-271; F. Patetta, Ilibri legali e il corredo di un giudice bolognese..., in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, classe di scienze mor., L (1914-1915), pp. 1175 ss.; E. Besta, Fonti, in Storia del diritto italiano, a cura di P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, p. 807; A. Rota, L'apparato di Pillio alle Consuetudines feudorum..., Bologna 1938, pp. 1, 5 ss.; U. Gualazzini, La scuola giuridica reggiana nel Medioevo, Milano 1952, pp. 92 ss.; P. Légendre, Nouveaux manuscrits de droit savant (XIe et XIIIe siècles), in Revue historique de droit français et étranger, XXXV (1957), p. 413; E. M. Meijers, Sommes, lectures et commentaires..., in Etudes d'histoire du droit, Leyden 1959, III, pp. 211 ss.; Id., Les glossateurs et le droit feudal, ibid., pp. 261 s., 269; A. Adversi, Appunti bio-bibliogr. sul giureconsulto Pillio da Medicina, Firenze 1960, pp. 26 ss.; E. Cortese, La "Summula Placuit" piacentiniana..., in Studi economici e giuridici dell'Università di Cagliari, XLIV (1965), p. 232; A. Padoa Schioppa, Ricerche sull'appello nel dir. intermedio, II, Milano 1970, p. 118; G. D'Amelio, Indagini sulla transaz. nella dottrina intermedia, Milano 1972, ad Indicem; G. Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600, Frankfurt a.M. 1972, ad Ind.; H. Coing, Handbuch der Quellen und Literatur der neuren europäischen Privatrechtgeschichte, I, München 1973, ad Indicem.