I siti della Magna Grecia: un panorama esemplificativo. Le colonie achee
di Roberto Spadea
Colonia achea (gr. Κρότων; lat. Croto, Crotona) situata sulla costa ionica della Calabria, fondata, secondo la tradizione, verso la fine dell’VIII sec. a.C. da Myskellos di Rhipe per suggerimento dell’oracolo delfico.
Il fertile territorio, solcato dai fiumi Esaro e Neto, e la posizione costiera sull’unica insenatura naturale tra Taranto e Reggio ne determinarono la fioritura. Assai vasta appare la superficie occupata dall’antico abitato (650 ha ca.), definita probabilmente alla fine del VII sec. a.C., ricalcando forse la lottizzazione originaria. Essa presenta assi stradali larghi tra 4,8 e 5 m ed è centrata in tre grandi blocchi, divergenti tra loro di 30° a nord-est, perpendicolari alla linea di costa. Tra i più antichi materiali emergono ceramiche di importazione dalla Grecia (produzioni corinzie con coppe del tipo Thapsos, kotylai ad aironi), dal bacino dell’Egeo (produzioni rodie) e dall’Asia Minore. A questi si affianca, via via prevalendo, una produzione locale di imitazione. Nel VI sec. a.C., dopo la vittoria nella guerra contro Siris (prima metà del secolo) e nonostante la pesante sconfitta della Sagra (intorno alla metà del secolo), la città raggiunge un alto livello di benessere, testimoniato anche dal gran numero di atleti che trionfano più volte nelle principali gare panelleniche (particolarmente nelle Olimpiadi). Matura, a fianco delle importazioni corinzie e insulari, l’artigianato locale, che si distingue, oltre che per le produzioni vascolari, nella coroplastica, anche di grandi dimensioni, e nelle produzioni di bronzo vicine alle principali scuole della madrepatria.
Due avvenimenti segnano l’ultima parte del VI sec. a.C.: l’arrivo del filosofo Pitagora (530 a.C.), che avrà una grande influenza nel governo della città, e la conquista di Sibari (510 a.C.). Tra la fine del VI e il primo trentennio del V sec. a.C. la città doveva essere ormai definita nei suoi spazi fondamentali e monumentali, quali le aree pubbliche, i santuari, le mura. Arrivano in città le prime produzioni attiche a figure nere, rinvenute soprattutto nei corredi delle necropoli, anche se non è stato finora possibile reperire esemplari di particolare pregio. Oltre ad alcuni santuari urbani sono da segnalare quello di Vigna Nuova a ridosso delle mura nel settore sud-occidentale e quello nella zona di Sant’Anna di Cutro a sud della città, sui margini dell’altipiano del Marchesato, complessi nei quali è stato possibile raccogliere significativi ex voto e dediche che confermano l’alto livello delle produzioni di C. Questo periodo di prosperità comincia a declinare nel corso del V sec. a.C. Alle lotte interne che conducono alla cacciata dei Pitagorici, segue la pesante sconfitta dell’Elleporo (389/8 a.C.), che segna l’inizio del dominio di Dionisio I. Dopo una tirannide di 30 anni la città comunque risorge e rifonda se stessa secondo canoni urbanistici rinnovati, ma rispettosi del piano di base e conosce un periodo di floridezza, che la vede attivamente presente nella Magna Grecia, con produzioni che ricalcano i canoni della koinè ellenistica diffusa, in questo tempo, in tutta l’Italia meridionale. Il quadro non muta nel corso del III sec. a.C. Il prevalere dei popoli di stirpe osca, il sorgere di forti contrasti interni e la presenza di Annibale nell’ambito delle guerre puniche segnano l’avvio del declino della città, che si concluderà con la deduzione della colonia romana nel 194 a.C. Tracce della necropoli romana sono emerse nel corso dello scavo nel cantiere urbano della Banca Popolare Cooperativa, in prossimità dell’odierno municipio, con tombe alla cappuccina dai corredi contenenti ceramiche, lucerne, monete e vetri.
Il quadro non muta nelle tombe scavate nella vicina via Tedeschi e nel cantiere di via XXV Aprile, quest’ultimo in zona già suburbana. Una menzione particolare merita il santuario extraurbano di Hera Lacinia, situato 12 km a sud della città, ove restano tracce del tempio della prima metà del V sec. a.C. (superstite è una sola colonna), un katagogion e un hestiatorion del IV sec. a.C., il muro del temenos di età romana e altre emergenze minori. Accanto al tempio è venuto recentemente in luce un edificio rettangolare (B) databile al VI sec. a.C., probabilmente un thesauròs, che ha restituito tra l’altro splendidi materiali bronzei, tra cui una barchetta nuragica, un cavallino geometrico e un diadema d’oro.
L’area di Cirò (gr. Κρίμισα; lat. Crimisa), situata a nord di Crotone, comprende oggi il più antico centro di Cirò superiore, posto sulle alture a circa 300 m s.l.m., e la sottostante e più recente Cirò Marina, a sud della Punta Alice, in antico Crimisa Promontorium. Qui è ubicato il santuario di Apollo Alaios, dove secondo la tradizione erano conservati l’arco e le frecce dell’eroe greco Filottete, che avrebbe terminato qui il suo vagabondaggio (ἄλη, da cui forse deriva l’epiteto del dio). Questa vasta zona, compresa tra la fiumara Lipuda a sud e il Fiumenicà a nord, si segnala per la fitta presenza di insediamenti che dall’età del Bronzo giungono fino all’età tardoantica, senza che in alcuno di questi possa riconoscersi una connotazione urbana. Dall’area di Cirò superiore provengono materiale d’impasto dell’età del Bronzo (contrada Motta) e un ripostiglio di asce dell’età del Ferro, insieme a ricchi corredi tombali con ori, ambra e fibule (contrada Sant’Elia), che trovano confronto con materiali dell’area settentrionale della Calabria ionica. Tali materiali sembrano potersi riferire ad aristocrazie indigene, da identificare forse con i Chones noti dalle fonti. Ceramiche e bronzi di importazione del Geometrico recente e dell’Orientalizzante rinvenuti nella zona fanno ipotizzare il contatto di queste popolazioni con genti greche. Tracce di insediamenti greci si hanno sia nelle alture che sovrastano il mare, che nell’area costiera (località Taverna) dall’inizio del VI sec. a.C., con materiale corinzio e produzioni locali di imitazione, simili a quelle di Crotone.
A Punta Alice l’archeologo P. Orsi mise in luce negli anni Venti del Novecento i resti del tempio di Apollo Alaios. Scavi eseguiti nel 1995 hanno individuato altre strutture relative al tempio, fra cui quelle appartenenti a un katagogion, di età ellenistica ma con fasi precedenti, ancora in corso di studio. Le principali fasi di costruzione del tempio, identificate da ricognizioni stratigrafiche eseguite dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma, sono due: la prima arcaica, con impiego di blocchi di pietra squadrati, mattoni crudi, colonnato ligneo e decorazioni di terracotta; la seconda di età ellenistica avanzata (IVIII sec. a.C.), in cui il tempio assume l’aspetto di un periptero con 8 colonne sul lato breve e 19 sul lato lungo. Nel territorio a sud del santuario, rade – anche se significative – sono le presenze ascendenti al V sec. a.C., mentre tra IV e III sec. a.C. le aree della Marina sono interessate da insediamenti diffusi riferibili a popolazioni osco-brettie. Sono state individuate numerose necropoli, purtroppo non oggetto di scavi regolari, che tuttavia permettono una ricostruzione del rituale funerario in uso, con ricchi repertori vascolari a figure rosse e vernice nera, coroplastica con originali esemplari d’ambiente italico, cinturoni e armi di bronzo, spiedi e alari di piombo. Si conservano anche ricche tombe a camera (contrada Spatoletto), da cui provengono diademi a foglia d’oro e altri ricchi monili di metallo prezioso. La quantità e la qualità dei materiali rinvenuti (si tratta di una delle più ricche documentazioni dei Bretti nella Calabria) attesta l’alto livello di benessere dei nuclei sparsi nella fascia costiera cirotana.
Su Crotone:
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Su Cirò:
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F. Mazza (ed.), Cirò, Cirò Marina. Storia, cultura, economia, Soveria Mannelli 1997.
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di Laura Buccino
Colonia achea (gr. Μεταπόντιον; lat. Metapontum) fondata sulla costa ionica dell’attuale Basilicata tra i fiumi Basento, che lambiva la città a sud, e Bradano, a nord.
A ovest si stendeva l’ampio e fertile territorio, costituito da terrazze pianeggianti digradanti verso il mare. Una laguna costiera doveva offrire un porto naturale. Secondo una tradizione riferita da Strabone, M. era ritenuta una colonia dei Pili del Peloponneso giunti per mare con Nestore alla fine della guerra di Troia. La fondazione originaria, distrutta dagli indigeni, sarebbe stata ricolonizzata in età storica dagli Achei chiamati da Sibari, che era interessata a contrastare l’espansione della dorica Taranto lungo la fascia costiera occidentale del Mar Ionio. In base alla documentazione archeologica, la fondazione, sulla quale esistevano varie tradizioni mitiche, è posta dopo la metà del VII sec. a.C. (640-620 a.C.), subito dopo la fondazione ionica di Siris (650 a.C.). M., per potersi creare un proprio territorio, dovette combattere a lungo con i Tarantini e con gli Enotri dell’entroterra collinare, il cui insediamento principale era quello dell’Incoronata. Intorno al 570-560 a.C., in coalizione con le achee Crotone e Sibari, M. distrusse la ionica Siris per impadronirsi del suo territorio.
Intorno alla metà del VI sec. a.C. al governo aristocratico dovette sostituirsi una tirannide, cui vengono ricondotte le grandi opere pubbliche che trasformarono l’assetto della città. Fonti letterarie di età romana narrano l’episodio degli amanti Antileon e Hipparinos, che per l’uccisione del tiranno Archelao furono onorati dalla comunità della polis con la dedica di statue bronzee. Il governo aristocratico moderato, tornato al potere, determinò anche una riorganizzazione e ridistribuzione del territorio. La distruzione di Sibari nel 510 a.C. accrebbe la prosperità e la potenza della colonia, che ampliò la sua influenza territoriale e il controllo sui traffici commerciali. Pochi anni dopo Pitagora, cacciato con i suoi seguaci da Crotone, trovò accoglienza a M., dove morì. I Metapontini inviarono una spiga d’oro al santuario di Delfi, a indicare la prosperità della città, e nella prima metà del V sec. a.C. dedicarono nel santuario di Olimpia un thesauròs, celebre per la ricchezza degli ex voto che conteneva. Alla metà del V sec. a.C. sopravvenne un periodo di crisi economica e di indebolimento politico, in seguito alle vicine fondazioni di Thurii ed Eraclea, che durò fino alla metà del secolo successivo. L’innalzamento costante della falda acquifera nell’area urbana costituì un grave problema ambientale.
Nel 413 a.C., una flotta di Atene diretta in Sicilia si fermò a M., che fornì agli Ateniesi rinforzi, in ottemperanza a un’alleanza stipulata in precedenza. Agli inizi del IV sec. a.C., M. aderì alla confederazione delle città achee, in seguito denominata Lega italiota. Alla metà del IV sec. a.C. iniziò la ripresa della città. Il governo democratico stabilì una nuova distribuzione del territorio, che venne densamente abitato, e diede vita a un’intensa attività edilizia. Alcuni studiosi hanno ipotizzato un’occupazione della città da parte dei Lucani tra il IV e l’inizio del III sec. a.C., prima dell’arrivo in Italia di Alessandro il Molosso, che liberò Eraclea (e forse la stessa M.?). Al termine della guerra di Taranto e Pirro contro i Romani, nel 272 a.C. M. divenne una delle città alleate di Roma. Durante la seconda guerra punica, i Metapontini si liberarono dal presidio romano insediatosi nel centro urbano e si allearono con Annibale, fino alla definitiva occupazione romana nel 207 a.C. Lo stato di decadenza e di abbandono della città nell’età imperiale è documentato da Pausania, ai cui tempi non restavano altro che il teatro e le mura (II sec. d.C.).
Nonostante la tradizione sulla fondazione dei Pili di Nestore riferita da Strabone, le ricerche archeologiche non hanno registrato finora nessun insediamento dell’età del Bronzo frequentato dai Micenei. Nell’area urbana di M., in particolare nella fascia meridionale, vicina alla foce del Basento (a sud in proprietà Andrisani e Lazazzera e a est nel cd. Castro), sono venuti in luce nuclei di capanne a pianta curvilinea di tradizione indigena, contenenti all’interno ceramiche greche e di produzione locale, datate poco dopo la metà del VII sec. a.C., che sono probabilmente da riferire a un insediamento sparso di abitanti misti greco-indigeni. Le tracce di incendio indicano una distruzione violenta da parte degli Achei o degli Enotri dell’interno, il che comporterebbe uno spostamento di un decennio della data di fondazione (640 nel primo caso, 630-620 a.C. nel secondo). Altri materiali relativi alla fase precedente la colonizzazione sono stati rinvenuti nel santuario, sotto il sacello arcaico C e nell’agorà sotto l’ekklesiasterion (ceramica greca ed enotrio-iapigia, coppe di tipo Thapsos e statuette di ispirazione dedalica di produzione locale).
Sin dall’origine della colonia, l’organizzazione dello spazio urbano previde la distinzione delle aree destinate alla vita pubblica, al culto e ai quartieri abitativi, che dovevano tener conto dei margini di crescita demografica, la definizione degli assi viari fondamentali e la posizione delle necropoli fuori dell’area urbana. Il porto fluviale doveva essere localizzato presso le anse del Basento, a sud della città. Nel santuario urbano, cosiddetto di Apollo Liceo, posto al centro della fascia settentrionale della città, il culto si svolgeva in origine presso altari di cenere (escharai), risalenti agli ultimi decenni del VII sec. a.C., poi sostituiti da altari in pietra, e sacelli (oikoi) in legno e mattoni crudi. I cippi di pietra (argòi lithoi) infissi nel terreno, in particolare vicino al Tempio B, e talora iscritti con dedica ad Apollo, sono stati interpretati come testimonianze di un primitivo culto del dio all’aperto. Nel grande spazio quadrangolare riservato all’agorà, a est del santuario, venne eretta alla fine del VII sec. a.C. una gradinata lignea (ikria) rivolta verso il santuario, destinata alle assemblee e agli spettacoli.
Tra la fine del VII e i primi decenni del VI sec. a.C. fu costruito il primo circuito murario con zoccolo di pietra ed elevato di mattoni crudi. Ne sono stati individuati tratti a nord, tra il Tempio D e il Ceramico, e presso la porta Ovest, dove si trovava un passaggio in direzione della necropoli occidentale e dell’Heraion delle Tavole Palatine. La fortificazione, rafforzata da un terrapieno alle spalle e da un fossato anteriore, era condizionata dalle irregolarità del terreno e si sviluppa sul lato settentrionale con un profilo arcuato. Agli inizi del VI sec. a.C. fu eretto il primo tempio di pietra, sul lato occidentale del santuario urbano, dove sorgeranno anche gli altri edifici sacri, contrassegnati con lettere che indicano la successione cronologica delle scoperte. Il Sacello C, dedicato ad Atena, che mostra l’orientamento sacro tradizionale, secondo l’asse est-ovest, aveva fondazioni di pietra locale e alzato di mattoni crudi ed era decorato con un fregio fittile a rilievo. Con lo stesso orientamento solare, nel secondo quarto del VI secolo fu avviata la costruzione, immediatamente a nord del Sacello C, del Tempio A, il più grande, dedicato a Hera, la dea principale delle colonie achee d’Occidente, che rimase incompiuto.
Intorno alla metà del VI sec. a.C. grandi opere pubbliche trasformarono l’assetto della città, forse in connessione con l’instaurarsi di una tirannide. La cinta muraria originaria fu sostituita da una struttura a doppia cortina, collegata da setti trasversali, con zoccolo di blocchi squadrati e alzato di mattoni crudi, come indicano i resti individuati sul lato occidentale. Nello stesso periodo fu realizzato l’impianto urbano ortogonale, fondato su due strade principali perpendicolari (plateiai). Il vero asse generatore dell’impianto era quello disposto in senso nordsud, dal Basento verso il Bradano, che divideva in due parti la città (plateia III) e che incontrava al confine tra il santuario e l’agorà la plateia A, ad andamento ovest-est, dall’entroterra verso il mare. La rete di strade minori, costituita da plateiai perpendicolari tra loro e poste a distanze variabili, intersecate da numerosi stenopòi, formava una serie di isolati rettangolari stretti e allungati, disposti in direzione ovest-est. Contemporaneamente alla definizione del reticolo urbano, fu realizzata anche la rete idrica di canali di drenaggio e di approvvigionamento, sottoposta a vari rifacimenti a causa del costante innalzamento della falda acquifera. Il Tempio B, dedicato ad Apollo, fu eretto ex novo con lo stesso orientamento dell’impianto urbano, allineato alla plateia A, che delimitava l’area del santuario a sud. Il tempio aveva in origine una peristasi di colonne doriche monolitiche e presentava la cella distinta in due navate da un colonnato centrale, con pronao e adyton.
Nella seconda metà del VI sec. a.C. i templi A e B vennero ristrutturati con planimetrie analoghe, che davano grande risalto alla fronte principale orientale. Il Tempio A, ricostruito con il nuovo orientamento, era un grande periptero con doppio colonnato sulla fronte orientale, coronata da una grande iscrizione incisa sull’architrave: “per sé e per la sua famiglia”, che è stata interpretata come un riferimento all’opera di un tiranno, responsabile della costruzione del tempio e del rinnovamento urbanistico della colonia. Il Tempio B subì un allungamento della fronte principale est, che fu enfatizzata con l’aggiunta di una fila di colonne davanti alla cella, articolata stranamente in quattro navate. La peristasi venne chiusa in maniera innovativa su tre lati da un muro scandito all’esterno da semicolonne doriche. La vasta area dell’agorà si inserì perfettamente nell’impianto ortogonale. La plateia principale III la separava a ovest dal santuario. Alla metà del VI sec. a.C. fu costruito, dove era situata la gradinata lignea distrutta da un incendio, l’ekklesiasterion, un grande edificio a pianta circolare destinato probabilmente allo svolgimento di spettacoli teatrali, giochi e gare sportive e non solo di assemblee pubbliche, data la notevole capienza (8000 persone). La costruzione era costituita da due terrapieni di forma semicircolare contrapposti, sostenuti all’esterno da un muro di contenimento a grossi blocchi di calcare e separati da un lungo corridoio, che si allargava al centro in uno spazio rettangolare, interpretato come orchestra. Nello stesso periodo fu sistemato anche l’adiacente luogo di culto, che fu recintato da un muro di pietra e provvisto all’interno di un altare e di un cippo iscritto con dedica a Zeus Agoraios.
Alla metà del VI sec. a.C. risale anche l’impianto del quartiere dei vasai, il Ceramico, localizzato all’interno della città, all’estremità della plateia più occidentale presso la porta Nord, attivo fino agli inizi del III sec. a.C. Nella vasta area, rimasta libera da abitazioni sin dalla prima sistemazione urbanistica, sono stati rinvenuti ambienti rettangolari destinati alle attività produttive, fornaci, pozzi e canali per il deflusso delle acque, banchi di argilla e moltissimi scarichi di materiale ceramico di varia epoca. Nella necropoli di contrada Crucinia, la più vasta e più vicina alla città, a nord-ovest delle mura, è stato scoperto un gruppo di tombe monumentali a semicamera, costruite in pietra con klinai ornate da elementi di metallo e ricchi corredi, riferibili alle famiglie aristocratiche della prima metà del VI sec. a.C. Con la tirannide di M. sono stati messi in rapporto una tomba e un complesso monumentale a carattere funerario scoperti nel settore sud-occidentale della necropoli. Del ricco corredo della prima faceva parte un’armatura oplitica da parata in lamina d’argento dorata, attribuita al tiranno stesso (oggi a Saint-Louis nel Missouri). Il secondo è un complesso costituito da quattro camere sepolcrali, di cui due appartenenti a personaggi maschili armati di spada e deposti su klinai, ricollegati alla tradizione letteraria sui tirannicidi, data la presenza dell’iscrizione incisa ANT (Antileon) su quattro blocchi esterni del monumento.
Nella prima metà del V sec. a.C., in un periodo di grande prosperità della città, Aristeas di Proconneso (di cui parla Erodoto), di passaggio a M., fece erigere un recinto sacro dedicato ad Apollo Daphnephoros, che è stato rinvenuto nell’angolo sud-ovest dell’agorà. Sono venuti alla luce, entro un ampio recinto trapezoidale, un grande basamento per la statua di Aristeas, un altare in blocchi lapidei, un pozzo circolare, un foro profondo in cui poteva essere infisso l’albero di alloro e numerosissime foglie bronzee tutto intorno. Nella prima metà del V sec. a.C. fu ricostruito il grande ekklesiasterion: le cavee furono provviste di sedili di pietra e sorrette da un muro di contenimento più alto. Il perimetro dell’orchestra venne delimitato da due gradini, che servivano anche a collegare organicamente lo spazio rettangolare centrale con le cavee semicircolari. Contemporaneamente fu risistemato il contiguo temenos di Zeus Agoraios, dove venne rifatto l’altare e collocato un secondo cippo iscritto, che documenta il trasferimento in città del culto di Zeus Aglaòs, il fulgido, dal santuario extraurbano di San Biagio.
Il santuario di Zeus e altri monumenti sacri furono racchiusi entro un ampio recinto di blocchi regolari. I templi A e B vennero ristrutturati, con il rifacimento delle coperture con terrecotte policrome. Il Sacello C fu circondato da un’imponente peristasi esterna, assumendo la forma di un tempio in antis e fu abbellito con un tetto di marmo cicladico, decorato da una sima a protomi leonine e acroteri a spirale. Fu rifatto anche l’altare, in asse con il tempio, ma a notevole distanza da questo. Nella parte più settentrionale del santuario, un po’ più appartato rispetto agli altri tre, fu costruito secondo l’orientamento sacro tradizionale il grande Tempio D, in stile ionico, attribuito ipoteticamente ad Artemide (480-470 a.C.). L’edificio era un periptero con una fitta peristasi di colonne slanciate e riccamente decorate. La trabeazione è originalmente ornata sia dal fregio che da una serie di dentelli. Nel periodo di crisi sopravvenuto alla metà del V sec. a.C. non si costruirono nuove opere pubbliche, ma si cercò di fronteggiare l’innalzamento costante della falda acquifera con opere di bonifica, come la regolarizzazione dei battuti stradali e la creazione di canali di drenaggio nell’area urbana. In questo periodo fu avviata la produzione locale di ceramica protolucana e lucana (440-360 a.C.).
All’inizio del IV sec. a.C. venne abbandonato e spogliato dei materiali lapidei l’ekklesiasterion. Con la ripresa nella seconda metà del IV sec. a.C., fu costruito in grossi blocchi squadrati di calcare un nuovo circuito difensivo, che inglobò quello arcaico, seguendo lo stesso percorso. Finora sono state individuate due porte, la porta Nord, in asse con la plateia più occidentale, e la porta Ovest, da cui partiva la plateia principale ovest-est che conduceva dall’entroterra al centro pubblico della città, monumentalizzata in questo periodo con la costruzione di due torri quadrate, richieste dalle nuove tecniche di combattimento e di assedio. Il confine tra l’agorà e il santuario fu segnato mediante una fila di cippi, allineati al lato occidentale della grande plateia III, che separava le due aree pubbliche. Lungo la plateia IV furono costruite le due stoài monumentali a due piani, che delimitavano scenograficamente il lato sud-orientale dell’agorà. Alla fine del IV sec. a.C. il Tempio D subì un radicale rifacimento e fu edificato il piccolo Tempio E dedicato a Dioniso nella zona nord-orientale del santuario.
Nel luogo in cui era sorto l’ekklesiasterion fu costruito il teatro, completato agli inizi del III sec. a.C. La facciata esterna, come il muro poligonale di contenimento interno, era articolata in dieci lati, con una decorazione architettonica di tipo dorico. Tra la fine del IV e la metà del III sec. a.C. fu costruito nel contiguo recinto sacro di Zeus un enorme basamento in blocchi di reimpiego, destinato a sostenere probabilmente una statua del dio, mentre le altre strutture del temenos furono interrate dalla costruzione di un terrapieno di rinforzo al teatro. Nello stesso periodo fu risistemato l’impianto urbano. Per la crescita demografica entro i primi decenni del III secolo vennero edificati e occupati gli ultimi isolati residenziali, negli spazi adiacenti al santuario e all’agorà. Con il III sec. a.C. iniziò il rapido declino della città greca. I templi furono abbandonati e sostituiti da piccoli sacelli, mentre il manteion di Aristeas continuò a essere valorizzato: alla fine del III sec. a.C. fu circondato da un muro perimetrale trapezoidale, che presentava il lato rivolto verso il santuario decorato con riquadri a rilievo. L’altare fu a sua volta racchiuso da un recinto rettangolare con il lato orientale aperto, ornato da un fregio dorico nella parte alta. Tra il II e il I sec. a.C. vennero aggiunti ambienti, tra cui un hestiatorion. Dopo la resa del 272 a.C., tra l’agorà e il lato orientale delle mura, fu costruito un quartiere di forma quadrangolare, il cosiddetto Castro, che doveva ospitare un presidio militare romano. Dopo la guerra annibalica, la vita della città si contrasse nell’area fortificata del Castro e nella zona del porto, con forme di abitato sparso nei dintorni. La ripresa tra IV e VI sec. d.C. è testimoniata da una piccola basilica paleocristiana con battistero e dalle tracce di frequentazione dell’area portuale.
I principali santuari extraurbani erano distribuiti a regolari intervalli nel territorio, posti strategicamente a controllo della viabilità e delle risorse idriche, e ripetevano i culti principali della polis. A Hera era dedicato il santuario delle Tavole Palatine, ubicato al confine con la chora di Taranto, su una collina sulla sponda destra del Bradano, dove si trova il tempio meglio conservato di M., un periptero eretto nel terzo quarto del VI sec. a.C. di cui restano 15 colonne doriche appartenenti ai lati lunghi ancora in piedi e numerosi frammenti della decorazione in terracotta policroma. In contrada Cozzale Pizzarieddo si trova il santuario di Apollo Liceo e presso Masseria Avenia quello di Atena, entrambi alla destra del Basento. Presso una sorgente salutifera sorse il santuario di S. Biagio dedicato ad Artemide e a Zeus Aglaòs, al confine tra l’area coltivata e quella boschiva interna. Il sacello ha restituito numerose terrecotte architettoniche e votive, tra cui il fregio con raffigurazione del corteo processionale (seconda metà del VII - inizi del VI sec. a.C.).
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A. De Siena (ed.), Metaponto. Archeologia di una colonia greca, Taranto 2001.
L. Cerchiai, Metaponto, in L. Cerchiai - L. Jannelli - F. Longo (edd.), Città greche della Magna Grecia e della Sicilia, Venezia 2002, pp. 130-43.
J.C. Carter, Rec. a E.M. De Juliis, Metaponto, in Gnomon, 8 (2003), pp. 715-20.
di Piero Orlandini
L’insediamento dell’Incoronata è sito su una bassa collina sulla riva destra del fiume Basento, 5 km a ovest di Metaponto. Dal 1971 è stato oggetto di scavi sistematici condotti dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata e successivamente (dal 1974) dall’Istituto di Archeologia dell’Università Statale di Milano.
Dalla fine del IX e per tutto l’VIII sec. a.C. l’Incoronata fu sede di uno dei tanti villaggi dell’età del Ferro situati lungo la fascia costiera della Siritide e del Metapontino e abitati dalla tribù enotria dei Chones. Verso il 700-690 a.C. a questo abitato indigeno si sovrappose un insediamento greco, verosimilmente un centro emporico-artigianale di genti ioniche che fu, a sua volta, distrutto verso il 640-630 a.C., quasi certamente dagli Achei fondatori di Metaponto. Del villaggio indigeno restano poche tracce dei livelli abitativi (qualche buco di palo, focolari, pavimenti di ciottoli). Ricco è invece il materiale delle 50 fosse di scarico finora scavate. Le ossa di animali (bovini, ovini e suini), i resti di grano, i pesi e le fuseruole documentano un’economia basata sull’allevamento, l’agricoltura e la tessitura. Per quanto riguarda la ceramica, dai vasi di impasto si passa alla ceramica depurata con decorazione monocroma (nera o bruna) caratterizzata dal tipico motivo “a tenda” della produzione enotria, associata a frammenti di ceramica greca “precoloniale” del medio Geometrico corinzio. Verso la fine dell’VIII sec. a.C. subentra la decorazione bicroma, con l’adozione del colore rosso e un forte influsso della ceramica iapigia del Salento e della ceramica greca tardogeometrica.
Questo villaggio fu praticamente cancellato dall’insediamento greco, caratterizzato da piccoli oikoi a pianta rettangolare con muretti di fondazione in pietra, elevato di mattoni crudi e tetto di paglia pressata. I 14 oikoi finora scavati misurano, in media, 12 m2 e 5 di essi presentano un incasso nel terreno, profondo da 30 a 80 cm. Tutti gli ambienti mostravano i segni di una distruzione violenta e avevano il fondo ricoperto da vasi di ogni tipo, dalle anfore commerciali corinzie, attiche, laconiche e greco-orientali ai vasi dipinti importati o di produzione locale. I vasetti tardoprotocorinzi permettono di stabilire, per la distruzione, una data non posteriore al 630 a.C. Tale concentrazione di materiali all’interno degli oikoi (fino a 180 vasi in 12 m2), il noto graffito di Pyrros in caratteri ionici e la ricca produzione locale di vasi dipinti e a rilievo indicano che l’insediamento dell’Incoronata rappresentava probabilmente un centro di raccolta, fabbricazione e smistamento di merci collegato a un approdo marittimo di Metaponto e rivolto alle popolazioni indigene dell’immediato retroterra. L’insediamento era caratterizzato anche da grandi fosse di scarico, larghe da 3 a 5 m e profonde fino a 1,6 m che hanno restituito sia ceramica greca che resti appartenenti al precedente villaggio indigeno, che erano stati scaricati sul fondo delle fosse per liberare il terreno. I prodotti di importazione rinvenuti nell’insediamento greco comprendono, oltrealle citate anfore commerciali, una ridotta percentuale di ceramica protocorinzia e greco-orientale.
Molto abbondante è invece la produzione locale di vasi dipinti che riproducono, con stile eclettico, motivi geometrici e figurati dell’Orientalizzante greco. Oltre ai deinoi figurati con cavalli contrapposti, di ispirazione cicladica, e un vaso globulare con grifi e caccia al leone di gusto protocorinzio, va ricordato il noto deinos con Bellerofonte e la Chimera di chiara derivazione protoattica. Una classe particolare è quella dei grandi crateri o stamnoi con la decorazione subgeometrica, molto vicini ai crateri siracusani del Fusco. I prodotti “di lusso” più significativi sono tuttavia i grandi perirrhanteria fittili decorati a rilievo: l’esempio più noto è quello dell’oikos del saggio G, alto 78 cm e interamente decorato con scene del mito e dell’epos greco. La fabbricazione locale di questi oggetti è dimostrata dalla scoperta di un frammento di matrice corrispondente a una delle scene di combattimento del citato perirrhanterion. Sul piano storico le scoperte dell’Incoronata documentano tre momenti fondamentali delle vicende della Siritide e del Metapontino: la fase “precoloniale” caratterizzata dalla presenza di ceramica greca geometrica nel contesto indigeno di VIII sec. a.C.; la fase “emporica” (o protocoloniale) rappresentata dall’insediamento greco di VII sec. a.C.; l’inizio della fase “coloniale” con la fondazione achea di Metaponto e la distruzione violenta dell’insediamento dell’Incoronata.
Per la pubblicazione sistematica degli scavi dell’Università Statale di Milano si veda:
P. Orlandini - M. Castoldi (edd.), Ricerche archeologiche all’Incoronata di Metaponto. Scavi dell’Università degli Studi di Milano, Istituto di archeologia, serie edita dal Comune e dalla Direzione delle Raccolte Archeologiche di Milano di cui sono stati pubblicati finora i quaderni: I. Le fosse di scarico del saggio P. Materiali e problematiche, Milano 1991; II. Dal villaggio indigeno all’emporio greco. Le strutture e i materiali del saggio T, Milano 1992; III. L’oikos greco del saggio S. Lo scavo e i reperti, Milano 1995; V. L’oikos greco del saggio H. Lo scavo e i reperti, Milano 1997; IV. L’oikos del grande perirrhanterion nel contesto del saggio G, Milano 2000.
Per una sintesi delle scoperte fino al 1985: D. Adamesteanu (ed.), I Greci sul Basento. Mostra degli scavi archeologici all’Incoronata di Metaponto 1971-1984 (Catalogo della mostra), Milano 1986. In particolare: P. Orlandini, s.v. Incoronata, in EAA, II Suppl. 1971-1994, III, 1995, pp. 96-98 (con bibl. prec.).
Inoltre:
D. Adamesteanu, La Basilicata antica. Storia e monumenti, Cava dei Tirreni 1974, pp. 67-78.
Id., Scavi archeologici in località Incoronata presso Metaponto, in Acme, 29 (1976), pp. 29-39.
Id., Incoronata (Metaponto). Campagna di scavo 1977-1978, in Scavi e ricerche archeologiche degli anni 1976-1979, II, Roma 1985, pp. 217-36.
M. Lombardo - M.T. Giannotta, s.v. Incoronata, in BTCGI, VIII, 1990, pp. 276-84 (con bibl. prec.).
A. Pelosi, Qualche considerazione sull’Incoronata di Metaponto, in AnnAStorAnt, 14 (1992), pp. 35-44.
A. De Siena, Metapontino. Strutture abitative ed organizzazione territoriale prima della fondazione della colonia achea, in K. Mannino - F. D’Andria (edd.), Ricerche sulla casa in Magna Grecia e in Sicilia. Atti del Colloquio (Lecce, 23-24 giugno 1992), Galatina 1996, pp. 161-95.
P. Orlandini, Campagna di scavo all’Incoronata 1996, in CMGr XXXVI (1996), pp. 495-98.
Id., Scavi e scoperte all’Incoronata di Metaponto, in Siritide e Metapontino. Storie di due territori coloniali. Atti dell’incontro di studio (Policoro, 31 ottobre - 2 novembre 1991), Napoli 1998, pp. 91-94.
Per il problema storico, da ultimi:
P.G. Guzzo, Modificazioni dell’ambiente e della cultura tra VIII e VII secolo sulla costa ionica d’Italia, in DialA, 4 (1982), pp. 146-51.
A. Pontrandolfo, I Lucani. Etnografia e archeologia di una regione antica, Milano 1982, pp. 25, 60-62.
A. Bottini, in P.G. Guzzo - A. Bottini - C. Ampolo, Popoli e civiltà dell’Italia antica, VIII, Roma 1986, pp. 92-128.
Per la ceramica indigena:
L. Malnati, Gli scavi dell’Incoronata di Metaponto e l’inizio della produzione della ceramica bicroma nell’Italia meridionale, in Acme, 32 (1979), pp. 275-83.
P. Orlandini, Figura umana e motivi antropomorfi sulla ceramica enotria, in Studi in onore di Ferrante Rittatore Vonwiller, II, Como 1980, pp. 309-17.
M. Castoldi, Il motivo dell’uccello acquatico sulla ceramica indigena geometrica dell’Incoronata (Metaponto), in NotMilano, 31-32 (1983), pp. 7-13.
Ead., La ceramica con decorazione a “tenda” dell’Incoronata (Metaponto), Milano 1984.
Ead., Una classe di vasi indigeni bicromi decorati ad incisione dall’Incoronata di Metaponto, in Acme, 41 (1988), pp. 65-75.
Per la ceramica greca e coloniale:
P. Orlandini, Un frammento di coppa mediogeometrica dagli scavi dell’Incoronata presso Metaponto, in AttiMemMagnaGr, 15-17 (1974-76), pp. 177-86.
P. Panzeri, Frammenti di dinoi con cavalli contrapposti dall’Incoronata e il problema dei rapporti con Siris, in Forschungen und Funde. Festschrift Bernhard Neutsch, Innsbruck 1980, pp. 335-39.
Ead., Oinochoe tardogeometrica dall’Incoronata, in Acme, 34 (1981), pp. 579-82.
D. Ciafaloni, Stamnoi a decorazione geometrica dall’Incoronata di Metaponto, in BdA, 70 (1985), pp. 43-48.
P. Orlandini, Due nuovi vasi figurati di stile orientalizzante dagli scavi dell’Incoronata di Metaponto, ibid., 73 (1988), pp. 1-16.
Id., Altri due vasi figurati di stile orientalizzante dagli scavi dell’Incoronata di Metaponto, ibid., 76 (1991), pp. 1-8.
G. Stea, La ceramica grigia di VII sec. a.C. dall’Incoronata di Metaponto, in MEFRA, 103, 2 (1991), pp. 405- 42.
Per i perirrhanteria:
P. Orlandini, Perirrhanterion fittile arcaico con decorazione a rilievo dagli scavi dell’Incoronata, in Attività archeologica in Basilicata 1966-1977. Scritti in onore di Dinu Adamesteanu, Matera 1980, pp. 175-215.
M. Pizzo, in Ricerche archeologiche all’Incoronata di Metaponto, II. Dal villaggio indigeno all’emporio greco. Le strutture e i materiali del saggio T, Milano 1992, pp. 87-98.
P. Orlandini, Nuovi frammenti di perirrhanteria fittili dagli scavi dell’Incoronata, in In memoria di Enrico Paribeni, Roma 1998, pp. 305-10.
di Laura Buccino
Fondazione (gr. Παιστός, Παῖστον, Ποσειδωνία, Ποσεδωνιάς; lat. Posidonia, Paestum) dei Sibariti, insieme a un contingente di Dori, che i dati archeologici consentono di collocare intorno al 600 a.C., situata nella parte meridionale del Golfo di Salerno, alla sinistra del fiume Sele.
I coloni si stabilirono su una piattaforma calcarea sita in una fertile piana alluvionale costiera, delimitata a est e a sud da rilievi collinari e a ovest da una laguna, in un territorio già abitato dagli indigeni. Le fonti tramandano che i coloni costruirono inizialmente un avamposto fortificato (teichos), che si è ipotizzato di localizzare sul promontorio di Agropoli. Nel corso del VI e del V sec. a.C. la città di Poseidonia ebbe un ruolo di primo piano nel controllo dei traffici del Tirreno meridionale, assumendo l’eredità della metropolis, distrutta nel 510 a.C. Alla fine del V sec. a.C. venne conquistata dai Lucani, che le cambiarono il nome in Paistom. Tra il 334 e il 331 a.C. la città accolse Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno e re dell’Epiro, che era stato chiamato in aiuto da Taranto per combattere contro i popoli italici. Nel 273 a.C. Roma vi dedusse una colonia di diritto latino, di nome P. La pianificazione dell’impianto urbano previde sin dalla fondazione la definizione delle aree funzionali, con un’ampia fascia centrale, lunga circa 1 km e larga 250 m, destinata agli edifici pubblici e religiosi e distinta dalle strade principali in tre settori: l’agorà al centro, i santuari a nord e a sud. I templi mostrano un orientamento rituale divergente dal resto dell’impianto urbano, con la fronte rivolta verso est.
Nel santuario settentrionale, sito nel punto più elevato della città, intorno al 580 a.C. fu costruito un edificio sacro di piccole dimensioni, conservato solo in fondazione nella parte meridionale dell’Athenaion più tardo e decorato con terrecotte architettoniche. Alla fine del VI sec. a.C., nel momento di grande sviluppo economico e di fervore architettonico e urbanistico della colonia, lo spazio urbano venne definito con la realizzazione del primo circuito murario, di cui sono stati rinvenuti piccoli tratti nei pressi della porta meridionale, e della rete stradale, già prevista nel piano originario (520-510 a.C.). L’impianto era rigorosamente ortogonale, imperniato sull’incrocio di strade larghe (plateiai), a loro volta intersecate da assi minori nord-sud (stenopòi), che delimitavano i settori dell’area pubblica centrale e una rete di isolati lunghi e stretti (35 x 273 m), secondo il tipico schema per strigas. È stata individuata la grande plateia A, con andamento nordsud, che incrociava ad angolo retto le arterie principali orizzontali (plateiai D, B, C). Ciascun isolato era diviso da un muro di spina longitudinale mediano. I quartieri di abitazioni private si conoscono per lo più nei livelli dell’età romana, ma è stata indagata estensivamente una casa greca di età arcaica con cortile, in un isolato a est del tempio di Atena, costruita verso il 530 e abbandonata intorno al 470 a.C.
Il tempio di Hera (la dea principale in tutte le colonie achee d’Occidente), la cosiddetta Basilica, fu eretto nel santuario meridionale tra il 550 e il 520-510 a.C. L’imponente edificio fu costruito in pietra con una peristasi di 9 x 18 colonne. Il progetto della cella profonda a due navate, con pronaos e adyton, subì due variazioni durante il periodo di costruzione, che portarono a un’accentuazione della fronte est, secondo una tipologia diffusa in Occidente. I capitelli erano elegantemente decorati con foglie, palmette, fiori di loto e rosette. La trabeazione era nello stile cosiddetto “dorico-acheo”. La decorazione architettonica di terracotta policroma era ricca e vivace. Alla fine del VI sec. a.C. furono costruiti, nel santuario meridionale, il piccolo tempio prostilo scoperto sotto la curia, che fu allineato alla rete viaria, e nel santuario settentrionale il cosiddetto “tempio di Cerere”, in realtà dedicato ad Atena, che aveva una peristasi in ordine dorico, colonne ioniche sulla fronte e una raffinata decorazione architettonica. La cella, preceduta dal pronaos, era monumentalizzata dal posizionamento a un livello più alto, che andava crescendo dal colonnato. Poco prima della metà del V sec. a.C. fu costruito nel santuario meridionale l’ultimo dei templi maggiori, il cosiddetto “tempio di Nettuno”, attribuito ad Apollo (da altri a Zeus), in ordine dorico canonico, con cella tripartita (470 a.C.).
L’agorà era costituita da un’enorme piazza di forma rettangolare (330 ™ 300 m), posta al centro dei santuari, delimitata dalle plateiai A, D e B e da uno stenopòs a est. Nel settore nord dell’agorà è stato rinvenuto un sacello ipogeico, costituito da una tomba a camera parzialmente scavata nella roccia, con pareti in blocchi di pietra e copertura a doppio spiovente, ricoperta probabilmente da un tumulo di terra, che è stato interpretato come la sede del culto eroico dell’ecista della colonia (o secondo un’altra ipotesi recente dei Tritopatores, gli antenati della comunità cittadina). L’heroon (forse preceduto da una struttura anteriore con le stesse funzioni) è datato sulla base dell’eccezionale corredo, di cui facevano parte preziose hydriai e anfore di bronzo e vasi attici, intorno al 510 a.C. Sempre nel settore nord dell’agorà, a est dell’heroon, fu costruito intorno al 470 a.C. l’ekklesiasterion, un edificio circolare destinato alle assemblee politiche della comunità, appoggiato in parte al pendio, con le gradinate scavate nella roccia e rivestite di blocchi di calcare. Al V sec. a.C. risalgono la stoà, che delimitava la piazza sul lato sud-ovest, e la prima fase dell’edificio quadrangolare rinvenuto a nord dell’ekklesiasterion, identificato con un thesmophorion, ristrutturato alla fine del IV secolo. A est di Porta Marina è stato individuato il quartiere dei vasai, attivo dalla seconda metà del IV sec. a.C.
Durante la fase di occupazione lucana, l’abitato fu circondato da un imponente circuito murario lungo 4750 m, costruito alla fine del IV sec. a.C. e poi rafforzato in età romana. La cinta a doppia cortina era provvista di un fossato, 28 torri e 4 porte urbiche. Tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. il santuario meridionale fu circondato da un muro di blocchi di pietra che ricalcava probabilmente una precedente recinzione lignea. A nord, lungo la plateia mediana, fu eretto un portico che fungeva da accesso monumentale al santuario. Nello stesso periodo fu ristrutturato l’Asklepieion collocato a nord-est del temenos, già costruito alla fine del V e rifatto nella seconda metà del IV sec. a.C., e fu eretto il cosiddetto “tempio anfiprostilo”, forse dedicato a Eracle. L’agorà della fase lucana mantenne le proprie funzioni civili. Gli edifici pubblici furono seppelliti solo al momento della conquista romana. Un basso gradino roccioso, con andamento est-ovest, distingueva l’agorà in due settori, di cui quello settentrionale destinato alle attività politiche, quello meridionale alle attività commerciali, poi ereditate dal foro romano. A Giove era forse dedicato il tempietto rinvenuto a ovest dell’ekklesiasterion. All’inizio del III sec. a.C. la grande piazza fu ristretta per la creazione di altri isolati residenziali.
Le necropoli settentrionali di Laghetto e Arcioni furono utilizzate sin dalla fondazione. In età tardoarcaica è datata la necropoli rinvenuta in località Ponte di Ferro, formata da sepolture povere scavate fittamente nella sabbia, forse destinate a schiavi. Alla fine del V sec. a.C. si aggiunse una necropoli in località Santa Venera, a sud della città, con sepolture disposte per file, uguali per dimensioni e struttura, frequentata fino alla fine del IV sec. a.C. Dalla fine del V e soprattutto nel IV sec. a.C. si diffusero le tombe a cassa o a camera con decorazione dipinta, il cui esempio più antico è rappresentato dalla celebre Tomba del Tuffatore (480-470 a.C.), rinvenuta in località Tempa del Prete. Nella fase di occupazione lucana venne impiantata una nuova necropoli a nord, ad Andriuolo. Di recente nella necropoli della Licinella, a 200 m dal lato meridionale delle mura, sono state individuate 54 sepolture relative al periodo lucano (fine V - inizi III sec. a.C.). Una corona di santuari era localizzata a breve distanza dalle fortificazioni, a presidio delle vie di accesso alla città, presso Porta Marina, Porta Sirena e Porta Giustizia. A sud della città, si trovavano il santuario cosiddetto “di Santa Venera”, presso la foce del Capodifiume, identificato come un Aphrodision, sorto agli inizi del V sec. a.C., e un santuario in località Basi di Colonne dedicato a Demetra.
Il santuario di Poseidon Enipeus, noto da un passo dell’Alessandra di Licofrone, doveva sorgere sul promontorio di Agropoli, dove sono state rinvenute terrecotte architettoniche attribuite a un tempio arcaico (inizi del VI sec. a.C.). Nella fascia collinare orientale le fonti collocano un santuario di Artemide. Presso la foce del Sele, 9 km a nord di P., in un’area paludosa e selvaggia fu impiantato contemporaneamente alla fondazione della città, agli inizi del VI sec. a.C., un importante Heraion, che le fonti facevano risalire a Giasone. Il santuario, sorto sulla sponda opposta del fiume rispetto a P., segnava il confine con il territorio controllato dagli Etruschi e costituiva un luogo di incontro con le popolazioni indigene dell’interno. L’avvio del culto è documentato da un altare di ceneri, protetto da un recinto sacro, in seguito inglobato in uno degli altari di pietra del tempio. Alla prima metà del VI sec. a.C. risalgono due portici monumentali, destinati all’accoglienza dei fedeli e alla celebrazione dei pasti rituali.
Alla decorazione di un edificio datato intorno al 570-550 a.C., di cui si conservano solo le fondazioni, appartiene la serie più antica di metope scolpite in arenaria, che raffigurano scene mitiche ed epiche. Abbandonato il progetto di questo tempio, alla fine del VI sec. a.C. fu costruito il grande periptero dorico al centro dell’area sacra, provvisto di due altari. La ricca decorazione architettonica in pietra era costituita da metope scolpite con coppie di danzatrici. In età lucana furono ristrutturati il tetto del tempio e le due stoài arcaiche, disposte a L a ovest del tempio. All’inizio del IV sec. a.C. fu costruito su un più antico scarico votivo (fine del VI - fine del V sec. a.C.) l’edificio a pianta quadrata (12 x 12 m) rinvenuto alle spalle degli altari del tempio, che ha restituito una statuetta di marmo di Hera seduta e un ingente deposito votivo, databile fino agli inizi del III sec. a.C., ricco di materiali legati alla sfera femminile (statuette, gioielli, astragali, vasi per cosmesi, per unguenti e profumi e per la conservazione dei cibi, pesi da telaio, monete). Tra il IV e il III sec. a.C. fu costruito, infine, il thesauròs sito a nord del tempio, con fronte in antis a est, che riutilizza nell’elevato elementi architettonici di età arcaica. Nel corso dell’età romana il santuario scomparve tra gli acquitrini del Sele.
E. Greco, s.v. Paestum, in EAA, II Suppl. 1971-1994, IV, 1996, pp. 154-57 (con bibl. prec.).
G.L. Mangieri - M. Mello, s.v. Poseidonia, in BTCGI, XIV, 1996, pp. 301-95 (con bibl. ult.).
F. Longo, Poseidonia, in E. Greco (ed.), La città greca antica. Istituzioni, società e forme urbane, Roma 1999, pp. 365-84.
E. Greco, Poseidonia-Paestum, in A. Vauchez (ed.), Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches terminologiques, méthodologiques, historiques et monographiques, Rome 2000, pp. 81-94.
E. Greco - F. Longo (edd.), Paestum. Scavi, studi, ricerche. Bilancio di un decennio (1988-1998), Paestum 2000.
M. Nafissi, I grandi santuari extraurbani. Riflessioni sull’Heraion del Sele e sul santuario di Apollo Alaios a Punta Alice, in CMGr XL (2000), pp. 267-316.
M. Rausch, Das Hypogäum auf der Agora von Poseidonia: ein Kultort der Tritopatores?, in Kernos, 13 (2000), pp. 107-16.
E. Greco et al., Paestum, in MEFRA, 113, 1 (2001), pp. 490-509.
G. Greco, Il Santuario di Hera alla foce del Sele, Salerno 2001.
G. Tocco Sciarelli, L’attività archeologica della Soprintendenza di Salerno, Avellino e Benevento nel 2001, in CMGr XLI (2001), pp. 685-716.
L. Cerchiai, Poseidonia-Paestum, in L. Cerchiai - L. Jannelli - F. Longo (edd.), Città greche della Magna Grecia e della Sicilia, Venezia 2002, pp. 62-81.
M. Cipriani, Poseidonia, in E. Greco (ed.), Gli Achei e l’identità etnica degli Achei d’Occidente. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Paestum, 23- 25 febbraio 2001), Paestum - Atene 2002, pp. 363-88.
E. Greco - F. Longo, Paestum. La visita della città, Roma 2002.
di Laura Buccino
Colonia achea (gr. Σύβαρις; lat. Sybaris) fondata nel 730-720 a.C. sulla costa ionica della Calabria, tra i fiumi Sybaris (Coscile), da cui prese il nome, e Kratis (Crati), in una fascia pianeggiante delimitata verso l’interno da un arco collinare. Agli Achei, guidati dall’ecista Is di Elice, si aggiunsero Trezeni dell’Argolide e Locresi.
Grazie alla fertilità della piana alluvionale retrostante e alle intense relazioni con il mondo etrusco e greco, Sibari divenne molto potente e riuscì a estendere la propria sfera di influenza su un vasto territorio, dall’interno montuoso della Sila alla costa tirrenica. Tramite una fitta rete di alleanze e di scambi economici con le popolazioni indigene dell’entroterra costituì un vero e proprio impero, formato, secondo Strabone, da 4 popoli e 25 città, organizzati in distretti. Numerose comunità satelliti coniarono monete con il simbolo sibarita del toro retrospiciente. Intorno al 630 a.C. Sibari promosse la fondazione achea di Metaponto e nel 600 a.C. circa dedusse la subcolonia di Poseidonia. Tra il 540 e il 538 a.C. insieme a Metaponto e Crotone partecipò alla distruzione della ionica Siris, di cui inglobò il territorio. La polis offrì preziose dediche e thesauròi nei santuari panellenici di Delfi e di Olimpia. Le fonti insistono sul lusso e i costumi rilassati ai quali si abbandonarono i ricchi Sibariti, quasi a giustificare il triste destino cui andarono incontro. Sul finire del VI sec. a.C., infatti, l’avvento del tiranno Telys, in seguito a tensioni interne, portò alla guerra contro la rivale Crotone, che nel 510 a.C. sconfisse il potente esercito sibarita presso il fiume Traente e dopo un breve assedio distrusse la città. Parte degli abitanti si rifugiarono sulla costa tirrenica, dove fondarono Scidro e Laos. I numerosi tentativi dei superstiti di ricostruire Sibari sul sito dell’antica città non furono mai portati a compimento per la costante opposizione dei Crotoniati. L’ultimo fallì nel 446/5 a.C. per i contrasti sorti tra gli Ateniesi e i Peloponnesiaci, che intendevano partecipare alla rifondazione, e gli esuli Sibariti che si separarono ben presto dagli altri, fondando una nuova Sibari sul Traente.
Grazie al decisivo intervento di Pericle, nel 444/3 a.C. fu fondata la colonia panellenica di Thurii, nel luogo di una sorgente chiamata Thouria, da cui prese il nome, secondo l’indicazione dell’oracolo di Apollo a Delfi. Gli Ateniesi, promotori dell’iniziativa coloniale, estesero l’invito a partecipare alla fondazione a tutte le regioni della Grecia inviando araldi, per rafforzare il contingente originario di 10 navi guidato da Lampone e Stesicoro. Nella nuova colonia si stabilì Erodoto di Alicarnasso, che all’inizio delle sue Storie si dichiara cittadino di Thurii e che fu sepolto nell’agorà. Al progetto parteciparono anche il filosofo Protagora, che redasse la costituzione, e il noto architetto e filosofo Ippodamo di Mileto, al quale le fonti attribuiscono l’impianto urbano della città e che divenne anch’egli cittadino onorario di Thurii. In base alla regione di provenienza, i coloni vennero divisi in 10 tribù. Il conflitto scoppiato entro breve con Taranto per il possesso della Siritide si risolse nel 433/2 a.C. con la fondazione comune di Eraclea Lucana nel luogo in cui era sorta l’arcaica Siris. Lo spartano Cleandrida, che aveva guidato l’esercito contro Taranto, difese la città contro la minaccia dei Lucani.
Agli inizi del IV sec. a.C. Thurii aderì alla Lega italiota, per far fronte alla pressione delle popolazioni italiche e alla politica espansionistica di Siracusa. Nel 390 a.C. subì una grave sconfitta da parte dei Lucani presso Laos. Contro i Bretti giunse in aiuto della città il re dell’Epiro Alessandro il Molosso, che nel 334 a.C. aveva risposto all’appello di Taranto. Gli abitanti di Thurii diedero sepoltura al condottiero, morto sul campo nel 331 a.C. Nel 282 a.C. contro l’attacco dei Lucani e dei Bretti fu invocato l’intervento di Roma, che dopo la vittoria impose un presidio militare nella colonia greca. Taranto, in risposta, saccheggiò Thurii, provocando lo scoppio della guerra con Roma. Dopo la sconfitta di Pirro, nel 272 a.C., Thurii entrò definitivamente nell’orbita romana. Durante la seconda guerra punica, nel 204 a.C., Annibale ne trasferì gli abitanti a Crotone. La città venne ripopolata dai Romani nel 194 a.C. con la deduzione della colonia di diritto latino di Copiae, che avendo un’estensione ridotta andò a sovrapporsi alla metà meridionale di Thurii, mentre il settore settentrionale rimase escluso dalla cinta muraria divenendo spazio rurale.
Gli scavi archeologici, svolti tra il 1969 e il 1976 e ripresi in anni recenti, hanno messo in luce resti della colonia arcaica, per la quale le fonti tramandano un amplissimo perimetro di 50 stadi (180 m). Il rinvenimento di materiali ceramici databili alla fine dell’VIII sec. a.C. conferma la data di fondazione di Sibari nota dalla tradizione letteraria. L’impianto urbano sembra essere stato organizzato all’inizio del VI sec. a.C. Un quartiere residenziale (fine VII-VI sec. a.C.) è stato indagato nel cantiere archeologico più settentrionale Stombi, in un’area rimasta al di fuori dello spazio urbano della colonia di età classica, quando vi furono impiantate fattorie. Le case, disposte in lotti paralleli, presentano dimensioni analoghe, una pianta rettangolare divisa in tre vani e sono costruite con fondazioni in ciottoli di fiume, alzato in mattoni crudi intonacati e tetto di tegole. Il rinvenimento di fornaci e pozzi attesta l’esistenza di attività produttive di ceramica. Nel 510 a.C. le case furono abbandonate e spogliate dei loro arredi, ma non distrutte. Gli edifici pubblici, invece, dovettero essere smantellati, come dimostra il reimpiego di numerosi blocchi di pietra arcaici in un muro semicircolare del I sec. a.C., poi trasformato in teatro, rinvenuto nel cantiere Parco del Cavallo, poco a nord della sponda sinistra del Crati, tra cui un frammento di fregio scolpito pertinente alla decorazione di un tempio, databile nella seconda metà del VI sec. a.C. Nei cantieri di Incrocio-Parco del Cavallo e Prolungamento Strada, tracce di strutture e dei battuti stradali di età arcaica sono emersi sotto i livelli degli insediamenti successivi. Nel cantiere Stombi sono stati rinvenuti, inoltre, elementi di ferro pertinenti a una porta di legno e capitelli ad ante, che sono stati riferiti a un piccolo tempio di età arcaica.
La nuova città di Thurii non si sovrappose perfettamente all’antica Sibari (sita più a nord, vicino al Coscile), ma risulta spostata più a sud-est, a causa dell’avanzamento della linea di costa, in un’area occupata dal mare in età arcaica. L’impianto urbano, che dovette apparire fortemente innovativo ai contemporanei, è attribuito al celebre urbanista Ippodamo di Mileto, noto come pianificatore del Pireo intorno alla metà del V sec. a.C. In base alla descrizione di Diodoro Siculo (basata su Eforo di Cuma), lo spazio urbano fu organizzato tramite una grande maglia di strade ortogonali di differente ampiezza (plateiai), quattro nel senso della lunghezza (nord-sud) e tre nel senso della larghezza (est-ovest), che davano vita a una pianta di forma quasi quadrata. Lo schema era ulteriormente suddiviso in isolati modulari grazie a un fitto reticolo di stenopòi. L’impianto prevedeva anche una ripartizione funzionale delle aree della città e doveva rispecchiare le idee politiche del filosofo-architetto, di cui parla diffusamente Aristotele nella Politica. I nomi delle quattro strade principali, riportati da Diodoro, derivavano da quelli delle divinità di cui costeggiavano i santuari (Eraclea, Afrodisia, Olimpiade, Dionisia, mentre le altre tre si chiamavano Eroa, Turia e Turina).
Le indagini archeologiche nei cantieri di Incrocio-Parco del Cavallo e Prolungamento Strada hanno permesso di confrontare le testimonianze materiali con le notizie tramandate dalle fonti. Sul terreno sono stati individuati i resti di quattro plateiai ortogonali (denominate convenzionalmente A, B, C, D), larghe dai 12,5 ai 29,5 m. L’isolato risultante dall’incrocio delle strade principali, lungo 390 x 295 m, è ripartito internamente da una rete di stenopòi larghi 3 m, che definiscono lotti minori (35-37 x 74 m), divisi longitudinalmente in due metà da un condotto fognario. Di recente, è stato messo in luce all’incrocio tra la plateia A nord-sud e la perpendicolare D un edificio monumentale dalla funzione ancora incerta, costruito in blocchi di arenaria con elementi architettonici di pietra, che fu obliterato in età romana. Nel cantiere Casa Bianca, posto a est sulla linea di costa del V sec. a.C., in prossimità dell’area portuale, sono stati rinvenuti il tratto finale di una delle plateiai est-ovest e i resti di una struttura quadrangolare basolata, cui si sovrappose la porta nord della cinta muraria di Copiae, protetta da torri.
Un importante santuario extraurbano sorgeva sulla sommità del colle di Timpone della Motta, dominante la piana di Sibari, nei pressi dell’odierna Francavilla Marittima, 15 km a nord-ovest della colonia greca. Il culto di Atena è testimoniato, tra l’altro, dal rinvenimento di un’iscrizione bronzea di Kleombrotos, che dedicò alla dea la decima del premio vinto nei giochi Olimpici (metà del VI sec. a.C.). L’origine del culto è stata collegata al nostos di Epeios, il costruttore del cavallo di Troia che, secondo Strabone, sulla costa tra Thurii e Eraclea fondò la città di Lagaria e istituì il culto di Atena, cui dedicò i suoi strumenti di lavoro. Le indagini archeologiche hanno confermato l’antichità del santuario e l’esistenza di una fase indigena del culto (tardo IX-VIII sec. a.C.): sotto l’Edificio V è stato rinvenuto un altare di ceneri (eschara), con resti delle offerte votive (ornamenti di bronzo, scarabei di faïence greco-orientali, ceramiche locali di impasto e dipinte in stile proto- e mediogeometrico, ossa di animali sacrificati). A est dell’altare, si trovava una capanna con una grande quantità di pesi da telaio, destinata all’attività di tessitura di vesti sacre, offerte alla dea venerata sul posto.
Sui pendii terrazzati dell’altura sono state messe in luce le tracce di un insediamento enotrio del Bronzo Medio e resti di capanne dell’età del Ferro, con la relativa necropoli in contrada Macchiabate, ai piedi del colle (formata da gruppi di sepolture a inumazione in tumuli di pietre). L’insediamento sopravvisse all’arrivo dei coloni achei sul finire dell’VIII sec. a.C., mantenendo la propria individualità; la nuova polis tollerò evidentemente un villaggio indigeno pur così vicino. Le fonti informano, infatti, sulle modalità di integrazione delle élites locali nella comunità politica di Sibari, tramite la concessione della cittadinanza. Nella necropoli, attestata fino al terzo quarto del VI sec. a.C., gli Enotri continuarono a seppellire con rituali e corredi funerari tradizionali, nei quali però cominciano a comparire ceramiche greche e imitazioni locali. L’agglomerato rurale di case di età coloniale, rinvenute sui plateaux terrazzati del colle e databili nel VI sec. a.C., si sovrappose al precedente insediamento e continuò a essere abitato principalmente da indigeni ellenizzati, inseriti nel nuovo sistema di occupazione e sfruttamento della chora organizzato da Sibari.
Nell’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C. il santuario sulla sommità del colle venne monumentalizzato e sorsero i primi edifici di culto (I, III e V), orientati a est e sorretti da file di pali lignei, con muri di mattoni crudi o di argilla misti a fango, secondo una tecnica costruttiva indigena, ma con piante allungate di tipo greco. L’Edificio III, spostato a ovest nel punto più alto, doveva essere il tempio principale, al quale i due edifici laterali, l’Edificio I a nord e l’Edificio V a sud, creavano un ingresso monumentale. I tre edifici furono ricostruiti in pietra nella prima metà del VI sec. a.C. e fu eretto un poderoso muro di temenos che recingeva il santuario di Atena. Alla decorazione architettonica dell’Edificio I doveva appartenere il frammento di lastra fittile di fregio, della prima metà del VI sec. a.C., che reca la raffigurazione di una processione cultuale, collegata al culto di Atena in base ad analoghi esemplari noti da Metaponto. Un altro tempio, l’Edificio II, fu eretto alla metà del VI sec. a.C., a ovest del pianoro. L’Edificio IV, situato più a nord, è stato interpretato come una stoà di servizio.
Nel santuario sono stati scavati ben cinque depositi votivi (contenenti caratteristiche hydriai votive di piccole dimensioni, ceramica greco- orientale, protocorinzia e corinzia, soprattutto coppe per bere, kalathoi miniaturistici, fuseruole, pinakes e statuette fittili raffiguranti la dea, vasi, armi e monili di bronzo e argento, ambre e oreficerie). Da una delle stipi proviene il frammento di lamina di argento dorato, decorato a sbalzo con serie di foglie e fregio animalistico (leoni, cinghiali), forse pertinente a una phiale di produzione orientale, databile nella prima metà del VI sec. a.C. I materiali della ricchissima Stipe I, rinvenuta a est dell’Edificio V e deposta probabilmente in concomitanza con l’obliterazione di quest’ultimo (550 a.C. ca.), depredata nel corso degli anni Settanta del Novecento, furono in gran parte venduti a Malibu, Copenaghen e Berna, ma sono stati in parte recentemente restituiti al Museo Archeologico della Sibaritide. L’abbandono definitivo del santuario è collocato alla fine del IV sec. a.C.
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