BARBARIGO, Iacopo
Nato nei primi anni del sec. XV, forse da Andrea (secondo altri da Marco, da Fantino, da Filippo), nessuna traccia sicura ha lasciato di sé, per la difficoltà, rimasta insormontabile, di distinguerlo da almeno due omonimi vissuti nella stessa epoca. A detta del Priuli, era comandante di galera in Siria già nel 1429 e come tale ottenne qualche piccolo successo navale. Sarebbe stato anche patrono di galere dirette in Fiandra e a Londra, e capitano a Padova nel 14431445 (non risulta invece che sia stato podestà di Chioggia nel 1450). L'episodio, largamente documentato, che più ne rivela le qualità, accadde durante la difesa della Morea, nel 1465-1466.
Venezia aveva affidato le operazioni militari a Pandolfo Malatesta, ad Andrea Dandolo e ad Orsatto Gíustinian, ma, fosse per mancanza di coordinazione tra le forze di terra e di mare, fosse per le infelici, quasi rinunciatarie, istruzioni del governo e la mancanza di mezzi con cui pagare buoni mercenari, le cose andavano male. Soprattutto, tra il Malatesta e il Dandolo c'era un pericoloso disaccordo. Venezia allora esonerò il Dandolo e nominò in sua vece, nel maggio 1465, il B. con il titolo di provveditore. Gli raccomandò, nella "commissio" del 6 maggio, di accrescere il numero dei mercenari albanesi e di tentare qualche colpo di mano (interessava alla Repubblica evitare una sconfitta clamorosa e ottenere successi parziali che impressionassero, politicamente, i nemici d'Oriente e soprattutto quelli d'Occidente). Giunto sul posto, il B. si mise all'opera, informando poi, quasi giomalmente, attraverso una fitta serie di dispacci che ci sono pervenuti (pubbl. dal Sathas nel 1885), il suo governo dell'andamento delle operazioni. Per l'estensione (dal giugno 1465 al marzo 1466), per la sincerità con cui sono dettatic, e soprattutto per la diretta partecipazione ai fatti, le sue lettere costituiscono la miglior fonte sulla guerra di Morea e rendono inoltre un quadro vivace della sua personalità. Si accorse subito che la guerra procedeva nelle peggiori condizioni: l'esercito era composto da uomini inetti ("Questa gente sono sì impaurite che il solo nome dei Turchi gli meteno in fuga"), male equipaggiati (tra l'altro, i cavalli non avevano biade) e male pagati. Cominciò a dolersene con la Signoria: da buon funzionario, non riusciva ad arrendersi all'idea che le cose precipitassero così rovinosamente. Una volta i mercenari, anunutinatisi, tentarono di saccheggiare il quartier generale: il B. ebbe un bel daffare per calmarli: "Sicché, per dio, proveda la V. S. de mandar dinari che qualche gran inconveniente non siegua", e "non voglia butar questo mio scriver drieto le spalle". La Repubblica non rispondeva se non in termini evasivi. Il B. si accorse anche che il Malatesta non si curava affatto della guerra: non manteneva la disciplina, non assoldava, per rispam-úare sullo stipendio, buoni soldati, e lo denunciò coraggiosamente al governo, come disapprovò un'azione vittoriosa ma inutile condotta dal comandante navale Loredan nelle acque dell'arcipelago: "Io per mia natura dico apertamente el sentimento mio, che, come sa la Celsitudine Vostra, non posso nel mio core tegnire una cossa et exprimere un'altra". Suggeriva poi di ridurre la squadra navale e di potenziare l'esercito di terra. La Repubblica, per diversi motivi, prestò ascolto al suo provveditore: approfittando di una richiesta di licenza avanzata dal Malatesta, lo accontentò e nominò il B. unico comandante delle forze di terra, mentre il comando delle forze navali passava a Vittorio Capello. Ma le cose non migliorarono: "L'insuccesso non dipendeva da colpa di uomini, ma da difetto dei sistema" (Cessi); finché non si arrivò al fatto risolutore. Già nell'ultimo dispaccio spedito dal B. le proteste si facevano più rassegnate (si era nel marzo del 1466): "Si degnasse - la Repubblica - mandare in copia vituarìe et danari a suficientìa".
Nell'ag. 1466 il B. concordò con il Capello un colpo di mano contro Patrasso La sua armata, forte di duemila uomini già stava per impadronirsi della città., quando giunse in soccorso degli assediati Tourakhan-oghlon omer beg, che sbaragliò i Veneziani. Il B. cadde, ferìto, nelle mani dei Turchi e, portato a Patrasso, fu impalato. Venezia, il 7 settembre dello stesso anno, nominando il nuovo provveditore in Morea, accenna appena all'"inopinatum casum occursurn quoque nobili Iacopo Barbadico": premio troppo piccolo per un servitore così fedele. Più generosa, ovviamente, un'epigrafe incisa in suo ricordo a Venezia, in S. Andrea del Lido, che gli attribuisce anche un figlio di nome Girolamo.
Fonti e Bibl.: Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 3781, G. Priuli, Pretiosi frutti..., I, ff. 16-17; Arch. di Stato di Venezia, G. A. Cappellari, Famiglie Venete; I, Barbarigo, Dispacci della guerra di Peloponneso (1465-1466), a cura di G. N. Sathas, in Documents inédits relatifs à l'histoire de la Grèce au moyen dge, VI, Paris 1885, pp. 1-92 (cfr. anche ibid., I, ibid. 1880, pp. 252-258); I libri commemoriali della Repubblica di Venezia, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, 1. XI, nn. 77, 79, 126, 26x, I. XII,Im. 43, 52, 74, 76, 137; V, ibid. 1901, I. XV, n. 39; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, pp. 52 S.; III, ibid. 1830, p. 374; A. Gloria, I podestà e i capitani di Padova dal mos al 1504, Padova 1860, p. 23; C. Manfroni, Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma 1879, pp. 62-65; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1913, pp. 322 s.; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, I, Milano 1944, pp. 403 s.; F. Babinger, Mahomet II le Conquérant et son temps (1432-1481),Paris 1954, p. 310; F. Thiriet, La. Romanie vénitienne au moyen áge, Paris 1959, pp. 385-391.