di Alessandro Minuto Rizzo
L’Alleanza Atlantica è un’organizzazione internazionale sui generis. Non ha competenze predefinite, né un vero personale di carriera e prende decisioni per consenso. In generale le alleanze terminano quando si raggiunge l’obiettivo e non hanno carattere permanente. Questo caso è diverso e deriva da una serie di valori aggiunti.
Il primo aspetto è il rapporto fra civili e militari. Sappiamo dalla storia che gli stati maggiori sono stati troppo spesso all’origine di conflitti. Perciò la Nato applica rigorosamente il principio del controllo civile sulle forze armate. Per converso, nessuna decisione operativa del Consiglio Atlantico viene presa senza l’accordo del Comitato militare. Il Consiglio può accettare o respingere un parere, ma non lo può modificare a sua discrezione. Al quartier generale di Mons vi sono migliaia di specialisti in contatto permanente con i propri ministri della difesa. Se si decide un’operazione, anche a lunga distanza, questa struttura conosce le capacità specifiche che possono essere offerte dai paesi, come elicotteri e navi. L’Alleanza è quindi l’unica organizzazione capace di pianificare e gestire un’operazione multinazionale di grandi dimensioni. Le sue forze armate sono inter-operabili, vale a dire che hanno la capacità di operare efficacemente insieme grazie a standard e addestramento comuni. Trattandosi di un’Alleanza, il principio di base è che ogni paese è sovrano rispetto ai propri contributi alle operazioni. Vi sono delle spese comuni per alcuni Quartier Generali ed infrastrutture di particolare interesse, ma niente di più. L’International Staff civile ed il suo bilancio hanno a loro volta dimensioni limitate. Naturalmente il tema più delicato è quello del consenso politico e tradizionalmente si tratta di un processo lento e discreto fra i governi cercando di conciliarne gli interessi.
Lo scenario futuro appare comunque molto diverso. Il mondo è sempre più policentrico, senza potenze egemoni, con valori differenziati. La globalizzazione porta vantaggi e crea contemporaneamente timori. Si assiste quindi a localismi esasperati proprio quando si dovrebbero cercare soluzioni globali a problemi globali, insieme a un ritorno al bilateralismo nei rapporti internazionali. L’Alleanza Atlantica è passata da 12 a 28 paesi e negli anni Novanta si discusse a lungo se tale processo l’avrebbe rafforzata o meno. La conclusione fu che era indispensabile una politica della ‘porta aperta’ per favorire il processo democratico nei paesi ex comunisti. Decisione che ne ha spostato ad est il baricentro con la conseguenza di una particolare sensibilità verso la Russia.
Oggi, l’Alleanza rimane l’unico ‘produttore di sicurezza’ seriamente esistente. Non deve diventare un gendarme mondiale, ma la sua esperienza può aiutare a sviluppare una cultura e creare dei network dove si guarda insieme alle grandi questioni strategiche. I tre compiti fondamentali riconosciuti recentemente sono la difesa reciproca (in caso di aggressione); la gestione delle crisi (abbiamo visto i valori aggiunti); la cooperazione nella sicurezza (cioè lo sviluppo dei partenariati). Da una decina d’anni si ipotizza una Nato mondiale oppure con degli associati mondiali. Ma dove e come essere presenti? Il quadro delle possibili opzioni è oggi molto vasto e ciò comporta una crescente difficoltà a trovare il consenso fra i governi. Si è visto nella campagna aerea sulla Libia che non tutti hanno partecipato, rompendo una lunga tradizione. Si può ipotizzare per il futuro una formula organizzativa per cui il consenso politico rimane necessario, ma nel concreto partecipano alle operazioni solo i paesi che accettano di essere coinvolti.
Quanto alle aree di crisi, un grande interrogativo riguarda la regione dal Nord Africa al Medio Oriente. Si è anche esaminata la possibilità di una presenza sul terreno fra Israele e Palestina per cui sarebbero indispensabili tre condizioni: un accordo di pace fra le parti, l’approvazione esplicita degli interessati e una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Attualmente esistono due partenariati nella regione: il Dialogo mediterraneo con Marocco, Algeria, Tunisia, Mauritania, Egitto, Giordania e Israele; e l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul con Bahrain, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, aperta anche all’adesione di Arabia Saudita e Oman. I principi a cui si ispirano sono innovativi poiché prevedono una collaborazione essenzialmente pratica negli ambiti politico-militare e delle questioni strategiche, nonché la consultazione nelle aree di interesse reciproco. Quindi una ‘strada a due sensi’ in cui i paesi partner devono esprimere la loro preferenze. La particolarità è che i grandi temi politici vengono lasciati fuori. Si può quindi costruire una cooperazione partendo dai progetti. Il rovescio della medaglia è che ci vuole molta buona volontà per ricercare aree di comune interesse facilmente praticabili. L’Alleanza potrebbe avere un ruolo di consulenza e di assistenza se effettivamente a Baghdad verrà formato un governo di unità nazionale. Un obiettivo ragionevole è l’adesione della Libia al Dialogo mediterraneo: l’argomento è all’ordine del giorno ma le convulsioni interne non aiutano a prendere una decisione. Bisogna rendersi conto soprattutto che, essendo la Nato un’alleanza molto politica, molte cose sono possibili se vi è il consenso dei paesi: l’intervento in Afghanistan è stato deciso nel giro di pochi mesi. L’Alleanza ha perfino condotto nel 2005 un’operazione di assistenza umanitaria nel Pakistan dopo un terribile terremoto. Al vertice di Istanbul nessuno avrebbe mai immaginato la partecipazione di paesi arabi alla campagna aerea in Libia. Vi sono possibili scenari in Asia, il Giappone sarebbe perfino disponibile ad aderire. Australia e Nuova Zelanda partecipano attivamente alle operazioni in Afghanistan, cosi come molti altri paesi che non sono membri.
Appare quindi utile mantenere in buona salute un ‘fornitore di sicurezza’ provato. Però è essenziale una guida politica a questo processo, che al momento appare timida. Il titolo del capitolo è stato scritto e bisogna riempirne le pagine.