DEL FIORE, Iacobello (Giacomello)
Figlio del pittore Francesco e di Magdalucia di ser Marco da mar, è documentato a Venezia, come pittore, dal 1400 al 1439, e si suppone sia nato a Venezia verso il 1370 (Paoletti, 1895, p. 7). Egli è uno dei maggiori esponenti della scuola pittorica veneziana del primo Quattrocento, come conferma il suo posto di pittore ufficiale della Serenissima sostenuto nel secondo e terzo decennio del secolo. Nella sua poetica di artista si può cogliere lo sfumato trapasso della cultura figurativa veneziana, dalla linguistica ancora bizantina di maestro Paolo a una nuova metrica gotico-internazionale.
Il padre Francesco (Venezia, notizie dal 1398 al 1414, anno della morte), capostipite della famiglia, abitava nella parrocchia di S. Luca ed era anch'egli pittore affermato, come recita l'encomio apposto sulla lastra tombale - oggi nel seminario patriarcale di Venezia - parte del perduto monumento funebre della famiglia fatto erigere nel 1433, forse dal D., nel chiostro dei Ss. Giovanni e Paolo (Testi, 1909, pp. 391 s.). Dei tre figli di Francesco due esercitavano la professione di pittore: il D. e Nicolò (Venezia, morto ante 1404) - come apprendiamo dal testamento della moglie di quest'ultimo Cateruzza -, mentre il terzo, di nome Pietro, era sacerdote (Paoletti, 1895, p. 8).
La personalità artistica di Francesco è affidata solo a ipotesi e congetture, dato che non rimane di lui alcuna opera certa. Si suppone pertanto che egli nascesse a Venezia verso il 1350 e che si formasse come artista nella cerchia di Paolo Veneziano, applicandosi anche alla miniatura, se è vero che alla fine dell'Ottocento si era mantenuta la memoria e la traccia di alcuni corali da lui miniati già in S. Andrea della Certosa (Caffi, 1880, p. 402, nota 3). La critica recente, che non ha confermato l'ipotesi attribuzionistica a Francesco per la Madonna del parto delle Gallerie veneziane (Coletti, 1953, pp. X s.), in mancanza di un qualsiasi elemento di stile, non si è più cimentata in altre supposizioni.
La vita e l'opera del D., difficili da analizzarsi in un profilo che tenga conto del dato biografico e insieme dell'evoluzione stilistica, si possono suddividere in quattro periodi: quello problematico della formazione (fino al 1409), quelli della prima e della seconda maturità (1410-20, 1421-30) e l'ultimo, della vecchiaia (1431-39).
Il primo periodo, di difficile definizione per la scarsezza di documenti e di opere certe, si suppone caratterizzato inizialmente dalla adesione del D. alla tecnica e allo stile del padre, ciò in linea con la prassi in uso a Venezia nella bottega artistica medioevale. Il D. dovette tuttavia guardare ben presto a quelle voci che apparivano più innovatrici nel panorama della cultura lagunare dopo la svolta operata dall'inserimento del Guariento (1366-68), e particolarmente a Stefano da Sant'Agnese, Iacobello di Bonomo e Catarino. Forse in cerca di quelle commissioni che in patria non gli si offrivano ancora, il D. soggiornò nelle Marche verso il 1401, data del perduto Polittico di s. Cassiano per l'omonima chiesa di Pesaro, venendo in contatto con l'ambiente in cui operava Gentile da Fabriano (Chiappini di Sorio, 1968, p. 12). Tra il 1395 ed il 1407 circa, la critica tende a raggruppare, in una sequenza di tempo forzatamente problematica, un primo nucleo di opere del D., sufficientemente unitarie per stile, raccolte attorno ad alcune opere firmate: il polittico del municipio di Teramo, il trittico della collezione "Lederer" di Vienna e due opere del 1407 eseguite a Venezia e inviate nelle Marche: il Trittico di Montegranaro, oggi in collezione privata svizzera, e il Crocifisso di Castel di Mezzo (presso Pesaro), quest'ultimo in collaborazione con lo scultore A. Bonvicino (Chiappini di Sorio, 1968, pp. 14 s.). Vengono per primi gli arcaizzanti Polittici di S. Giovanni Battista di Omišalj (Iugoslavia) e della Beata Michelina del Museo di Pesaro; seguono la Madonna dell'umiltà del Museo di Lecce, il Trittico della Madonna dell'umiltà delle Gallerie dell'Accademia di Venezia (Coletti, 1931), la Crocifissione del Museo Puškin di Mosca e la Pietà del Museo di Kiev (Markova, 1982, p. 19).
Si tratta di opere nelle quali l'impalcatura iconografica ancora derivata da Paolo Veneziano si sposa al lessico gotico più acuto di Lorenzo Veneziano e di Iacobello di Bonomo - come dimostrano le molte analogie con le figure del Polittico di Sant'Arcangelo di Romagna di quest'ultimo (1385) -, raggiungendo esiti formali che lo avvicinano al Nicolò di Pietro della Madonna col Bambino di Vulciano Belgarzone delle Gallerie dell'Accademia di Venezia (1394).
Si è supposto convincentemente che il D. abbia giocato un ruolo importante per quanto concerne la venuta di Gentile da Fabriano a Venezia, artista che egli aveva conosciuto durante il suo soggiorno marchigiano (Zampetti, 1969, pp. 61 s.). È ancora molto probabile che egli sia intervenuto a fianco di Gentile e del Pisanello nella decorazione ad affresco della sala del Maggior Consiglio in palazzo ducale - distrutta nel 1577 - intorno al 1412-15, e che possa averla conclusa verso il 1419 (Pesaro, 1978, pp. 45 ss.; cfr. anche Paccagnini, 1972, p. 132).
Il 27 genn. 1409 il D. dettò il suo primo testamento in favore della moglie Lucia, atto modificato da due codicilli nel 1410 e nel 1411, segno che l'artista in quegli anni poteva essere ammalato o essersi assentato da Venezia per motivi che si ignorano (Chiappini di Sorio, 1968, pp. 22-25). Tuttavia l'11 genn. 1412 il Senato deliberò di ridurre della metà il suo salario annuale, analogamente a quello di altri stipendiati della Repubblica, per supplire alle maggiori spese causate dalla guerra in Dalmazia (Paoletti, 1895, p. 8). Ciò dimostra che il D., che percepiva una delle paghe più elevate, ricopriva già un ruolo di pittore ufficiale, riconoscimento confermato dalla nomina a gastaldo dell'arte dei pittori nel 1415 (Zanetti, 1771, p. 18). Da documenti che risalgono allo stesso anno, apprendiamo che abitava allora nella parrocchia di S. Moisè e possedeva delle case a S. Maria del Giglio (Paoletti, 1895, p. 8).
Nel secondo decennio del secolo, ovvero negli anni della prima maturità, influenzato profondamente dalla poetica di Gentile e del Pisanello, il D. abbandonò ogni residuo metro bizantino per immettersi nella corrente veneziana del gotico internazionale e divenirne ben presto il più autorevole esponente. Appartengono a questo momento di crescita dell'artista i suoi più alti capolavori: le otto Storie di S. Lucia della Pinacoteca di Fermo (Berenson, 1932, p. 270), lo smembrato polittico già in S. Pietro a Fermo (Zeri, 1971, pp. 36-41), la Madonna dell'umiltà del Museo di Trieste e quella della Galleria nazionale di Budapest (Venturi, 1914, p. 298), lo Sposalizio di s. Caterina del Museo di Spalato (Gamulin, 1963, pp. 10 s.), la Crocifissione e la Madonna col Bambino del Museo civico di Padova.
Negli otto episodi della Vita di s. Lucia - eseguiti per la ancona della omonima chiesa di Fermo, e giustamente considerati il suo più alto raggiungimento espressivo - il D. assimila echi da Gentile da Fabriano, spunti pisanelliani e suggestioni miniaturistiche lombarde attingendo ad un lessico estremamente colto di ineguagliata scioltezza narrativa e di insuperato preziosismo formale, paradigmatico per gli artisti veneziani della generazione successiva, quali Michele Giambono.
Segue un gruppo di opere in cui si coglie a tratti il rapporto stilistico con le grandiose "historie" alle quali si suppone l'artista attendesse in quegli stessi anni in palazzo ducale: il Martirio di s. Lorenzo del Museo di Amsterdam (Huter, 1968, p. 33), l'araldico Leone di S. Marco (firmato e datato 1415) - già nel magistrato alla Bestemmia nel palazzo dei camerlenghi- oggi in palazzo ducale, il Trittico della Misericordia (firmato e datato 1416 ?) delle Gallerie veneziane (Longhi, 1946, p. 50), la pala di S. Pietro Martire per la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo e quella con S. Domenico per la chiesa del Corpus Domini (1418 c.) - entrambe perdute (Sansovino, 1663, pp. 65, 173) -, l'altra - già a S. Girolamo - di cui resta il frammento (firmato) con Prete Filippo nella chiesa di S. Alvise (Zorzi, 1972) e gli Apostoli - anch'essi perduti - affrescati "maggiori del naturale" nel 1419 nella sala dell'albergo della Scuola grande della Carità (Michiel, [1521-43]).
Il terzo decennio del secolo, quello della seconda maturità del D., si apre all'insegna dell'emulazione dello stile e della tecnica del Pisanello. Ne è l'esempio più significativo la grandiosità del movimento e della linea falcata nel Trittico della Giustizia (firmato e datato 1421), già nel magistrato del Proprio in palazzo ducale ed oggi nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia, opera di un decorativismo sfarzoso per l'abuso della pastiglia dorata a bassorilievo. Sono degli stessi anni la Madonna col Bambino (firmata) del Museo Correr a Venezia e l'Augusto e la Sibilla del Museo di Stoccarda (Pallucchini, 1950, p. 180), opere precorritrici dello stile del Giambono e di Iacopo Bellini.
Verso il 1430, data che indica l'inizio dell'ultimo periodo della vita e dell'opera del D., la critica ha colto una netta flessione qualitativa associata alla diminuzione delle commissioni, specie in Venezia. L'acuto linearismo espressivo del ductus del D. si placa in una cifra lineare fiacca e convenzionale; alla caratterizzazione nervosa dei volti si sostituisce un molle chiaroscuro e un pesante grafismo derivato forse dal Giambono. Le opere di questo periodo, commissionate certo al D., come prova talvolta la presenza della sua firma, vedono l'intervento preponderante della bottega nella quale si confonde quell'Ercole Del Fiore, figlio adottivo del D., nominato nel testamento del 2 ott. 1439, assieme alla vedova, quale fidecommissario ed erede degli strumenti dell'arte (Paoletti, 1895, pp. 8 s.).
Appartiene a questi anni l'Incoronazione della Vergine (firmata) delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, eseguita, assieme all'intagliatore Cristoforo da Ferrara, per il duomo di Ceneda, su commissione del vescovo Antonio Correr. In essa la grandiosa iconografia guarientesca mal sopporta le discontinuità stilistiche e qualitative che si notano qua e là nelle singole figure, segno dello scarso intervento diretto del Del Fiore. Analogamente è da riferirsi alla scuola del D. e di Nicolò di Pietro il ciclo di affreschi della chiesa di S. Lorenzo di Serravalle, opera di artisti diversi accomunati in una koinè stilistica di carattere popolare (Muraro, 1955, pp. 172-77).
Nel quarto decennio del secolo, assai povero di notizie, il D. commissionò, come si è detto, il monumento funebre della famiglia con la statua del padre Francesco e l'epigrafe commemorativa (1433), ma nelle ormai rare opere firmate che di lui ci rimangono come il polittico dell'Accademia Carrara di Bergamo (1430 ?) e il trittico del municipio di Chioggia (1436-37?) si riconosce solo la sua ideazione.
Morì nel 1439.
Il testamento del D. del 1439 e i successivi documenti dei sette incanti dei suoi beni dopo la morte offrono un quadro abbastanza preciso dell'agiatezza economica raggiunta dall'artista. Egli possedeva numerose proprietà immobiliari a Venezia (a S. Moisè, a S. Agnese e alla Croce) ed una a Padova in contrada S. Agostino. Tra i numerosi oggetti di pregio venduti figurano: reliquie e reliquiari - che lasciava alla Scuola dei battuti della Carità alla quale apparteneva -, dipinti su tavola di soggetto religioso, libri e miniature, una promissione dogale, corali, un mosaico e una "tavolla intarsiada" - quest'ultima acquistata da Iacopo Bellini quasi a voler sancire un debito morale nei suoi riguardi (Paoletti, 1894, p. 6) -. La moglie Lucia, già vedova di Maffeo Tagliapietra, gli sopravvisse fino al 17 maggio 1464 (Paoletti, 1895, p. 11).
Fonti e Bibl.: Gran parte dei documenti relativi alla vita del D. sono pubblicati e trascritti da P. Paoletti, Raccolta di documenti ined. per servire alla storia della pittura venez. nei secc. XV e XVI, Bellini, I, Padova 1894, p. 6; II, ibid. 1895, pp. 7-12. Essi sono stati oggetto di analisi e commento in: L. Testi, Storia della pittura veneziana, Bergamo 1909, I, pp. 391-422. Per quanto riguarda i dipinti, sia conservati sia perduti, si vedano le seguenti fonti indirette: M. Michiel, Notizia d'opere di disegno (1521-43), a cura di I. Morelli, Bassano 1880, p. 237; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, con aggiunte di G. Martinioni, Venezia 1663, pp. 65, 173, 282; M. Boschini, Le ricche minere della pittura venez., Venezia 1674, sestiere di S. Marco, p. 49, sestiere di Dorsoduro, pp. 19, 36; A. M. Zanetti, Della pittura venez., Venezia 1771, pp. 16 s.; A. Olivieri degli Abati, Mem. della chiesa di S. Maria di Monte Granaro, Pesaro 1777, pp. 34 s.; M. Caffi, G. D., pittore venez. del sec. XV, in Arch. stor. ital., VI (1880), pp. 402 s. Pur mancando tutt'ora una monografia sull'artista, numerosi sono gli studi sull'opera intera del D. e le proposte di catalogo, oltre al citato capitolo del Testi (1909): L. Venturi, Le origini della pittura venez., Venezia 1907, pp. 80 s.; G. Gronau, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, pp. 595 ss.; L. Planiscig, J. D., in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, I (1926), pp. 86 ss.; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 270; G. Fiocco, in Encicl. Ital., XVIII, Roma 1951, p. 627; L. Coletti, La pittura veneta del Quattrocento, Novara 1953, pp. X s.; R. Pallucchini, La pittura veneta del Quattrocento, Bologna 1956, pp. 51-73; I. Chiappini di Sorio, Per una datazione tarda della Madonna del Correr, in Boll. dei Musei civici veneziani, XIII (1968), 4, pp. 11-25; P. Zampetti, A Dictionary of Venetian Painters, London 1969, pp. 61 s. Altri più specifici contributi si segnalano per ordine cronologico: A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, 1, Milano 194, pp. 296 ss.; F. F. Mason Perkins, A Rediscovered Painting by J. D., in Apollo, X (1929), 55, pp. 38 s.; L. Coletti, Sul polittico di Chioggia e su Giovanni da Bologna, in L'Arte, XXXIII (1931), p. 141; R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura venez., Firenze 1946, pp. 49 s.; S. Moschini Marconi, Le Gallerie dell'Accad. di Venezia, I, Opere d'arte dei secc. XIV e XV, Roma 1949, pp. 28-31; R. Pallucchini, La mostra di Stoccarda, in Arte veneta, IV (1950), p. 180; M. Muraro, Affreschi di Nicolò di Pietro e di J. D. a Serravalle, in Riv. d'arte, XXX (1955), pp. 172-77; G. Gamulin, L'altare di S. Giovanni evangelista di J. D. a Omišalj, in Arte veneta, XI (1957), pp. 23 ss.; C. Volpe, Una "Crocifissione" di J. D., in Arte antica e moderna, XX (1962), p. 438; G. Gamulin, Ritornando sul Quattrocento, in Arte veneta, XVII (1963), p. 627; F. Zeri, J. D. La pala di S. Pietro a Fermo, in Quaderni di Emblema. Diari di lavoro, I (1971), pp. 36-41; G. Paccagnini, Pisanello e il ciclo cavalleresco di Mantova, Milano s. d. [1972], pp. 129-45; A. Zorzi, Venezia scomparsa, Milano 1972, II, p. 509; I. Chiappini di Sorio, Note e appunti su J. D., in Notizie da Palazzo Albani, II (1973), 1, pp. 23-28; C. Huter, J. D., Giambono and the Benedict panels, in Arte veneta, XXXII (1978), pp. 31-38; C. Pesaro, Un'ipotesi sulle date di partecipazione di tre artisti veneziani alla decorazione della sala del Maggior Consiglio nella prima metà del Quattrocento, in Boll. dei Musei civici veneziani, XXIII (1978), 1-4, pp. 44-55; V. Markova, Inediti della pittura veneta nei musei dell'URSS, I, in Saggi e mem. di storia dell'arte, XIII (1982), pp. 13 s., 19; D. Rosand, Venezia e gli dei, in "Renovatio Urbis". Venezia nell'età di Andrea Gritti (1523-1538), Roma 1984, pp. 207 s.