BELGRADO, Iacopo
Nacque ad Udine, da nobile famiglia friulana, il 16 nov. 1704. Compiuti i primi studi di lettere greche e latine a Padova, entrò nella Compagnia di Gesù il 16 nov. del 1723. Proseguì negli studi di filosofia e matematica a Bologna e in quelli di teologia a Parma. Dopo un periodo di insegnamento delle lettere umane nel collegio gesuitico di Venezia, assunse nel 1738 la cattedra di matematica e fisica nello Studio parmigiano, che pare abbia tenuto per dodici anni. Dall'insegnamento trasse in larga misura le occasioni e gli argomenti per una letteratura scientifica quantitativamente rilevante, ma qualitativamente disuguale, probabilmente proprio a causa della sua origine e destinazione scolastica.
Non più che illustrazioni di esperimenti o di temi trattati nelle lezioni sono infatti alcune operette uscite a Parma tra il 1738 e il 1748. Più originali ed importanti alcune altre opere dello stesso periodo: Ad disciplinam mechanicam, nauticam et geographicam acroasis critica et historica, Parmae 1741; De corporibus elasticis disquisitio physico-mathematica, ibid. 1747; I fenomeni elettrici con i corollari da lor dedotti, e con i fonti di ciò che rende malagevole la ricerca del principio elettrico, ibid. 1749.
Pare che il B. rinunziasse all'insegnamento nello Studio di Parma nel 1750, allorché assunse la carica di confessore e teologo di Filippo di Borbone, nonché quella di matematico della Real casa. La protezione del duca permise al B. di continuare la sua attività scientifica nelle migliori condizioni: tra l'altro gli consentì nel 1757 la realizzazione di un osservatorio astronomico nel collegio gesuitico di Parma che diede anche occasione a due nuove operette, Dell'azione del caso nelle invenzioni e dell'influsso degli astri ne' corpi terrestri e Observatio defectus Lu nae habitae Parmae in novo observatorio patrum Societatis Iesu die 30 iulii 1757, ambedue pubblicate a Parma nel 1757. Il periodo che il B. trascorse alla corte ducale fu particolarmente fecondo di risultati scientifici e di riconoscimenti accademici: soprattutto importante l'opera De utriusque analyseos usu in re physica, Parmae 1761-1762, che ebbe larga risonanza ottenendo all'autore l'aggregazione all'Accademia delle scienze di Parigi, certamente il più cospicuo riconoscimento scientifico conseguito dal B., il quale peraltro fu socio di analoghi istituti accademici di Bologna, Padova, Siena, Cortona, Ravenna e Udine, oltre che socio fondatore della colonia arcadica di Parma, col nome di Damageto Crispeo. Sempre di questo periodo sono anche. due dissertazioni del B. Della riflessione de' corpi dall'acqua e della diminuzione della mole de' sassi ne' torrenti, e ne' fiumi, e due lettere inserite nel quarto volume della raccolta antologica Symbolae litterariae, Florentiae 1753, pp. 129 ss., 134 ss., rispettivamente illustranti una "basis Ariminensis inscriptio militaris recens inventa" e il tema De crassitie laterum quibus utebantur.
Bruscamente e del tutto imprevisto per il solido prestigio che egli si era acquistato nella piccola corte borbonica giunse nel novembre del 1763 il congedo del B. dalle cariche che ricopriva presso il duca. Il provvedimento, ispirato dal teatino Paolo Maria Paciaudi fiero avversario dei gesuiti e divenuto assai influente presso il Du Tillot, era una prima significativa avvisaglia della politica religiosa che il ministro borbonico avrebbe fermamente attuato negli anni seguenti. Pare però che il B. abbia conservato lo stipendio, poiché esso gli fu ancora confermato al momento dell'espulsione dei gesuiti dallo Stato.
Senza più alcuna veste ufficiale il B. continuò tuttavia fa sua intensa produzione scientifica: nel 1764 pubblicò a Parma una dissertazione Delle sensazioni del calore, e del freddo, e nel 1767, sempre a Parma, Theoria Cochleae Archimedis ab observationibus, experimentis, et analyticis rationibus ducta. Soprattutto diede impulso ad una Nuova raccolta d'autori che trattano il moto dell'acqua, utile silloge in sette volumi di scritti italiani sul tema indicato dal titolo, nonché su quello delle architetture idrauliche e in genere sulle opere di sistemazione del, corso dei fiumi. La raccolta fu pubblicata a Parma tra il 1766 ed il 1768 e ristampata a Bologna tra il 1823 ed il 1845.
Accanto a questi interessi scientifici venne maturando nel B. in questo periodo una viva curiosità per l'archeologia. Già nel 1749 aveva pubblicato, a Venezia alcune lettere a Scipione Maffei in cui discorreva, oltre che "de rebus physicis", dei recenti scavi di Resina, e di argomento archeologico era anche una delle lettere antologizzate, come si è visto, nel 1753. Nel 1764, appena congedato dalla corte di Parma, compì un viaggio a Ravenna dove ebbe modo, di esaminare nella chiesa di S. Vitale due bassorilievi rappresentanti due troni simili del dio Nettuno. Ad illustrazione di questi pubblicò a Cesena nel 1766 la dissertazione Del trono di Nettuno, nella quale traeva argomento da un attento esame dei due bassorwevi, minuziosamente interpretati con passaggi di Omero, con le medaglie e con il raffronto ad altri monumenti antichi, per proporre l'esistenza in Ravenna di un tempio del dio, del resto attestata da varie iscrizioni. L'operetta si concludeva con una digressione sull'architettura e sul gusto del monumento in genere, che 'anticipava un'opera assai più tarda del B., una dissertazione Dell'architettura egiziana pubblicata a Parma nel 1786, nella quale si cercava di dimostrare la superiorità dell'architettura egizia su quella greca.
I tranquilli studi del B. vennero nuovamente turbati nel febbraio del 1768, allorché il duca Ferdinando di Borbone, facendo seguito agli analoghi provvedimenti presi dalle corti di Portogallo, di Francia, di Spagna e di Napoli e come rappresaglia al monitorio contro Parma di Clemente XIII, bandì dallo Stato i gesuiti. La Compagnia attribuì al B. la nuova sede del collegio gesuitico di S. Lucia a Bologna, del quale egli fu nominato rettore il 23 dicembre dell'anno successivo. In questa qualità nel 1773 gli toccò di affrontare il cardinale Malvezzi, arcivescovo di Bologna, quando questi, in ottemperanza alle disposizioni di Clemente XIV, intraprese a Bologna la chiusura dei noviziati tenuti dai gesuiti, e la riduzione di essi sotto l'autorità episcopale, come misura preparatoria allo scioglimento della Compagnia. Secondo le istruzioni del generale della Compagnia, Lorenzo Ricci, il B. si oppose con tutti i mezzi a sua disposizione all'iniziativa de' ll'arcivescovo: quando nel maggio il Malvezzi secolarizzò gli studenti delle scuole gesuitiche, egli si rifiutò di ottemperare al provvedimento, e redasse un memoriale al pontefice, nel quale si faceva appello contro di esso alla bolla Suprema di Clemente X: pare tuttavia che questo scritto non arrivasse mai a Clemente XIV. Di fronte alla ferma opposizione del B., il Malvezzi dapprima minacciò di deporlo dalla carica e infine, il 5 giugno, lo fece arrestare ed accompagnare alla frontiera di Modena, misura che, secondo quanto scriveva all'arcivescovo di Bologna mons. Macedonio, segretario dei memoriali, fu approvata senza riserve dal, papa. Modena offrì asilo al- B. per ben poco tempo: pubblicato il breve pontificio di soppressione della Compagnia di Gesù, egli fu costretto ad allontanarsi anche da questa città. Trovò rifugio ad Udine, presso il fratello Alfonso e qui, dopo tante disavventure, ricevette il titolo comitale per sé e per la sua famiglia conferitogli il 25 ag. 1777 dal duca di Parma Ferdinando, il quale, liberatosi dalla tutela delle maggiori corti borboniche, andava revocando i provvedimenti presi dal Du Tillot in materia religiosa, e sanandone gli effetti.
Il B., che nel periodo bolognese aveva pubblicato le dissertazioni Della rapidità delle idee, Modena 1770, e Della proporzione tra i talenti dell'uomo, e i loro usi, Padova 1773, non rinunziò nemmeno nel rifugio udinese alla letteratura scientifica: nel 1777 pubblicò ad Udine una dissertazione De telluris viridatate e nel 1783, a Ferrara, Del sole bisognevole d'alimento e del Oceano abile a procacciarglielo, dissertazione fisico-matematica. Ma sostanzialmente, nell'ultimo periodo della sua vita, il B. si rivolse alla meditazione religiosa ed alla redazione di opere devote con intenzioni e modi del tutto tradizionali, senza più alcuna traccia della vivacità di interessi, del curioso spirito indagatore che aveva animato, al di là dei risultati, la sua vasta e varia esperienza scientifica.
Del resto egli stesso precisava il proprio punto di vista in proposito in una lettera a P. Zuliani del 30 genn. 1782: "Siamo in un secolo, dove si ama più che mai il nuovo. Ma io credo che il nuovo stia bene nelle scienze, nelle scoperte, nelle arti; ma negli affari di religione e della Chiesa sia bene non muover, nulla..." (Sette lettere inedite dell'abate J. B. della Compagnia di Gesù dirette all'abate Pietro Zuliani, prof. nell'Università di Padova, a cura di D. Morosini, Padova 1840). La maggior parte di questa particolare letteratura è rimasta tuttavia inedita; a stampa si hanno, oltre a De vita B. Torelli Puppiensis Ord. Vallisumb. commentarius, pubblicato a Padova nel 1745, Dall'esistenza nel nostro mondo d'una sola spezie d'esseri ragionevoli e liberi s'arguisce l'esistenza di Dio, Udine 1782; i postumi Ragionamenti sacri su le tre prigionie di S. Giovanni Battista, di S. Pietro e di S. Paolo, Udine 1824.
La più significativa tra queste, opere del B. è Dell'esistenza di Dio da'teoremi geometrici dimostrata, Udine 1777, un curioso anche se non nuovo tentativo di far convergere riflessioni sulla geometria e dimostrazioni teologiche.
I principi geometrici - sostiene il B. - sono verità eteme, necessarie, immortali, fornite d'un ordine intrinseco, di un'armonia perfetta, d'una evidenza precisa e certa; la geometria è come una scala armonica, composta d'infiniti gradini; Archimede, Euclide, Newton, gli ingegni sommi di questa scienza, hanno conosciuto soltanto i gradini primi della scala infinita; per conoscerli tutti occorre una mente infinita, un Ente intelligente che comprenda in sé tutta la geometria e che al tempo stesso ne sia l'autore, poiché solo l'autore può averne perfetta scienza.
La produzione scientifica del B. è varia per i temi e ineguale per l'impegno dell'autore. In essa non manca, tuttavia, un carattere costante, costituito dal notevole grado di chiarezza espositiva e della tendenza, a formalizzare il ragionamento in senso matematico.
Lo scritto I fenomeni elettrici...(1749), dedicato al duca di Parma, appartiene al primo periodo della vita del B., che possiamo considerare concluso nel 1750.
Tale scritto usciva in un momento di massimo interesse per i fenomeni dell'elettricità. Dopo la riscoperta degli elementari fenomeni di elettrizzazione per strofinìo, avvenuta agl'inizi del secolo, nel quarto decennio S. Gray aveva osservato i fenomeni della conduzione, dell'isolamento e dell'influenza elettrostatica, mentre C. F. du Fay era riuscito a distinguere le due elettricità "resinosa" e "vitrea". Nel 1745, infine, E. J. von Kleist e P. van Musschenbroek avevano casualmente scoperto la "bottiglia di Leida". Tra la fase degli studi sull'elettricità rappresentata da questi autori e quella che avrebbe visto, sorgere le teorie, monistiche o dualistiche, di B. Franklin, G. B. Beccaria, R. Symmer, s'inserì l'opera del Belgrado. Essa è suddivisa in tre "articoli", i quali con rigorosa progressione metodologica espongono i "fenomeni elettrici", i "corollari da fenomeni elettrici dedotti" e le "fonti delle difficoltà nello scoprimento della natura, e cagione de' fenomeni elettrici". La sperimentazione del B. non acquisiva osservazioni nuove di particolare interesse;, è notevole, invece, il metodo del ragionamento, sia per le misurate definizioni, sia per la costante ricerca di analogie tra i fenomeni elettrici ed altri meglio noti, soprattutto i luminosi e i termici. Il B., che in seguito avrebbe composto un suo abbozzo di filosofia della scienza, è criticamente consapevole già ne I fenomeni elettrici. Il suo esempio è la fisica newtoniana, e dal Newton egli ricava la "perfetta regola dell'ottimo filosofare" (p. 29): ammettere solo i principi necessari a spiegare i fenomeni. Confortato da questo criterio, il B. esprimeva l'avviso che si dovesse formulare prima l'ipotesi di un solo "principio" elettrico (p. 27).Ma il B. dubitava che si potesse mai giungere allo "scoprimento della natura, e cagione dei fenomeni elettrici.". Richiamandosi a Locke, e pur risentendo del deteriore sostanzialismo scolastico, il B. giungeva a definire una sua moderna veduta del procedimento ipotetico delle scienze naturali (p. 37).
La rinunzia all'insegnamento e la protezione del duca permisero al B. di dedicarsi appieno agli studi dopo il 1750.In questo, tempo nacque l'opera più organica che egli ci abbia lasciata, il De utriusque analyseos usu in re physica (1761-1762)la quale s'inseriva m una corrente di studi che, attraverso quelli di G. Grandi, dei fratelli Eustachio e Gabriele Manfredi e di I. Riccati, nella prima metà del secolo aveva portato in Italia i metodi infinitesiniali di Newton e di Leibniz, ridestando l'interesse per la geometria e per l'analisi. Nella dedica encomiastica a Ferdinando di Borbone, figlio decenne del duca, il B. non manca di richiamarsi a certa filosofia sensistica, cara al Condillac, precettore di Ferdinando, ai cui studi il De utriusque analyseos sarebbe dovuto servire. Il primo volume, De analyseos vulgaris usu, contiene un'ampia "dissertazione" (pp. 1-24) sull'uso dell'analisi nella fisica. Fisica, geometria, analisi non rappresentano, però, per il B., gradi successivi di astrazione concettuale, e non sono tra loro congiunte da implicazioni successive. La fisica usa il procedimento analitico anche per la trattazione delle masse, dei volunù, dei pesi, delle densità, degli attriti e delle forze di coesione (I, p. 8). Per applicare l'analisi alla fisica si richiedono tre condizioni: definire le quantità delle masse, dei volumi e delle densità; poter trasferire queste quantità nel linguaggio analitico; poter istituire tra le quantità rapporti geometrici o aritmetici (p. 9). Ma il B. aggiunge che non mancano problemi, né fisici, né geometrici, passibili di formulazione matematica e di trattazione analitica: con questo richiamo il B. sembra legato a vedute ancora tradizionalmente "quantitative" del formalismo matematico (ibid.).Poste queste premesse, il B. formula e risolve nel primo volume problemi di idraulica, statica, astronomia, ottica, balistica, "centrobaryca", fisica dei gas, architettura, meteorologia, igrometria, "de motu uniformi, et accelerato", "de. pendulis", "de corporum collisione", "de cohaerentia corporum", acustica, nautica, geografia, "gnomonica". Alcuni di questi argomenti ed altri: "de viribus centripetis, et centrifukis", "de communicatione motus", "de centro oscillationis et motu oscillatorio", "de viribus motui corporum resistentibus", tornano nel secondo volume, De analyseos infinitorum usu, dedicato a problemi che il B. affronta con l'analisi infinitesimale. Le premesse concettuali del lavoro sono così formulate dal B.: "Quem ad modum vero corpora ex superficiebus, hae ex lineis, lineae vero ex punctis confiantur, in quae ea demum resolventur; ita ex perpetuo puncti fluxu lineam, ex fluxu lineae superficiem, ex huius vero fluxu solida, seu corpora gigni, et condi aptissime fingitur. Elementa ista, seu linearum, seu superficierum, seu corporum aliquando indivisibilia, mox ab aliis infinitesima, seu differentialia, ab aliis ultimo evanescentia, vel primo nascentia, ab aliis denique fluxiones dici cepta sunt, nomen idoneurn nacta explicandae indoli, et naturae huiusmodi elementorum" (Il, p. 2). La geometria, nella prospettiva concettuale del secondo volume del De analyseos usu, poneva, dunque, come un tramite necessario fra la fisica e la matematica.
Nel trattatello Delle sensazioni del calore, e del freddo...(1764) il B. che, assecondando il costume intellettuale del tempo, aveva manifestato convinzioni filosofiche in più passi delle sue opere, elaborò i principi di una gnoseologia e di un'epistemologia delle scienze naturali.
La gnoseologia del B. è sensistica: le sue fonti culturali sono Locke e d'Alernbert, che il B. cita (p. 6), rivelando, qui come in numerosi altri passi delle sue opere, la propria dimestichezza con la cultura europea. Dove finiscono le "impressioni organiche", provocate dall'"azione degli obbietti", incominciano le "sensazioni animastiche", (De analyseos..., pp. 4.ss.). Il B. si propone di vedere se e come si possa giungere a un giudizio obiettivo sugli eventi fisici. Il problema è aggravato nel B. non soltanto dalla pregiudiziale sensistica, ma anche da un'intuizione meccanicistica della natura. Gli oggetti sono "materia, e forza, e moto", mentre in noi acquistano "quasi infinite nature, e forme di luce e di suono, di calore e, di freddo, di dolce e d'amaro" (pp. 5 s.). Il B. muove da un'affermazione fisiologica, la quale trova largo riscontro nell'anatomia del tempo: "Gli organi destinati dalla natura ad accogliere le nozioni degli obbietti sono principalmente le fibre, e tra queste le menome, come quelle, che ad ogni menomo urto, e, per così dire, solletico si risentono, si scuotono, oscillano e propagano l'impressione" (p. 20). Una prima causa di soggettività delle sensazioni è il diverso angolo d'incidenza dello stimolo sulla fibra, che provoca una diversa "distensione" della medesima fibra. Altra causa di soggettiva percezione dello stimolo è la non perfetta elasticità della fibra, che stenta, quindi, a riprendere lo stato priniitivo, e si presenta a un secondo stimolo in uno stato abnorme. Queste cause di soggettività delle sensazioni sono passibili di espressione matematica e geometrica, ma tutto ciò non serve al singolo caso. "Quindi vieppiù s'avvera il comune dettato, che nelle quistioni fisiche convien disperar del preciso, appagarsi del prossimo, e confessare, che le vedute dell'umana mente son corte..." (p. 204).
Il secondo scritto scientifico del B. che possiede un'autentica originalità, la Theoria cochleae Archimedis, appartiene al 1767, cioè al periodo successivo al congedo del B. dalla corte ducale.
Secondo il B., la coclea fu veramente scoperta da Archimede: e ciò egli riteneva potesse essere confermato dall'esame approfondito di quello stesso testo di Vitruvio (De architectura, VII, proem.; IX, 3), che aveva indotto altri a dubitare dell'attribuzione. Il B. procede poi a risolvere il "paradosso" della coclea mediante l'analisi geometrica della sua struttura e la formulazione matematica del suo, fiurzionamento. La coclea dev'essere costituita da un involucro cilindrico, dentro il quale si svolga un eliooide di passo quasi pari al diametro del cilindro, avente al centro un albero intorno al quale possa ruotare il complesso. Il paradosso della macchina, dove, I'acqua sale da un livello inferiore, è solo apparente, poiché "qui rem ad vivuni resecant, et ad trutinain severiorem singula revocant, nihil huiusmodi in ea agnoscunt, quod naturae ingenio non conveniat" (p. 24). Il moto ascensionale di una particella liquida è null'altro che la risultante del comporsi di due moti: quello impressole dalle spire dell'elicoide e quello gravitario.
Bibl.: Il B. non è annoverato nel Bollettino di storia delle matematiche del Boncompagni; viene ricordato, invece, nella classica Histoire des mathématiques (III, Paris 1800, p. 766) di J. E. Montucla, che sottolinea l'importanza della Theoria cochleae Archimedis; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 626-629; C. Belgrado, Commentario della vita e delle opere dell'abate conte I. B., Parma 1795; R. D. Caballero, Bibliothecae scriptorum Societatis Iesu supplementa, Roma 1814, pp. 93-95; G. B.Ferrari, Vitae virorum illustrium seminari Patavini, Patavi 1815, p. 269; C. von Würzbach, Biographisches Lexicon des Kaiserthums Oesterreich, Wien 1856, I, p. 238; P. Riccardi, Bibliotheca mathematica italiana..., Modena 1810, coll. 102-105; F. Di Manzano, Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani, Udine 1887, p. 32; M., Danvila y Collado, Reinado de Carlos III, III, Madrid 1894, pp. 178, 520 s.; L., V. Pastor, Storia dei papi, XVI, 1, Roma 1933, pp. 741, 916; 2, pp. 207-209; G.Castellani, Contributo di Gaetano Luigi Marini e di Giovanni Fantuzzi alla storia della soppressione dei gesuiti, in Archivum historicum societatis Iesu, XI(1942), pp. 103-105; F. Rizzi, I professori dell'Università di Parma attraverso i secoli, Parma 1953, pp. 44, 67 e seg.