CICOGNINI, Iacopo
Nato a Castrocaro (Forlì) il 27 marzo 1577, pare fosse figlio naturale, poi legittimato, di Bartolomeo, notaio e poeta.
Negli anni 1586-87 risiedeva a Firenze, come documenta il Ruolo dei Giovani della Compagnia di S. Antonio di Padova (Biblioteca Riccardiana di Firenze, cod. Riccardiano 2576), istituita a Firenze nel 1441, dove figura il suo nome. Inviato dal padre a Pisa per studiare legge, il C. vi compose nel 1597, dedicandola alla granduchessa di Toscana Cristina di Lorena, l'opera in versi I quattro Novissimi, conservata nella Biblioteca nazionale di Firenze in manoscritti autografi illustrati dall'autore (cfr. Crinò, p. 256). Conseguito il dottorato in utroque iure, pare si recasse dapprima a Prato e successivamente, secondo la testimonianza del poeta Antonio Malatesti, suo amico (M. Sterzi, I. C., p. 299), a Roma al seguito del cardinale Sauli.
Nella lettera introduttiva alle Lagrime di Geremia profeta (Firenze 1627), il C. afferma di essere passato in seguito dal servizio del cardinale Sauli a quello del cardinale Borghese, quindi presso don Virginio Orsini, duca di Bracciano, e infine di avere ottenuto dal duca Sforza il governatorato della città di Segni. Durante il soggiorno romano ritornò tuttavia in varie occasioni a Firenze, dove nel 1605 sposò Isabella di Domenico Berti. L'anno. successivo iniziò l'attività di notaio a Firenze, continuando nello stesso tempo la produzione di liriche e drammi, che furono favorevolmente accolti nell'ambiente letterario fiorentino.
Introdotto alla corte granducale di Firenze, il C. assistette, nel febbraio del 1611, a un "festino" di carnevale, di cui il Rinuccini aveva fornito il testo poetico da recitare e il Parigi, architetto del granduca Cosimo II, aveva curato la sontuosa scenografia. L'azione teatrale viene descritta nei minuziosi particolari in un'ampia relazione scritta dal C. il 15 febbraio dello stesso anno (A. Solerti, Gli albori... 3 pp. 283 s., 353). Il 30 luglio 1611il C. inviò il manoscritto dell'Andromeda, "favola marittima" di sua invenzione, al cardinale Ferdinando Gonzaga, il quale gli aveva manifestato il desiderio di ricevere qualche componimento da rappresentare alla corte di Mantova. Il 17 febbr. 1613, in occasione del carnevale, si svolse alla corte di Firenze una festa, "veramente straordinaria", alla cui composizione avevano partecipato il C. ed altri letterati e artisti del tempo, quali il Rinuccini e l'Adimari; lo spettacolo fu ripreso e concluso il 19 febbraio, ultimo giorno di carnevale (A. Solerti, Musica..., p. 69).
A Roma, nel 1614, il C. compose l'Amor pudico, opera rimasta inedita, che venne rappresentata al palazzo della Cancelleria (Fagiolo dell'Arco-Carandini). Intanto già da questo periodo il C., o perché davvero si fosse "disgustato in Palazzo", come dice il Malatesti (M. Sterzi, p. 299), o perché desiderasse riunirsi con la famiglia, cominciò ad adoperarsi presso Andrea Cioli, allora segretario della granduchessa di Toscana, Cristina, per ottenere un impiego stabile a Firenze, ma non ci riuscì per qualche tempo; infatti sempre nel 1614 si trasferì a Bologna al servizio del cardinale Capponi. Sul soggiorno in questa città possediamo scarse informazioni: sappiamo che fu iscritto all'Accademia degli Incostantieche scrisse l'idillio Aurilla feritrice innocente, stampato a Bologna nel 1622 da un amico, G. C. Allegri.
Nella notte di Natale del 1617 il C. allestì a Firenze - dove ormai pare si fosse stabilito, avendo ottenuto un modesto ufficio alla Mercanzia -, La rappresentazione di pastori con bella scena (pubblicata più tardi a Firenze, nel 1625, con aggiunte e modifiche ed un nuovo titolo: Il gran Natale di Christo Salvator Nostro). L'opera s'ispira alle tradizionali forme della sacra rappresentazione, ma denota anche l'influenza del teatro spagnolo, in particolare sembra ricollegarsi a El nacimiento de Cristo di Lope de Vega.
Per celebrare l'arrivo dell'arciduca Leopoldo d'Austria in Firenze, la famiglia Rinaldi indisse, la sera del 9 marzo 1618, un trattenimento nel proprio palazzo con l'intervento della corte granducale e del patriziato fiorentino. Il "numero" più atteso della serata era costituito dalla rappresentazione d'una pastorale con intermezzi del C. sulla favola di Andromeda. Lo spettacolo suscitò l'entusiasmo degli spettatori per lo sfarzo degli scenari, elaborati dall'arthitetto Cosimo Lotti, la ricchezza degli abiti, la musica e la perfetta esecuzione degli attori, come notava il maestro Giulio. Caccini nella lettera inviata, il 10 marzo successivo, al segretario granducale Andrea Cioli.
L'Andromeda è riprodotta nel cod. Riccardiano 2792, cc. 130-167; lo stesso manoscritto contiene un'altra commedia del C. intitolata L'Amor filiale (cc.1-73) e uno "scherzo", Il bivio d'Ercole, che, sebbene non indichi il nome dell'autore, potrebbe attribuirsi al C., il quale l'avrebbe composto per farlo recitare dalla Compagnia dell'Arcangelo Raffaello. L'Amor filiale, di cui è dubbio se derivi o, al contrario, rappresenti la fonte dello scenario Il vecchio avaro di B. Locatelli, illustra l'ingiusto sdegno che il vecchio Zanobi, ingannato dalla sua seconda moghe Tedalda, prova nei confronti del figlio Alfonso, dei quale alla fine viene riconosciuta l'affettuosa e sincera bontà.
Cultore appassionato di teatro, il C., oltre a produrre commedie e drammi, si impegnò ad addestrare alla recitazione improvvisa i giovani accademici Incostanti, che per tale motivo furono anche designati con il nome di "Accademici del Cicognini"; e non solo fece eseguire le proprie e le altrui composizioni dagli áccademici Incostanti o dagli Infiammati, ma anche, talora, insieme con altri dilettanti, recitò egli stesso o fece recitare il giovanissimo figlio Giacinto Andrea.
Le nuove esigenze espresse dal teatro del '600 - che si propone, fin dagli inizi dei secolo, come spettacolo globale in cui la recitazione e la messinscena acquistano un valore pari al testo letterario presentato al pubblico -, impongono infatti uomini di cultura di tipo nuovo, capaci di riunire nella stessa persona la figura dell'autore, del direttore di scena e dell'attore. Personaggi come il C. contribuiscono ad affermare questa unità del teatro - intesa nel senso di una fusione tra letteratura e tecniche teatrali -, assumendo il duplice incarico di scrivere iI testo da rappresentare e di impartire, nello stesso tempo, le disposizioni necessarie alla recita.
Negli anni seguenti il C. si dedicò a un'intensa attività teatrale, componendo vari testi: nel 1620 inviò al cardinale Ferdinando Gonzaga il melodramma inedito l'Adone, musicato dal Peri (Ademollo), nel 1621 fece recitare a Firenze dalla Compagnia di S. Antonio di Padova la sacra rappresentazione S. Maria Maddalena e dagli accademici Infiammati il S. Giorgio liberatore di Silena che, al pari del precedente dramma, non fu mai dato alle stampe (cfr. Baccini, pp. 157 s.; Sterzi, 1925, p. 119); il 23 genn. 1622 la Compagnia di S. Antonio rappresentò, insieme con gli accademici Incostanti, Il martirio di s. Agata, pubblicato a Firenze nel 1624.
L'opera narra la famosa vicenda della vergine cristiana, martirizzata a Catania sotto il proconsole Quinziano; ma, contemporaneamente a questo motivo centrale, sono orditi su varie trame altri episodi: quello del giovane Armidoro venuto a Catania per amore di Agata, e costretto a subire la prigionia perché ingiustamente accusato di avere rubato, con la complicità della fanciulla, l'idolo bronzeo di Venere custodito nel tempio della dea; la storia della fedele Laurinda, che, segretamente innamorata di Armidoro, l'ha seguito nella città travestita in abiti maschili per non farsi riconoscere; le comiche avventure dei servi Dormi e Pancia, i quali sono caratterizzati già dai nomi come personaggi buffoneschi, e la cui presenza nel dramma conferisce una nota realistica allo svolgimento del tradizionale tema agiografico.
Nella prima stesura risalente al 1614, il dramma era stato scritto in versi "per potersi musicalmente rappresentare", come avverte il C. nella nota "Ai cortesi lettori" premessa all'edizione del 1624; ma per difficoltà pratiche di esecuzione fu ridotto in prosa, nel 1621, conservando tuttavia una traccia della forma poetica originaria, nel con musicati da Battista da Gagliano e da Francesca Caccini e in qualche reminescenza petrarchesca che affiora, talvolta, nei dialoghi. Il martirio, dopo aver conosciuto un lusinghiero successo nella prima recita eseguita dalla Compagnia di S. Antonio di Padova, fu replicato varie volte nei mesi di gennaio e febbraio del. 1622 ed ottenne, il 22 giugno dello stesso anno, l'ambito onore di essere scelto per intrattenere l'ambasciatore spagnolo conte di Monterrey, allora in visita a Firenze.
Il 22 luglio Successivo fu rappresentato alla presenza della corte granducale un nuovo lavoro teatrale del C., non pubblicato: il Dialogo della vita contemplativa e della vita attiva, in cui disputavano s. Maria Maddalena e s. Marta, conciliate poi dalla Pace (cfr. Sterzi, 1925 p. 121). Il 1° novembre fu eseguito dalla Compagnia dell'Arcangelo Raffaello un dialogo drammatico in musica del C.; il testo, di.notevole efficacia, di tale composizione è conservato manoscritto alla Piblioteca nazionale di Firenze (Magliab. VII, 358, cc. 110-112: attribuito al C.: cfr. Hill). il Coro rappresenta probabilmente il primo esempio di dialogo sacro per oratorio che sia diviso in due parti, la prima delle quali è costituita dai cori delle anime purganti, e la seconda dal discorso di un angelo che annuncia la loro liberazione.Nel 1623 il C. diventò censore dell'Accademia degli Infiammati, i quali recitarono in quel periodo una sua commedia, Il voto d'Oronte, conservata in un manoscritto (Firenze, Biblioteca del Seminario, cod. C.V. 25) che riporta anche un dramma sacro del C. dal titolo: le Vittorie di s. Tecla;nello stesso anno gli accademici Incostanti allestirono la rappresentazione di una commedia del C., La finta mora, edita più tardi, nel 1625, a Firenze. Al 1624 risale la composizione de La celeste guida ovvero La rappresentazione dell'Agnolo Raffaello e Tobia (Venezia 1625) e della "storietta" inedita Dell'Amore divino e del Timore, nella quale il C. fece agire, oltre ai due allegorici personaggi designati nel titolo, anche la Sapienza, la Fedeltà e un angelo. Il Baccini dichiara inoltre che gli accademici Infiarnmati rappresentarono, nel febbraio del 1626, un Martirio di s. Caterina del C., e nel 1628, un altro suo lavoro, il Figliol prodigo, ma di entrambi ci sono pervenuti, unicamente i titoli.
Nelle opere di argomento profano il C. seguì gli schemi consacrati dalla commedia erudita italiana del sec. XVI, mentre nei drammi sacri riprese alcuni elementi dalle spagnole "comedias de santos", ed arrivò persino a trasgredire con il Trionfo di David, scritto nel 1628, la ferrea legge dell'unità di tempo, in ciò esortato. direttamente da lettere di Lope de Vega, come ricorda l'avvertenza ai lettori premessa alla stampa fiorentina del 1633 del Trionfo.
Dell'ingegno versatile del C. è infine testimonianza il poema rusticale Pippo lavoratore di legnaia (in Rusticali dei primi tre secoli, Venezia 1788), in cui il protagonista contrappone alle sofisticazioni delle cittadine la bellezza semplice e naturale della contadina Betta ("Son le bellezze sue vere e reali / fatte da la natura e non dal liscio / ma voi della città donne venali / siete da stazzonar con lo scudiscio / ...").
Morì suicida a Firenze il 27 ott. 1631, in circostanze non ancora completamente chiarite.
Bibl.: A. Adernollo, La bell'Adriana ed altre virtuose del suo tempo, Città di Castello 1888, pp. 61 ss., 237; G. Baccini, Notizie di alcune commedie sacre rappresentate a Firenze nel secolo XVII, Firenze 1889; M. Sterzi, L C., in Giornale storico e letterario della Liguria, III(1902), 11-12, pp. 289-338; A. Solerti, Gli albori del melodramma, II, Milano-Palermo-Napoli 1904, pp. 283 s., 353; Id., Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, Firenze 1905, ad Indicem; A. M. Crinò, Documenti inediti sulla vita e l'opera di I. e di Giacinto Andrea Cicognini, in Studi secenteschi, II(1961), pp. 255-286; A. Lisoni, La drammatica italiana nel sec. XVII, Parma 1898, pp. 49 ss.; A. Gentille, La serva amorosa, in Riv. teatrale ital., V(1905), pp. 105 ss.; M. Sterzi, Feste di corte e feste di popolo in Firenze sui primordi del sec. XVII, in La Rassegna, XXXIII(1925), 3-4, pp. 114-123; C. Naselli, Il martirio di s. Agata di un drammaturgo del Seicento: L C., in Arch. stor. per la Sicilia orientale, s.2, III (1928), pp. 195-220; I. Sanesi, La commedia, I, Milano 1954, pp. 694 ss.; C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1973, ad Indicem; Il Seicento, V, 2, Roma-Bari 1974, ad Indicem; M. Fagiolo Dell'Arco-S. Carandini, L'effimero barocco, II, Roma 1978, p. 291; J. W. Hill, Oratory music in Florence, I, Recitar cantando, 1583-1655, in Acta musicologica, LI (1979), pp. 121-25, 128, 135.