CAVALLI, Iacopo
Nato il 4 luglio 1839 a Campeglio (Udine), da Giuseppe e da Maria Maddalena Filipputti, studiò nel seminario di Udine, poi in quello di Gorizia. Ordinato sacerdote, nel 1863 fu inviato come cooperatore parrocchiale in Istria, prima a Portole e poi a Piemonte; infine nel 1867 a Capodistria come cooperatore e vicario corale e catechista. Dall'ambiente che prese a frequentare fu attratto alle idee del liberalismo e del patriottismo irredentistico. Fu il suo un cattolicesimo venato di buonsenso contadino, che gli faceva considerare, ironicamente, come una specie di "catastrofe naturale" la proclamazione del Sillabo (1864). L'intransigentismo cattolico e la crisi della corrente cattolico-liberale lo spinsero alla ricerca di un equilibrio fra la fede religiosa e quella politica, tanto più difficile per il particolare tono che le reciproche polemiche assumevano nella Venezia Giulia soggetta all'Austria. Il C. soffrì così l'ostilità delle sfere governative, oltre che di intransigenti e di laici.
Nel 1868 iniziò ad insegnare a Trieste religione e lingua e letteratura italiana, prima nelle scuole popolari, poi nel liceo femminile, del quale divenne in seguito direttore. Da allora la sua vita trascorse fra l'insegnamento e le ricerche d'archivio, interrotte solo dalle vacanze estive in Carnia presso l'amico M. Gortani. Collaboratore fin dal 1867 del quindicinale istriano La Provincia di A. Madonizza, il C. fu in rapporti di studio e di amicizia con cultori della storia istriana e friulana (da p. P. Kandler ad esempio ebbe a disposizione materiali per i suoi lavori), e con linguisti e glottologi della statura di G. I. Ascoli, di A. Mussafia, di M. G. Bartoli.
Gli ultimi anni furono tristi e difficili. Inviso agli "austriacanti",che non gli perdonavano la Storia di Trieste d'intonazione irredentistica, vecchio e malato, riuscì a vedere l'entrata degli Italiani a Trieste. Fatto cavaliere del Regno, morì a Trieste il 28 giugno 1919.
La Storia di Trieste raccontata ai giovanetti venne da lui composta per un concorso, bandito dal comune nel 1870, che il C. vinse, ma ostacoli burocratico-politici (la polizia vedeva in essa "sentimenti antipatriottici",cioè antiaustriaci) lo costrinsero ad emendare il testo per ottenere il permesso di pubblicazione (Trieste 1877).Pur colmando una lacuna di informazione storica, ma costretto dai limiti divulgativi, il volume rivela difetti di informazione, non oltrepassa l'orizzonte della "piccola patria" di cui intesse le glorie, ignora i progressi critici della storiografia italiana e soprattutto tedesca in riferimento specialmente al Medioevo. Rivela invece ottima conoscenza d'archivio e utilizza intelligentemente quelle fonti (i volumi dei Camerari, dei Vicedomini, degli Statuti triestini) che tanta copia di materiale gli offrirono per i successivi lavori, specie linguistici.
Il lavoro, pur nella modestia della composizione, è indicativo dei due filoni che caratterizzano tutta la produzione di studioso del C.: l'interesse storico e quello filologico-linguistico. Appartengono al primo la ricerca sugli Stipendiari della Repubblica [veneta] rammentati nelle carte dell'Archivio diplomatico di Trieste tra il 1370 e il 1380 (Trieste 1887) e il ponderoso volume su Commercio e vita privata a Trieste nel 1400 (ibid. 1910); al secondo i Cimeli dell'antico parlare triestino, scritti in coll. con G. I. Ascoli (in Archeografo triestino, s. 2, VI [1879-80], pp. 199-210)e soprattutto, le Reliquie ladine raccolte in Muggia d'Istria con appendice sul dialetto tergestino (ibid., s. 2, XIII [1893-94], pp. 5-208). Il lavoro su Commercio e vita privata è appesantito da erudizione e da minuziosità di esposizione documentaria, e ne va notata la mancanza di sintesi, che relega il C. quasi al livello di cronista coevo, annotatore di negozi mercantili, liti, affari politici, testamenti, commerci. Maggiormente utile si rivela per lo studio dell'onomastica e della toponomastica di Trieste.
Dopo il lavoro sui Cimeli, spinto dall'Ascoli, il C. si era portato a Muggia per raccogliere dalla bocca degli anziani le tracce dell'antica parlata ladina in via di estinzione di fronte al dilagare del veneto. Se i patriarchi di Aquileia nel Medioevo avevano "friulanizzato" Muggia, ora il C. si trovava a studiare la fine dell'antico "muglisano". Riuscì a raccogliere tradizioni, leggende, superstizioni popolari, nonché un piccolo vocabolario ladino dei termini indicanti costumi, feste, mestieri, lavori agricoli, toponimi, fenomeni atmosferici, animali, piante, proverbi, ecc., secondo la tecnica appresa dall'Ascoli. Le Reliquie ladine, apparsein forma sintetica dapprima nell'Archivioglottologico italiano, XII (1890-92), pp. 255-374, vennero poi edite nel 1893 quale estratto dell'Archeografo triestino, con apparato critico e appendice sul dialetto triestino scomparso, come dialetto vivo, a Trieste alcuni decenni prima che a Muggia. L'opera non procurò al C. molte soddisfazioni; rimase quasi sconosciuta e fu un insuccesso di vendita.
Fonti e Bibl.: P. Sticotti, Il carteggio di I. C.,in Archeografo triestino, s. 4, XX (1955-56), pp. 155-216; XXI (1956-57), pp. 143-228; A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scritt. contemp.,Roma 1879, p. 271; A. Tamaro, Storia di Trieste, Roma 1924, p. XV; G. Cervani, Dall'Ottocento al Novecento. La storia di Trieste nella storiografia, in Centro studi per la st. del Risorg.,Trieste 1955, III, ad Ind.; M. Doria, La toponomastica ladina di Trieste ed un quaderno inedito di I. C., in XLI congresso d. Soc. filol. friulana (20 giugno 1964), Udine 1964, pp. 45-51.