BADOER, Iacopino
Detto anche, in qualche documento, Iacopino da Peraga dal nome di un feudo padovano passato alla sua famiglia, nacque allo scadere del secolo XIV (1393 ?) da Geremia, senatore della Repubblica, e da una gentildonna veneta.
Avviato ben presto agli studi in vista di una futura carriera ecclesiastica, si presentò giovanissimo, nel 1409, con la qualifica di "studens in iure canonico" presso l'università di Padova, al concorso indetto per l'assegnazione del vescovado rimasto vacante nella stessa città. Non ebbe successo: titolare della diocesi patavina divenne Pietro Marcello.
Cercò poi, ma sempre inutilmente, di ottenere nel 1415 l'arcivescovado di Creta, nel 1418 i vescovadi di Torcello e della Canea e nel 1425 quello di Castello, spinto non tanto da una spiccata vocazione per la vita pastorale quanto dal bisogno di assicurarsi prebende sicure. C'era nel B. l'ambizione di conquistarsi posizioni di favore per abbandonarsi poi, senza alcuna difficoltà, agli ozi letterari. In realtà, il B. nutriva per gli autori dell'antichità romana una passione ben più viva che per i severi studi canonici (anche se, dopo molti anni di studentato, raggiunse il grado di "decretorum doctor"). Egli si era facilmente inserito, grazie anche al suo carattere socievole e arguto, in quella fitta trama di amicizie e di scambi epistolari che animavano gli ambienti umanistici; e si andava improvvisando poeta. Già nel 1419 Sicco Polenton scriveva scherzosamente al B. lodandolo per "quedam poemata que ipso a Nasone profecta putarentur", e gli dimostrava ancor maggiore considerazione dedicandogli la sua Catinia. Anche Antonio Baratella lo aveva tra i suoi corrispondenti e lo ricordava talvolta nei suoi scritti, come nell'Ecatometrologia e nelle Elegie.
Della produzione del B. nulla ci resta, tranne due sonetti in volgare di evidente, anche se forzata, derivazione petrarchesca: poesia goffa, sostenuta solo dalla volontà di respirare un certo clima creativo.
L'entusiasmo per la poesia trovava un limite nella modestia dei mezzi economici. Il B. raggiunse tardi un reddito sicuro. La sua elezione a canonico della cattedrale di Padova del 1424 fu invalidata dal senato veneziano perché irregolare, e solo cinque anni dopo il B. ebbe la dignità e la prebenda canonicale. Nello stesso periodo ereditò anche una quota dei beni paterni e gli venne attribuito il titolo di arciprete commendatario della chiesa di S. Stefano di Verona (la notizia è confermata dal Biancolini che tuttavia l'assegna al 1440). Ormai una certa disponibilità di mezzi consentiva al B. di applicarsi con più libertà alle occupazioni preferite. Una lettera scritta da Londra nel 1437 dal veneziano Pietro del Monte lo rivela in un momento di giocosa spensieratezza, attorniato da amici ugualmente allegri ("Utinam... aliquando interessem vobiscum ridens et gaudens"). Non si sa se abbia intrapreso, per affari o istruzione, qualche viaggio. Non certatamente in lui, bensì in un suo omonimo, figlio di Sebastiano, è da ravvisarsi quel Iacopo Badoer che il 30 nov. 1436 compare a Costantinopoli in veste di testimone nella solenne "confirmatio treuguarum" che venne stipulata tra i Veneziani e l'imperatore Giovanni VIII Paleologo.
Finalmente, nel 1439, il B. fu investito di quell'alta carica ecclesiastica cui aspirava: fu eletto arcivescovo di Spalato.
La nuova dignità, la lontananza dai centri culturalmente attivi come Padova e Venezia, lo stesso clima di riforma spirituale che ormai si faceva strada in molti ambienti, operarono forse qualche cambiamento nella personalità del Badoer. È certo che nella nuova sede (da lui raggiunta solo nel 1441) egli appare impegnato nel suo ministero con una serietà che gli valse non pochi elogi. Si preoccupò subito di ricostituire il patrimonio della mensa episcopale in gran parte distratto per usi profani o saccheggiato da privati (le decime di Clissa e Cetina già usurpate da Sigismondo d'Ungheria furono restituite da Pietro di Thaloviz, bano di Dalmazia e Croazia); provvide inoltre con solerzia a sollevare dalle ristrettezze materiali il suo clero ottenendo dal governo veneziano l'abolizione di certe disposizioni che vietavano di legare beni immobili a favore di enti ecclesiastici. Fece costruire nella sua chiesa cattedrale dall'architetto Giorgio Orsini la nuova cappella con altare di S. Anastasio; e per questi interventi e per una sua certa "pietas in egentes et miseros" la sua scomparsa, nell'anno 1451, fu rimpianta dai contemporanei.
Fonti e Bibl.: Venezia, Museo Correr, Registro Badoer,P. D. 3-C (ms. del sec. XVIXVII), ff. 58-59; Diplomatarium veneto-levantinum sive acta et diplomata res venetas graecas atque levantis illustrantia a. 1351-1454, pars II, Venetiis 1899, pp. 346 s.; La Catinia, le Orazioni e le epistole di Sicco Polenton, umanista trentino del sec. XV,a cura di A. Segarizzi, Bergamo 1899, pp. 3-5, 60 s., 99, 102 s.; G. B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona,I,Verona 1749, p. 18; G. Degli Agostini, Notizie istorico critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani,I,Venezia 1752, p. 461; D. Farlati, Myricum sacrum,Venetiis 1765, III, pp. 384-389; F. S. Dondi dall'Orologio, Serie cronologico-istorica dei canonici di Padova,Padova 1905, p. 22; A. Segarizzi, I. B. rimatore veneziano del secolo XV,Trento 1904, per nozze Onestinghel-Degli Alberti; Id., Antonio Baratella e i suoi corrispondenti,Venezia 1916, p. 79; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés.,VI, col. 153.