I santuari e i pellegrinaggi
I santuari e i pellegrinaggi sono fenomeni religiosi che si rincorrono nello spazio e nel tempo. Se il santuario è principalmente un luogo sacro, il pellegrinaggio è il cammino privilegiato per raggiungerlo in modo santo. Entrambi dicono di una relazione fra gli uomini e Dio, come si è stabilita in un luogo e in un tempo determinati e come può avvenire nuovamente nell’incontro tra i fedeli e quel luogo sacro1.
Anche la Chiesa ne esalta il profondo valore per la tradizione e per la pratica: nell’approccio sia pastorale che catechetico i santuari e i pellegrinaggi sono un’occasione di rinnovo della fede e di approfondimento dell’esperienza religiosa individuale e comunitaria. Possono contribuire ad acquisire la consapevolezza di possedere un patrimonio culturale e storico nel quale iscrivere non soltanto la propria appartenenza, ma anche la propria biografia2.
Il santuario è al tempo stesso un luogo noto e un concetto le cui implicazioni sono vaste. L’attuale nozione di santuario proviene da una riflessione che ha coinvolto diverse discipline. La storia comparata delle religioni, la storia delle tradizioni popolari, l’antropologia così come il diritto hanno contribuito in misura diversa allo studio e alla comprensione dei diversi fenomeni storici, sociali ed economici coinvolti nella nascita ed evoluzione di questi singolari luoghi di culto. Sebbene dei luoghi dalle analoghe caratteristiche esistano fin dall’antichità, è soltanto a partire da un’epoca molto recente che se ne circoscrivono proprietà e caratteri sia morfologici che tipologici3. Tra le fonti della lingua italiana di matrice sia ecclesiastica che classica risalenti all’Ottocento, la definizione si riferisce principalmente a un luogo santo, al posto riservato alla conservazione delle reliquie del santo o più in generale alla chiesa dove si conservano dei simulacri di sacralità4. Neppure risalendo all’etimologia si riesce a centrare perfettamente il concetto di santuario nel suo uso moderno e contemporaneo: è noto che il termine deriva dal latino sanctus, participio passato del verbo sancire la cui radice è la stessa di sacer5, ma nulla aggiunge del lato storico, cognitivo e vissuto che caratterizza invece i santuari nelle diverse epoche. Una definizione rigorosa passa innanzitutto dallo studio dello storico e del giurista: la comparazione delle diverse fonti consente di ricavare una storia del concetto, che ripercorre l’evoluzione6 circoscrivendo i confini di un fenomeno, che è anche sociale7 oltre che religioso8.
I giuristi sono fra i primi a constatare che il termine santuario è generico e spesso utilizzato in maniera imprecisa in riferimento a chiese o particolari enti di culto9. Il codice di diritto canonico introduce il termine soltanto nel 1983, anche se l’uso in documenti ufficiali della Santa Sede è precedente. Ne fanno menzione esplicita i patti Lateranensi: l’art. 27, al primo capoverso stabilisce che le «basiliche della Santa Casa in Loreto, di San Francesco in Assisi e di Sant’Antonio in Padova […] saranno cedute alla Santa Sede e la loro amministrazione spetterà liberamente alla medesima», mentre il terzo capoverso riguarda l’amministrazione degli «altri Santuari»10. La condizione preconcordataria viene studiata dallo Jemolo già nel 1913: il giurista, introducendo una distinzione fra santuari minori e maggiori passa in rassegna quattro santuari che egli ritiene «maggiori e più tipici»11. Si tratta del santuario di Nostra Signora di Oropa, del Sacro Monte di Varallo, del santuario di Valle di Pompei e della Santa Casa di Loreto12. La questione di fondo della disanima del giurista concerne la natura giuridica di questi luoghi riguardo alle loro caratteristiche di enti di culto o di opere pie di beneficenza13. La scelta di questi quattro santuari che contrappone ad altri minori, è interessante, poiché ne resta traccia fino ai giorni nostri nel codice di diritto canonico (cann.1231-1232) con la suddivisione dei santuari in diocesani, nazionali e internazionali. La prima definizione canonica di santuario viene elaborata nel 1955 dalla Sacra congregatio de seminariis et studiorum universitatibus, che propone all’approvazione del papa Pio XII una definizione comunicata agli Ordinari l’8 febbraio 195614. «È detto santuario la chiesa o l’edificio sacro destinato all’esercizio pubblico del culto che, per un motivo particolare di pietà, è reputato dai fedeli meta di pellegrinaggi tesi a ottenere delle grazie o esaudire dei voti». Si precisa quindi che «i motivi che possono giustificare i pellegrinaggi sono […]: un’immagine santa da onorare, la presenza di reliquie sante, un miracolo avvenuto in questo luogo o un’indulgenza da ottenere»15.
Nella prospettiva delineata dal codice di diritto canonico del 1983 sembrano centrali alcuni aspetti tesi a fare del santuario un luogo privilegiato di dialogo fra i fedeli e la Chiesa. In particolare portiamo l’attenzione sul can. 1234:
«§1. Nei santuari si offrano ai fedeli con maggior abbondanza i mezzi della salvezza, annunziando con diligenza la parola di Dio, incrementando opportunamente la vita liturgica soprattutto con la celebrazione dell’Eucaristia e della penitenza, come pure coltivando le sane forme della pietà popolare. §2. Le testimonianze votive dell’arte e della pietà popolari siano conservate in modo visibile e custodite con sicurezza nei santuari o in luoghi adiacenti»16.
Un documento del 2002 della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti fa il punto sulla pietà popolare: il testo, al di là della prospettiva storica e della definizione delle linee per assicurare la bontà delle credenze, delinea la conformità del culto praticato nei santuari fornendo un orientamento per armonizzare la pietà popolare con la liturgia17. Al santuario si attribuiscono quattro funzioni principali: è luogo di evangelizzazione, di carità, di cultura e di impegno ecumenico18. Si ribadisce la centralità dei santuari nell’annuncio della Parola, ma si pensa anche alle sue potenzialità sociali oltre che religiose.
Se si considera una definizione ampia, ma condivisa, un santuario è «ogni luogo segnato da “apparizioni” e “miracoli”, oggetto per questo di devozione e di pellegrinaggio spontaneo, nato in genere al di fuori delle normali istituzioni ecclesiastiche, ma divenuto presto loro stretto “alleato”»19. Un luogo sacro, per essere considerato un santuario, deve produrre devozione, culto, preghiera – in una parola una pietà – e per questo diventare la meta di uno spostamento o di un viaggio dalle motivazioni religiose: un pellegrinaggio20. Questa devozione trae spesso origine da un avvenimento eccezionale o da fatti prodigiosi che costituiscono il nucleo della leggenda di fondazione, anche se il ruolo delle istituzioni ecclesiastiche non è secondario nel consolidamento della fama e del successo di tali luoghi di culto. La fondazione di un santuario si basa su leggende che, a seconda di alcune variabili geografiche e storiche, hanno tratti che possono essere riportati a morfologie e tipologie ricorrenti: sono testi narrativi verosimili dove si possono rintracciare elementi caratteristici della storia e delle tradizioni dei luoghi di origine21. La trasmissione di un testo e di un’iconografia procede per vie analoghe fra loro: in questo rapporto rimane sottinteso il riferimento allo strumento che consente la continuità della tradizione orale, ovvero la ‘memoria’, permeata di ‘mentalità orale’22. Le istituzioni religiose, chiamate a occuparsi dei santuari o dei luoghi di pellegrinaggio, attraverso un processo di legittimazione canonica o sostanziale, talora intervengono a fini di regolazione e di controllo, talora determinano esse stesse il successo di un santuario. Un esempio eloquente è dato dalle apparizioni mariane e dai luoghi dove queste sono avvenute, che in breve tempo diventano meta della visita di fedeli e curiosi. Il Novecento ne è stato «un periodo singolarmente ricco, “favorito” diranno i devoti della Madre di Dio». Dopo il 1917 (apparizione a Fatima) si stima che ci siano stati circa «400 casi di apparizioni nel mondo cioè quattro volte di più che tutte le manifestazioni dello stesso ordine elencate nel XIX secolo»23. Di questi soltanto una parte esigua ha effettivamente originato un culto che si è consolidato in una tradizione di santità e pellegrinaggio. Fatima rappresenta un’«apparizione di rottura nella successione mariofanica», ma soltanto con il concilio Vaticano II la «ridefinizione della mariologia e la ricollocazione del culto mariano»24 avranno un compimento liturgico e pastorale25.
Una periodizzazione è utile per comprendere meglio la tipologia e la funzione dei santuari: se si tiene conto sia del periodo in cui sono sorti che l’effettiva frequentazione da parte di pellegrini, si ottiene una cronologia quadripartita: i più antichi si fanno risalire all’età tardoantica, un cospicuo numero appartiene al periodo del Medioevo, quando il pellegrinaggio (corollario della maggior parte di questi santuari) costituisce una pratica molto diffusa26, mentre presentano delle tipologie particolari quelli sorti in età moderna e contemporanea27.
Secondo un approccio fenomenologico della storia delle religioni, il sacro risponde al bisogno dell’homo religiosus di sottrarre una porzione dello spazio dall’indifferenziato. I santuari mostrano un meccanismo del tutto simile: anche questi edifici, in rapporto alle altre costruzioni cultuali, individuano uno spazio e un tempo fuori dall’ordinario28. L’ubicazione geografica di un santuario non è mai casuale, ma risponde piuttosto a una serie di logiche, che si compiono in uno spazio territoriale. La «territorializzazione del sacro»29, dunque, permette di cogliere i bisogni fondamentali dell’uomo di sicurezza e di dominazione, ma anche dell’affidarsi a forze che hanno potenza maggiore30. Gli elementi tradizionali e simbolici si intrecciano alle opportunità fisico-geografiche in un rapporto attivo con il territorio31. I santuari sono spesso luoghi posti in posizione particolarmente panoramica e dominante, oppure sono luoghi singolarmente austeri o ancora possono risultare riparati dagli sguardi32. Gli studiosi sono concordi nel riconoscere a ogni luogo sacro la capacità di attirare delle persone grazie a un aspetto singolare, straordinario, che provoca attenzione, interesse, culto: un fattore – avvenimento o accidente – che potrebbe legittimare di per sé l’esistenza dei santuari33. La dislocazione delle località sacre intreccia le complesse simbologie cosmiche della montagna, come luogo che avvicina alla volta celeste, dell’acqua, come simbolo di purificazione e di rinascita, e del richiamo esoterico ai numeri o a una geometria segreta34.
La questione non ha una soluzione univoca e la storia delle religioni ha perseguito diversi filoni, tuttavia una constatazione si impone: lo spazio, nel suo complesso, non è un universo privo di senso, privo di significato e di orientamento dove l’uomo si trova completamente perduto35. Al contrario, i punti di riferimento sono molti e, a prescindere dall’intervento umano per un adattamento fisico alla natura, l’introduzione del pensiero religioso incide in maniera prepotente sul paesaggio da un punto di vista materiale. «Una parte spesso grandiosa di quello sforzo è stata […] compiuta più o meno direttamente per proclamare o magnificare l’esistenza di altre potenze sacre o soprannaturali»36.
Una sorta di stratificazione del pensiero e dell’esperienza religiosi fa sì che sul luogo sacro almeno tre ordini di significato si sovrappongano37. Per primi, ci sono i significati cosmologici che rimandano a una simbolica sacrale fatta delle tre dimensioni spaziali, ma anche del centro e del cerchio e dei loro derivati, come per esempio la croce. In secondo luogo abbiamo i significati ‘ierofanici’: dei luoghi possono apparire naturalmente portatori di sacro per le manifestazioni che vi sono state38. Infine ai luoghi che non sono più legati alla natura in quanto tale, ma a degli avvenimenti che vi si sono svolti, si attribuiscono dei significati agiografici: sono luoghi considerati santi, poiché vi è accaduto qualcosa di importante o straordinario come la nascita o la morte di un fondatore, come una rivelazione o come un’apparizione39. I santuari sono in parte eredità di una localizzazione che ha le sue origini in epoca medievale, anche se i loro caratteri si consolidano al mutare del paesaggio naturale e soprattutto urbano.
«Se in tali luoghi ci si reca, è per vivere la liberazione dalla quotidianità delle opere e dei giorni. Si instaura così una relazione di sacralizzazione nello spazio (il luogo sacro) e attraverso lo spazio (il pellegrinaggio) […]. Ancora più significativa è la ripartizione: commovente è infatti la costanza dei gruppi montani per cui ogni vallata possiede il santuario» ed anche se l’urbanizzazione si è estesa e il rapporto della città con il luogo sacro extra muros si è progressivamente banalizzato, «generalmente la memoria collettiva lo ha conservato»40.
I santuari sono al cuore dei dibattiti sulla pietà popolare e occupano ancor oggi un posto privilegiato per l’osservazione e la spiegazione della religione, della religiosità e della devozione che coinvolge un gran numero di persone in cammino verso questi luoghi sacri41.
La dicotomia popolare/colto e il concetto socio-storico di religione popolare hanno animato una vasta letteratura storica, antropologica, sociologica e anche religiosa fra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento42. Oggi un tale concetto pare ormai sorpassato, anche se l’incidenza numerica di talune pratiche, come per esempio il pellegrinaggio ai grandi e piccoli santuari continua a interrogare le scienze umane sull’esistenza e gli esiti di declinazioni culturali e geografiche della religione cattolica, oggi43.
La nascita di un luogo di culto e poi di un santuario risponde a una serie di sollecitazioni le cui spinte sono molteplici44. Anche al termine della grande impresa del Censimento dei santuari cristiani in Italia è difficile arrivare a una tipologia condivisa che coniughi le specificità territoriali con l’analisi storiografica nel rispetto delle dinamiche istituzionali proprie ad ogni singolo caso45. Il rinnovato interesse di pubblico, visitatori, fedeli e studiosi nei confronti dei santuari ha delle motivazioni sia contingenti che universali46. Periodi di grande successo possono alternarsi a momenti di minore attrattiva: i santuari possono andare incontro a un ciclo di vita per cui nascono, si sviluppano, si possono disseminare47 e anche estinguere. «Perciò possono diventare oggetti di storia, di una storia che ci riporta dai luoghi alla vita delle società che li hanno investiti di un carattere sacro, non in modo permanente ma per ragioni storiche ben precise»48. L’analogia con gli esseri viventi rappresenta efficacemente un corso che i santuari percorrono dall’evento prodigioso, che ne dà origine, alla riproduzione di santuari-matrice in altri luoghi rispetto a quello originario (si pensi alla grotta di Lourdes o alla Santa Casa di Loreto49), fino al venir meno dell’esistenza di alcune tipologie ormai desuete. Quest’ultimo è il caso, per esempio, di una tipologia particolare di santuari cosiddetti «à répit» o «santuari del respiro», dove venivano portati i bambini morti prima di ricevere il sacramento del battesimo e dove il loro «rito-ritorno alla vita» consentiva la sepoltura in terra consacrata50.
Sotto il profilo epistemologico, possiamo scorgere nei santuari e nel rapporto vivo che intrattengono con le altre istituzioni sociali e il territorio un processo dinamico che nei tratti iniziali ha probabilmente i caratteri dello «stato nascente» che caratterizza i movimenti religiosi ai loro primordi51. D’altra parte, la storiografia ha mostrato che nella ricerca delle origini dei santuari non si può insistere in maniera univoca sulla dicotomia carisma/istituzione. Spesso al successo della fondazione di un santuario contribuiscono in misura diversa entrambe le istanze: riconoscere i rispettivi ruoli significa prendere in considerazione le istituzioni sia civili che ecclesiastiche52. Non soffermarsi su questi aspetti significa cedere a una visione miope, per cui il santuario, a partire dalla sua genesi, sarebbe un’efflorescenza popolare53. L’elemento centrale per comprendere la specificità dei santuari rispetto agli altri luoghi di culto si trova nel nucleo di una credenza collettiva54: lì almeno una volta il sacro si è manifestato, c’è stata una ‘ierofania’55. Degli oggetti che vi sono conservati – come le reliquie – hanno gli attributi della santità e per questo sono degni di devozione.
In questa prospettiva, l’esistenza di un santuario affermerebbe innanzitutto la «possibilità della materializzazione del divino in conseguenza di un evento già avvenuto». Il sacro, identificato attraverso la sua manifestazione, «finisce con l’acquisire un’implicita valenza protestataria contro il primato della natura fisica e della stessa morte»56. Il santuario rappresenta in un luogo e in un tempo determinati la speranza di riscatto dalla condizione presente di sofferenza o di malattia, e di rinnovamento nella fede. La frequentazione da parte di credenti, di devoti e di curiosi ne sancisce l’esistenza nella ricerca di una relazione «immediata» con il santo o, in un grandissimo numero di casi, con la Vergine Maria, proprio a partire da una consuetudine che nel tempo si ripete e infine si fissa come una tradizione condivisa57, incentivata58 o reinventata59. Lo spazio tuttavia è una coordinata insufficiente a definire i caratteri sostanziali dei santuari: solo nel tempo si comprendono le dinamiche devozionali e politiche dei santuari.
La storia dei santuari nell’accezione comune che abbraccia sia le devozioni che in altri tempi si sarebbero dette popolari60 sia i «luoghi alti»61 della religiosità si è strutturata a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con un’accelerazione nel corso del Novecento in concomitanza ad altri eventi di grande portata62. Attraverso il pensiero di ecclesiastici, ma anche di politici e letterati questi luoghi di culto si sono dovuti relazionare a diverse tendenze. Il ruolo della secolarizzazione63, l’industrializzazione e l’unificazione italiana come evento simbolico e reale hanno contribuito a delineare l’attuale fisionomia dei santuari. Nel rilevare i germi dell’Italia religiosa, Raffaele Pettazzoni sostiene che è spirito religioso quello che anima sia i santi che i patrioti risorgimentali64. È indubbio che sul finire del secolo XIX anche «l’Italia unita, cercò […] di costituire una base di credenze, di riti, di luoghi destinati a celebrare l’Unità e i suoi autori»65. Tuttavia questo tentativo di costruire una «religione civile» con i suoi santuari66, ma soprattutto coi suoi personaggi, simboli e miti67 non ha avuto tanto l’esito di oscurare i santuari-luoghi di culto quanto di rivelarne una certa plasticità. Essi continuano ad attrarre grandi masse di persone, ma la loro identità religiosa subisce una dilatazione. L’epoca contemporanea con le sue tensioni, spesso ancora in corso, rischia di essere fuorviante rispetto alla lunga storia dei santuari, tuttavia mette in luce questioni importanti inerenti il cambiamento sociale. I santuari sono anche forme sociali, oltre che forme religiose e culturali: in questi luoghi si negoziano delle poste in gioco importanti rispetto al rapporto fra istituzioni ecclesiastiche e civili nel controllo del territorio e quindi del potere sia economico che simbolico68. Sono «luoghi alti del patrimonio»69 visitati da molte persone oltre che da pellegrini: la frequentazione non si presta soltanto a essere un criterio statistico, ma diventa anche un criterio economico che «serve in realtà da ponte fra due sistemi di riferimento che a priori non hanno alcun legame»70. In altre parole, il numero di visite e la capacità di mobilitare delle masse implicano per il paese, città e regione coinvolti, l’afflusso di beni economici, che nel corso del tempo possono determinare lo sviluppo stesso di quell’area. È il caso di santuari come quello della Santa Casa di Loreto nei suoi rapporti con la città di Recanati e nelle vicende che ne hanno fatto un santuario nazionale e papale71, sia di santuari la cui fondazione è più recente e l’origine decisamente diversa. Fra il 1873 e il 1876, Bartolo Longo inizia il suo progetto di fondazione del santuario della Madonna del Rosario nella valle di Pompei, di cui sottolinea la «predisposizione ambientale alla miseria». Misere sono anche le zone di San Giovanni Rotondo dove si stabilisce nel 1916 e resta fino alla sua morte Padre Pio da Pietrelcina. Quantomeno impervi sono i luoghi natali di s. Rita, cioè Cascia nella Val Nerina72. I flussi di pellegrini e fedeli in questi luoghi ne hanno mutato la fisionomia in modo talvolta rilevante come nel caso di San Giovanni Rotondo: le spoglie di s. Pio lasciano nel 2010 il santuario di S. Maria delle Grazie73 per essere traslate nella nuova chiesa di San Giovanni Rotondo, mentre continuano a essere edificate delle opere pie e di pubblica utilità (come per esempio l’ospedale). La nascita di questi luoghi cambia, ma tutti condividono un nuovo modo di intendere i santuari: si tratta di santuari «sociali», oltre che centri di devozione, di concentrazione ed emanazione del sacro74. Il clima politico e sociale che caratterizza il periodo fra i due secoli influisce sul ruolo dei santuari in epoca contemporanea: per questo vale la pena «sottolinearne anche la funzione “politica”, l’efficacia simbolica e le modalità di rappresentazione del sacro»75, oltre al ruolo devozionale76. L’aggregazione e la capacità di attrarre e concentrarvi un grande numero di persone ne fanno dei luoghi dove il religioso e la società civile si incontrano. Alla fine dell’Ottocento, papato, cattolici intransigenti77 e fedeli cercano di riappropriarsi dei santuari sia in senso reale che simbolico, anche se in un «nuovo clima di ostentazione mariana […], la storia dei santuari resta come […] appiattita dentro i problemi scottanti dell’attualità»78. La tensione della fine dell’Ottocento si smorza definitivamente nella seconda metà del Novecento, quando i santuari diventano anche «luoghi di aggregazione»79. Complice di nuove funzioni e vocazioni dei santuari – specialmente diocesani – è un associazionismo cattolico che dall’Opera dei congressi porta all’Azione cattolica, passando attraverso i congressi mariani internazionali80: sono gli anni della militanza e dell’impegno politico che nelle numerose «settimane sociali, congressi e giornate operaie» aprono gli spazi di alcuni santuari ai «fedeli, laici e persino alle donne»81. Un valore aggiunto caratterizza l’aggregazione in questi luoghi, poiché la valenza utopica ne è una caratteristica costitutiva che continua a cogliere la loro vocazione: in particolari periodi storici, le guerre o le invasioni nemiche, le epidemie, ma anche le spinte a un riconoscimento politico possono stimolare o risvegliare delle devozioni inedite o sopite82. Il periodo che abbraccia le due guerre mondiali, è particolarmente significativo per i santuari: sono a un tempo visitati dai fedeli che si recano a pregare o visitare il santo e dalle autorità civili oltre che ecclesiastiche. Il periodico a larga diffusione «Santuari d’Italia Illustrati» è esemplificativo in più di un caso: nel numero dedicato al santuario di Monte Berico a Vicenza, vengono scelte due fotografie emblematiche poste nella stessa pagina: in alto compare «S.M. il Re davanti al monumento ai caduti a Monte Berico nella battaglia del 10 giugno 1848», in basso «L’on. Mussolini esce dal tempio per inaugurare il piazzale della Vittoria»83. Il santuario della Madonna del Rocciamelone in Piemonte è un altro esempio che illustra una giustapposizione dei poteri: «in vetta al Rocciamelone, su una sporgenza a destra del Santuario, venne posto un busto in bronzo di Re Vittorio Emanuele II […] è il documento vivente della consacrazione della vetta, oltre che alla religione, alla Patria e alla gloriosa Dinastia Regnante»84. In questo caso si tratta di una visibilità e di una legittimazione che i Savoia avevano curato attentamente già a partire dal secolo XVI, anche attraverso abili scambi di reliquie e oggetti d’arte sacra85. Fra le reliquie e gli oggetti sacri entrati in loro possesso, la «selezione della Sindone di Torino» spicca decisamente per centralità nella storia della famiglia e dell’Italia sia in età moderna86 che contemporanea87.
L’analisi di Violi per la Puglia degli anni Trenta fotografa una situazione diffusa in molti santuari sparsi in Italia e palesa una tendenza contrastante di quel periodo: si «verifica nelle comunità locali […] un’esplosione dei particolarismi devozionali, che si esprime nella rivendicazione dell’esclusività dei culti nei santuari di paese, contraddicendo, peraltro, le tendenze accentratrici dello statalismo fascista»88. Né le guerre né il fascismo fermano i pellegrinaggi ai santuari, anche se il regime determina scelte a livello organizzativo: i simboli del fascio e della croce devono contendersi la presenza nello stesso corteo processionale89. I santuari confermano un ruolo di «luogo alto» dalla visibilità straordinaria e il conflitto resta su un piano puramente simbolico che non intacca la bellezza e la tradizione di un patrimonio che è anche culturale.
Quando il cristianesimo è ancora «una religione senza santuari», la pratica di recarsi in luoghi sacri o al cospetto di uomini santi (o delle loro spoglie) è già diffusa90. Le motivazioni, come le modalità, cambiano, ma la fede e il fascino del viaggio verso un luogo sacro continuano a far muovere milioni di persone in Italia e nel mondo. Il pellegrinaggio è un fenomeno comune a tutte le religioni e costituisce un atto semplice ma significativo: un credente decide di mettersi in viaggio diretto a un luogo di culto o a un monumento, che si trova più o meno distante dai luoghi che gli sono familiari. Il pellegrino può essere mosso dalla fama miracolosa del luogo, dalla speranza di rinnovamento nella fede, o dall’intenzione di adempiere a un voto o di rispettare un precetto imposto a ogni buon praticante. Fra il secolo VI e il XVI il pellegrinaggio è anche una pena inflitta sia da parte dell’autorità ecclesiastica sia da parte della giustizia secolare ad alcune categorie di criminali, come gli assassini91.
L’etimo di pellegrinaggio è decisamente più eloquente rispetto a quello di santuario o forse ha subìto meno slittamenti semantici. Deriva dal latino per ager che significa «attraverso i campi», oppure per eger, che significa «passaggio di frontiera»92: entrambe le radici rammentano l’aspetto distintivo dell’intraprendere un viaggio, testimoniano dei caratteri del cammino e quale lo spirito che anima un pellegrinaggio nei nostri giorni, come nelle epoche passate. Il pellegrino attraversa i confini di province, nazioni e di imperi: «in ogni nazione nascente, alcuni santuari divengono centri preminenti di legittima devozione»93. Anche le mete dei pellegrinaggi si spostano verso i santuari di altre e talvolta più lontane terre cristiane, contribuendo a diffondere una consapevolezza dello spazio su scala locale, nazionale ed europea94.
Il pellegrinaggio è quindi una marcia intrapresa per motivi religiosi e penitenziali da soli o in compagnia e diretta a un luogo sacro: la materia di cui si nutre è lo spazio percorso dal pellegrino, che può assumere il carattere di una presa di possesso, come pure di una sacralizzazione di questo spazio e del tempo in cui viene praticato. Nel «tempo di speranza», che segue l’atto del pellegrinare (un tempo di attesa) e l’incontro con il divino (tempo sacro per eccellenza), si attende l’eventualità del «miracolo»95. Il pellegrinaggio può essere sintetizzato a partire da tre elementi costitutivi. Il primo è il pellegrino stesso «fatto di corpo e di anima»: egli «sa che dovrà camminare nel fisico e nel morale su una strada che non è quella di tutti i giorni». La strada è il secondo elemento: sarà sua padrona e maestra «con tutto ciò che comporta d’imprevisti, di possibilità e di rischi». Il terzo elemento è il luogo «verso il quale ci si dirige e dove si prepara l’accoglienza». La meta è desiderio o volontà, restando lo scopo principale per cui «si parte da casa propria e si intraprende la strada»96. Ogni pellegrinaggio sottende delle «strutture affini» che travalicano le differenze esistenti fra le diverse culture e le religioni: spesso il luogo verso il quale ci si dirige è stato teatro dell’apparizione di un santo, è avvenuto il miracolo, una folla di devoti si è radunata e in seguito è stato eretto un monumento commemorativo.
Nel periodo di massima fioritura, il pellegrinaggio costituisce un’opportunità di mobilità geografica alla portata di molti, ma anche una pratica che può destabilizzare l’ordine sociale. Agli occhi dei riformatori protestanti, il pellegrinaggio è malato di una forte idolatria e una «falsa pietà»: come reazione si mette in atto una legittimazione ufficiale e teologica, mentre lo anima uno spirito nuovo. La «proclamazione della liceità delle indulgenze e della venerazione dei corpi santi e delle immagini doveva animare di nuovo il fervore del pellegrinaggio e giustificare la pratica del giubileo»97. Il tentativo, attraverso una chiara insistenza sulle disposizioni morali, è quello di convogliare i pellegrinaggi vecchi e nuovi in una direzione puramente devozionale, al riparo da comportamenti e atteggiamenti che possano sembrare superstiziosi98. La storia dei giubilei, mentre descrive le vicende del papato e della città di Roma, racconta il flusso di persone e beni fra mondanità e ricerca spirituale: un meccanismo che percorre ogni pellegrinaggio e in fondo ogni vero viaggio.
La Chiesa cattolica all’incontro con la modernità, emblematicamente stabilito nel concilio Vaticano II, si è data a vedere attraverso alcune immagini ripercorse nella costituzione dogmatica Lumen Gentium: sono rappresentazioni che intendono rendere visibile, ma anche comprensibile il mistero della Chiesa99. Una delle più suggestive fa proprio riferimento al pellegrinaggio e al cammino da cui un’autentica esperienza religiosa – comunitaria o individuale – non può prescindere100. L’origine di questa rappresentazione risiede nelle Sacre Scritture, dove stanno anche le origini del pellegrinaggio cristiano101. Diverse figure di pellegrini tornano nella sua storia: la prima è la figura di Abramo, mentre ultimo è il modello di Cristo e degli apostoli che «circolano» per le città e i borghi, predicando e annunciando il Vangelo del Regno di Dio102. L’immagine è collettiva: Israele «è consapevole di non essere un popolo come gli altri poiché crede in un Dio unico […]. Alla fine di questa storia, il Cristo, nella sua morte e resurrezione porta una novità che cambia radicalmente il senso del culto e dei pellegrinaggi»103. Se si considerano i calendari, questi forniscono delle chiare indicazioni per la celebrazione delle feste, e in essi appare l’idea di pellegrinaggio come rito cerimoniale e come commemorazione. Nella storia antica d’Israele abbiamo delle indicazioni precise: «tre volte l’anno, davanti al Signore»104. L’avvento di Cristo segna un cambiamento profondo e un rinnovamento radicale, anche per quanto riguarda la pratica del pellegrinaggio105. Nei primi secoli dopo la morte di Cristo, non si può parlare veramente di «pellegrini»: sono piuttosto dei «viaggiatori cristiani» in Palestina o in Asia Minore con finalità essenzialmente informative e non puramente devozionali106.
«L’origine dei pellegrinaggi risiede evidentemente nella volontà di onorare un luogo già santificato da un avvenimento famoso della storia religiosa o dalla predicazione o dalla vita di un Profeta o di un Santo. Il pellegrinaggio è nello stesso tempo un procedere, un camminare sulla terra, un retrocedere nel tempo in cui visse il Santo per rimeditarne gli atti e gli insegnamenti. Il pellegrinaggio è un atto di fede antico quanto l’umanità, è uno strumento possente per entrare nella comunione dei Santi in uno con la divinità»107.
Sono diversi i fattori che hanno condizionato nel tempo i pellegrinaggi cristiani. In modo sintetico e grossolano si tratta di fattori riconducibili, da una parte, a questioni di geopolitica, quali le rispettive tendenze espansionistiche della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e dell’islam; dall’altra a questioni d’identità e tradizione locale, come le numerose grandi e piccole località riconosciute come sacre in Europa, e mete di pellegrinaggi via via più importanti108.
Le motivazioni del pellegrino alla partenza rappresentano invece delle costanti: la prima, e forse la più elementare, è «l’implorazione di soccorso […] alla ricerca di un’“altra” forza, quella della salute […] che può essere anche la buona morte e la promessa della vita eterna». Un secondo impulso è di tipo «cultuale»: «onorare il volto di Dio […] o, come spesso si sente dire nel linguaggio dei semplici, di visitare la santa Vergine, cioè di recarsi a pregare davanti alla sua immagine». Infine l’aspirazione a una trasformazione spirituale: «Rinnovamento e riconciliazione»109. Il pellegrinaggio è un appuntamento collettivo, oltre che una festa della fraternità, e tradizionalmente è un momento privilegiato per l’incontro amicale come per la riflessione personale. Il pellegrinaggio in forza della sua particolare struttura tripartita – la separazione della partenza, la fase «liminale» del cammino e il ritorno agli spazi e al tempo ordinari – può essere considerato un rito di passaggio. Il tempo del pellegrinaggio sottrae chi lo compie alla quotidianità e gli consente uno sforzo di concentrazione su se stesso: durante un pellegrinaggio è lecito chiedere ed è auspicabile pregare, quando il cammino non sia esso stesso una preghiera110. «Il pellegrinaggio risponde – essenzialmente – alla esigenza, innata nell’uomo, di pienezza, di completezza con gesti che lo sottraggono alla monotonia di tutti i giorni e lo coinvolgono agli altri uomini per godere di una esperienza unificatrice, ancor più totale»111.
La motivazione a intraprendere un viaggio come il pellegrinaggio oggi appartiene sempre più all’interiorità dei soggetti e alla loro biografia, tuttavia l’attrazione nei confronti dei luoghi sacri riguarda la sfera dell’esperienza umana. Le mete di pellegrinaggio hanno fama e importanza diverse: se tutte possono offrire un’esperienza del sacro al devoto, in alcuni luoghi la speranza nel miracolo è viva, mentre in altri è un voto, e con esso la fede a rinnovarsi, che viene vissuto dai pellegrini. Altri luoghi hanno uno spiccato carattere culturale, per cui il pellegrino è anche un viaggiatore112: si ripercorrono dei passi noti dove altri hanno pregato e compiuto gesti straordinari per una comunità o un gruppo, lasciando memoria del passaggio attraverso oggetti come gli ex voto113 e le opere d’arte114, ma anche nei toponimi. Se la topografia antica parla di santità lontane, la produzione di luoghi santi e di memoria attinge da un’esperienza che si rinnova continuamente nel segno di un’idea e di un’utopia condivise: lo testimoniano località come Barbiana, dove nel ricordo di don Lorenzo Milani e della sua esperienza educativa marciano annualmente centinaia di persone115.
Il pellegrinaggio è un’esperienza individuale e collettiva a ogni livello: crea o rinsalda dei legami in seno a una comunità, rispetto a dei luoghi particolari, ma anche rispetto alla Chiesa. Basta pensare agli emigranti che insieme agli strumenti di lavoro, sementi portano con sé anche le loro devozioni: nei luoghi di nuovo insediamento si intitolano cappelle o chiese ai santi della loro terra d’origine, mentre i fortunati di ritorno in patria non mancano di «visitare» il loro patrono.
«Agli inizi del XIX secolo, l’idea generale è che il pellegrinaggio non interessi se non le popolazioni rurali e incolte che continuano a seguire le tradizioni»116. A far muovere le persone abbienti è principalmente il grand tour che dai paesi del Nord Europa spinge nei paesi mediterranei. Il viaggio è prerogativa di un gruppo limitato di persone che può compiere una sorta di «pellegrinaggio culturale» attraverso l’Italia117. Fino a quel momento si è viaggiato per ragioni principalmente utili: il commercio, la guerra e la religione, per la conquista di potere, ricchezza o della vita eterna118. Se il geografo inquadra il pellegrinaggio nella categoria delle migrazioni periodiche, pur ammettendone il valore spirituale, va a ribadire che il pellegrinaggio si nutre di spazio: «E poiché non può intendersi un pellegrinaggio che non comporti uno spostamento da un luogo a un altro, ecco il valore geografico del pellegrinaggio»119. La motivazione essenziale di un pellegrinaggio può cambiare, ma si connota sempre come una pratica religiosa in contrasto con un’attività di tipo puramente intellettuale: le persone «sono spinte da un richiamo interiore e non dalla necessità di inseguire una moda o un interesse turistico»120.
La struttura del pellegrinaggio è la stessa di quella del viaggio: questa caratteristica pone l’esperienza del viaggio in un continuum dove il pellegrino e il turista sono – volenti o nolenti – gli attori di comunità e discorsi in competizione fra loro121. La struttura cognitiva del viaggio e del turismo è posta in una continuità che viene spiegata attraverso l’analogia con l’esperienza religiosa122. Anche le istituzioni ecclesiastiche si sono espresse sul turismo: se «ben fruito» può «divenire non solo strumento di pace e di affratellamento tra i popoli, ma altresì facilitare contatti concreti e validi tra i credenti delle diverse religione e tra i non credenti, divenendo strumento di incontro ecumenico e di dialogo in spirito di carità e di speranza»123. Parafrasando, il turismo può essere un incontro fra diversi, che mediante la carità mira a una conoscenza.
I santuari sembrano oggi coinvolti in una trasformazione profonda non tanto nei loro caratteri di istituzione religiosa: da luogo «vivo», ogni santuario esercita un’attrazione su fedeli e visitatori che non può essere generalizzata nella speranza del miracolo, né nella visita culturale. D’altra parte non si può negare che la funzione taumaturgica continui a occupare la preoccupazione delle folle di pellegrini che si recano a Lourdes, Fatima, Medjugorie o San Giovanni Rotondo124. D’altronde la fama del luogo li ha sicuramente preceduti. Gli usi odierni dei santuari – le molteplici vocazioni di questi luoghi – rendono plausibile la frequentazione anche da parte di curiosi e di viaggiatori specializzati125. Con l’Ottocento, i trasporti e le comunicazioni hanno trasformato definitivamente i modi e i mezzi attraverso i quali raggiungere i luoghi sacri e praticare il pellegrinaggio. Prima il treno e il suo ruolo per i pellegrinaggi di massa126, poi i mezzi pubblici e infine quelli privati, dalla bicicletta all’auto, hanno delineato dei tempi di approccio ai santuari completamente diversi: il cammino a piedi prepara l’incontro attraverso la fatica e la preghiera, l’arrivo in auto contrae il tempo dell’attesa. Tuttavia una volta giunti, il senso del luogo si impone: una scritta scolpita sul transetto di un santuario informa e ammonisce: «Christus vobiscum, state».
Nell’esperienza del turismo religioso, si mettono in atto degli intrecci che possono sembrare irriverenti soltanto fuori dai continui accomodamenti tra sfere umane: religione e gioco, autenticità e rappresentazione, utile e verità fanno però tutti parte della descrizione della ricerca di un altrove che si può caratterizzare sia come religioso che come turistico127.
Ancor prima di far parte del patrimonio di luoghi di culto della Chiesa, i santuari sono costruzioni che appartengono ai fedeli: ogni santuario, a partire dalla sua storia specifica, contiene un portato di creazione spontanea e di regolazione da parte delle istituzioni ecclesiastiche, ma anche giuridiche e laiche le cui proporzioni sono variabili128. Spiegarne le dinamiche porta nei meandri di una storia che appartiene a un santuario particolare e a una società locale, tuttavia diventa esemplificativa di un fenomeno più generale di cui si vanno a delineare alcune tendenze. Inchieste su territori più o meno estesi sono state promosse a livello istituzionale e secondo dei fini specifici per comprendere lo stato della devozione e dei santuari in epoca moderna129, mentre in epoca contemporanea lo studio è stato prerogativa di etnografia e storia delle tradizioni popolari. Nello studio della storia dei santuari, storiografia e antropologia hanno un terreno d’incontro nel campo delle fonti, siano esse scritte, materiali od orali130. Negli anni Cinquanta del Novecento, un Comitato per l’inchiesta sui santuari viene fondato a Roma per conto della Società di etnografia italiana sotto l’egida della Pontificia commissione di arte sacra. Nel 1953 viene spedito ai rettori dei santuari un questionario: «Il comitato si propone il compito di approfondire lo studio della storia e delle tradizioni inerenti ai nostri Santuari, tanto più che dall’osservazione della religiosità popolare collegata con la vita dei Santuari scaturiscono elementi storici, folkloristici, religiosi di precipua importanza»131.
L’etnografia che si pone l’obiettivo di studiarli, forse arriva semplicemente a constatarne il cambiamento definitivo prima di una svolta che, anche a causa della globalizzazione, oggi non ha ritorno132. Anche i santuari e i pellegrinaggi in Italia sono definitivamente entrati nella modernità: è sempre più evidente che essi non appartengono più a dei sistemi autoreferenziali133, ma dialogano attraverso nuovi mezzi con il mondo134.
Artefici di una nuova visibilità sono diversi fattori fra i quali spiccano le appropriazioni da parte di una retorica che esalta l’Italia nella sua unità. Molti santuari e edifici sacri sono stati gravemente danneggiati durante la Prima guerra mondiale. Alcune di queste costruzioni vengono elevate a «monumento nazionale»135 così da poter accedere ai contributi straordinari per i danni di guerra. Della stagione di recupero e ristrutturazione restano delle tracce importanti, sia a livello del ruolo che cominciano a ricoprire nella stampa, sia per l’interesse artistico e culturale che viene loro riconosciuto.
L’Enit (Ente nazionale industrie turistiche), istituito nel 1921, pubblica per la prima volta nel 1923 una guida illustrata intitolata I santuari d’Italia: è una testimonianza importante della consapevolezza di possedere un patrimonio culturale, oltre che devozionale. La premessa si sofferma sui santuari come «monumenti di gran valore artistico, e testimoni perenni di inalterabile fede e di pubblica riconoscenza di sovrani principi e popoli e delle gloriose Repubbliche italiane de medio evo»136. «Nel turbinio della vita moderna» i santuari entrano in una retorica che esalta l’italianità e sono il soggetto di uno degli opuscoli pubblicati dalla «S.A. Filatura Gaetano Marzotto & Figli» che,
«inquadrata dalle sane direttive del Regime Fascista, vuole fare opera di italianità ne ricordare i propri eccellenti prodotti e nel contempo interessare le giovani generazioni al ricordo e nell’esaltazione di quegli italiani […] che per voi giovani debbono essere esempio di bene operare, fortificando in Voi l’orgoglio di appartenere a questa stirpe sana e vigorosa, destinata in questa epoca di novella rinascita, a proclamare ancora Roma luce del sapere e della giustizia»137.
Dunque l’imperatore Augusto, i grandi marinai, insieme ai monasteri e ai santuari sono veicolo di un’identità italiana che scopre anche i luoghi della fede fra i valori gloriosi di una nazione. Se la retorica appare anacronistica, il nucleo del messaggio giunge ai giorni nostri per altre vie.
Luoghi museo138, case di accoglienza, luoghi di spiritualità e di cultura sono le vocazioni non sacramentali che più spesso i santuari danno oggi a vedere. Tuttavia lo spirito del luogo non risiede soltanto in queste funzioni che i santuari hanno sempre ricoperto. Come è evidente nei giubilei, nelle «manifestazioni di massa»139 e nelle le opere edite all’occasione, spiccano le «guide all’Italia sacra», dove si forniscono informazioni artistiche140, ma anche turistiche, riguardanti modi e mezzi per raggiungere le mete di pellegrinaggio141.
Il sistema pellegrinaggio-santuario non è chiuso come mostrano le linee del suo cambiamento: i santuari possono sia favorire l’instaurarsi di una rete di relazioni sociali, oltre che commerciali, con il territorio vicino, sia far parte, a loro volta, di una rete o di un percorso di luoghi sacri collegati fra loro, da un punto di vista simbolico o concreto nelle antiche vie di pellegrinaggio che da diversi luoghi d’Europa conducevano a Roma o a Santiago de Compostela142. A contribuire all’apertura è proprio questa frequentazione, l’andarci in visita o pellegrinaggio e portar via il ricordo di un’esperienza che se non è proprio religiosa, «lo è anche». Come precisa Riccardi: «Eppure il popolo dei santuari è quello di credenti e anche di non credenti e, infine, di credenti a modo proprio»143.
Nel Censimento dei santuari cristiani in Italia e in Francia, gli studiosi si sono dati come criteri minimi comuni di definizione del santuario due aspetti di fondamentale importanza: la presenza della tomba e della reliquia di un santo venerato e la tradizione di un pellegrinaggio annuale144. In questa definizione sono presenti gli elementi fondamentali che caratterizzano i santuari: la venerazione di una santità145 e la mobilità verso o attraverso questo luogo sacro, scandita da una ritmica temporale146. Nel tentare un salto ulteriore a livello dell’analisi, vale la pena soffermarsi sul sistema pellegrinaggio-santuario rispetto alle due categorie dello spazio e del tempo147. Se per la categoria dello spazio il santuario è un sacro localizzato, una sacralizzazione è anche quella che solca lo spazio nell’atto di pellegrinare. Il tempo nell’esperienza religiosa si presta a un’esplorazione simile: al santuario si celebra una festa148 secondo una scansione che alterna un tempo forte e uno ordinario149. Il successo e la vitalità espressiva dei santuari continuano ad affermarsi proprio quando la topografia che incontra il tempo che scorre viene intesa in un senso duplice: la storia restituisce i fatti e le vicende che hanno coinvolto luoghi e persone, mentre la memoria religiosa si nutre di un tempo che, con una metafora, può essere coniugato al passato prossimo e al plurale. Soltanto la presenza di una memoria collettiva religiosa consacra il santuario al vissuto religioso150. L’interesse rinnovato per i santuari non può essere dissociato da quello che viene indirizzato ai pellegrinaggi e agli ex voto. Questi tre termini formano una sequenza che esprime un fenomeno a un tempo complesso e unitario, sono interscambiabili e spiegano, talvolta in un moto circolare, la realtà santuariale151. Fra questi c’è però un’articolazione tra sfere sociali e umane: le istituzioni fanno leva su credenze, riti, rappresentazioni religiose che vengono affermati, addomesticati, smentiti e dimenticati. Il radicamento profondo di una devozione nella tradizione locale passa anche attraverso altri canali come quello dell’identità. Un santuario, il racconto della sua leggenda, il pellegrinaggio annuale della società locale verso questo luogo, la celebrazione dei sacramenti e altre attività non necessariamente liturgiche ne attestano il carattere ‘vissuto’ e non solo religiosamente.
Nell’era digitale, l’immaginario, la società e il mercato si nutrono di rappresentazioni religiose che restituiscono attraverso televisione, internet e stampa. L’incontro fra santuari e modernità avviene su questo terreno, ma non può prescindere da alcuni punti fermi: la spinta etica e l’evidenza estetica, insieme all’insistenza sulla ricerca interiore, determinano il loro successo. Bellezza, tradizione e ricerca di un’esperienza diventano buone ragioni che attualizzano, ma non possono snaturare la visita e il pellegrinaggio ai santuari. L’aggregazione presso i santuari attraverso il viaggio e il pellegrinaggio fa leva su valori intersoggettivi152 come la pace, la bellezza del creato e delle opere dell’uomo per edificare la fede. Perché questo sono i santuari: luoghi della visibilità della fede degli uomini e del mistero di Dio.
1 A. Dupront, Il Sacro. Crociate e pellegrinaggi. Linguaggi e immagini, Torino 1993.
2 Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente, Bologna-Milano 1999; Santuario e pellegrinaggio: evangelizzare la pietà popolare, a cura di L. Andreatta, Roma 1992.
3 A. Vauchez, Introduction, in Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches terminologiques, méthodologiques, historiques et monographiques, éd. par A. Vauchez, Rome 2000, pp. 1-7.
4 Da un confronto fra G. Moroni, s.v. Santuario, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXI, Venezia 1853, pp. 82-84 e N. Tommaseo, B. Bellini, s.v. Santuario, in Dizionario della lingua italiana, XVII, Milano 1977, pp. 30-31.
5 Con le derivazioni sanctificare sanctificatione (tardo latino) sanctitate e sanctuariu(m) (formato sul modello di sacrarium che ne è la versione colta): M. Cortelazzo, P. Zolli, s.v. Sacro, in Dizionario etimologico della lingua italiana, CD-Rom, a cura di M. Cortelazzo, M.A. Cortelazzo, Bologna 2003.
6 Profili giuridici e storia dei santuari cristiani in Italia, a cura di G. Dammacco, G. Otranto, Bari 2004 (in partic. F.E. Adami, L’evoluzione giuridica del concetto di santuario, pp. 5-29; G. Feliciani, La disciplina canonica de santuari, pp. 31-44); S. Vareschi, Il santuario come istituzione nei suoi aspetti canonico-amministrativi, in La sacra terra. Chiesa e territorio, a cura di F. Demarchi, S. Abbruzzese, Rimini 1995, pp. 56-77.
7 F. Demarchi, La dinamica della localizzazione del sacro. Elementi per una introduzione, in La sacra terra, cit., pp. 9-16.
8 H.W. Turner, From temple to meeting house: the phenomenology and theology of places of worship, Den Haag 1979.
9 P.G. Caron, s.v. Santuario, in Novissimo Digesto Italiano, a cura di A. Azara, E. Eula, Torino 1969, pp. 527-530.
10 Su quest’ultimo capoverso si concentra la disanima di A. Bertola, I santuari e il concordato, «Il diritto ecclesiastico e rassegna di diritto matrimoniale», 45, 1934, pp. 489-510, 609-622. Per i patti Lateranensi (11 febbraio 1929) cfr. http://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-st_19290211_patti-lateranensi_it.html (10 ott. 2010).
11 A.C. Jemolo, I Santuari, «Rivista di diritto pubblico e della pubblica amministrazione in Italia», 5, 1913, 2, pp. 494-533, in partic. p. 505.
12 A.C. Jemolo, I Santuari, cit., pp. 505-517.
13 L’argomento si inserisce nella situazione più ampia determinata dalla ‘questione romana’, per la quale si veda il contributo di S. Marotta in quest’opera.
14 R. Naz, s.v. Sanctuaire, in Dictionnaire de droit canonique, VII, éd. par R. Naz, Paris 1965, col. 870.
15 Ibidem.
16 Codice di Diritto Canonico: testo ufficiale e versione italiana, Roma 19842, cann. 1230-1234. Si noti che le «forme della pietà» a seconda della traduzione del Codice subiscono degli slittamenti semantici: in latino sono «probatae», mentre in francese sono «éprouvées» e in italiano «sane».
17 Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002, in partic. sui santuari e i pellegrinaggi nn. 261-287.
18 Ibidem, pp. 274-278.
19 È l’idea flessibile di santuario cui arrivano gli studiosi che partecipano al Censimento dei santuari cristiani d’Italia. A. Vauchez, Introduction, in Lieux sacrés, cit., e http://www.santuaricristiani.iccd.beniculturali.it/ (10 ott. 2010).
20 A. Dupront, Pèlerinage et lieux sacrés, in Mélanges en l’honneur de Fernand Braudel, II, Méthodologie de l’histoire et des sciences humaines, Toulouse 1973, pp. 189-206.
21 Le leggende di fondazione dal medioevo all’età moderna/Die Gründungslegenden in Mittelalter und Neuzeit, «Annali dell’Istituto storico italo germanico in Trento», 26, 2000, pp. 393-682; G. De Rosa, Le leggende di fondazione dei santuari cristiani della Basilicata, «Ricerche di storia sociale e religiosa», 29, 2000, 58, pp. 35-46; M. Tessarolo, I Santuari nel Veneto tra devozione e istituzione, in La sacra terra, cit., 1995, pp. 156-172, in partic. pp. 166-169; A. Vecchi, Reliquia e tradizione orale nelle leggende di fondazione, in Memoria del sacro e tradizione orale, Atti del terzo Colloquio interdisciplinare del Centro studi antoniani (Padova 1984), Padova 1984, pp. 45-60; G. Profeta, Le leggende di fondazione dei Santuari. Avvio di un’analisi morfologica, «Lares», 36, 1970, 3-4, pp. 245-258; E. Gulli, Il Santuario e la leggenda di fondazione, ibidem, 38, 1972, 3-4, pp. 155-167.
22 E. Gulli-Grigioni, Parole, gesti, immagini e oggetti. Spunti di osservazione sui rapporti tra oralità e cultura materiale, in Memoria del sacro, cit., pp. 145-156, in partic. p. 147.
23 J. Bouflet, Ph. Boutry, Un segno nel cielo: le apparizioni della Vergine, Genova 1999, p. 233; G. Hierzenberger, O. Nedomansky, Tutte le apparizioni della Madonna in 2000 anni di storia, Casale Monferrato 1996.
24 J. Bouflet, Ph. Boutry, Un segno, cit., pp. 234-235. Una rassegna in G.M. Besutti, Santuari e pellegrinaggi nella pietà mariana, «Lateranum», 48, 1982, 2, pp. 450-504.
25 Fra i due eventi, accadono fatti il cui peso è enorme: cfr. E.J Hobsbawm, Il secolo breve: 1914-1991, Milano 2000.
26 L. Gaffuri, Luoghi di culto e santuari nel medioevo occidentale. Bibliografia ragionata, in Lieux sacrés, cit., pp. 179-196.
27 V. Verrastro, I santuari cristiani in Italia, «Ricerche di storia sociale e religiosa», 27, 1998, 54, pp. 283-287.
28 M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino 1967, p. 21.
29 La construction religieuse du territoire, éd. par J.-F.Vincent, D. Dory, R. Verdier, Paris 1995.
30 J. Delumeau, Rassurer et protéger. Le sentiment de sécurité dans l’Occident d’autrefois, Paris 1989.
31 F. Demarchi, Il territorio come fornitore di referenti simbolici, «Sociologia urbana e rurale», 12, 1983, pp. 3-10; S. Abbruzzese, Catholicisme et territoire: pour une entrée en matière, «Archives de sciences sociales des religions», 44, 1999, 107, pp. 5-18.
32 P. Deffontaines, Geografia e religioni, Firenze 19576, pp. 291-297.
33 G. Imbrighi, Lineamenti di geografia religiosa, Roma 1961; P. Claval, Eléments de géographie humaine, Paris 1974.
34 J. Ries, L’uomo e il sacro nella storia dell’umanità, II, L’uomo e lo spazio sacro, Roma 2007.
35 Lo ‘spazio significativo’ è una problematica vasta sulla semantica dei luoghi contrapposti ai non-luoghi prodotti in epoca contemporanea: A. Dupront, Au commencement un mot: lieu. Étude sémantique et destin d’un concept, in Hauts Lieux, éd. par M. Crépu, R. Figuier, R. Louis, «Autrement», 115, 1990, pp. 58-66; J. Duvignaud, Lieux et non lieux, Paris 1977; E. Relph, Place and Placelessness, London 1976; M. Augé, Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano 1993.
36 P. Deffontaines, Geografia, cit., pp. 3-5. Ci sembra una lettura semplificata dei concetti di numinoso e di mysterium tremendum, in R. Otto, Il sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano 19762 (in partic. i capitoli 2 e 4).
37 J. Danielou, Quelles significations pour un lieu sacré?, in Les lieux sacrés, 7e Colloque de l’Alliance mondiale des religions (Paris 1972), Méolans-Revel 1993, pp. 44-60.
38 M. Eliade, Il sacro, cit., p. 18.
39 T. Caliò, R. Michetti, Un’agiografia per l’Italia. Santi e identità territoriali, in Europa sacra: raccolte agiografiche e identità politiche in Europa fra Medioevo ed Età moderna, a cura di S. Boesch Gajano, R. Michetti, Roma 2002, pp. 135-180.
40 A. Dupront, Il Sacro. Crociate e pellegrinaggi, cit., pp. 28-29. Il santuario di montagna, a differenza di quello di città o pianura, sembra mantenere nelle rappresentazioni un’inclinazione a una maggiore spiritualità e propensione al raccoglimento dei pellegrini e fedeli in preghiera. Mentre «il pellegrinaggio in città è distraente, più consumistico, viceversa in montagna l’isolamento nella preghiera e il senso di religiosità sono favoriti anche dall’ambiente»: cfr. B. Sanguanini, Turismo religioso e santuari di fine millennio, in La sacra terra, cit., pp. 192-219, in partic. p. 207.
41 R. Guarnieri, Fonti vecchie e nuove per una “nuova” storia dei santuari, «Ricerche di storia sociale e religiosa», 34, 2005, 68, pp. 7-34, in partic. p. 7.
42 Impossibile rendere conto di questa letteratura che si è nutrita di studi sul folklore, sulla religione delle classi subalterne, sulla mentalità religiosa e sulle produzioni culturali popolari. Un approccio interdisciplinare in La religion populaire, Actes du Colloque international (Paris 1977), Paris 1979; Les religions populaires, Colloque international 1970, Québec 1972. La riflessione interna al sistema religioso: Ricerche sulla religiosità popolare nella bibbia, nella liturgia, nella pastorale, a cura dell’Istituto di liturgia pastorale della abbazia di S. Giustina (Padova), Bologna 1979; Religion populaire et réforme liturgique, «La Maison-Dieu», 122, 1975, nr. monografico; Religione popolare e chiesa cattolica: riflessione sociologica, storico-antropologica, teologica, rassegna bibliografica, «Rivista di teologia morale», XI, 42, 1979. La riflessione della sociologia: La religiosité populaire, «Social compass», 22, 1975, 2, nr. monografico; R. Cipriani, La religion populaire: en guise de présentation, «Archives de sciences sociales des religions», 32, 1987, 64/1, pp. 5-6. Un approccio storiografico: Religione e religiosità popolare, «Ricerche di storia sociale e religiosa», 6, 1977, 11, nr. monografico; D. Zardin, La religione popolare: interpretazioni storiografiche, e ipotesi di ricerca, in Arte, religione, comunità nell’Italia rinascimentale e barocca, Atti del Convegno di studi in occasione del V centanario di fondazione del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno (1498-1998), a cura di L. Saccardo, D. Zardin, Milano 2000, pp. 3-24.
43 E. Martin, From Popular Religion to Practices of Sacralization: Approaches for a Conceptual Discussion, «Social compass», 56, 2009, 2, pp. 273-285.
44 G. Cracco, Dai Santi ai Santuari: un’ipotesi di evoluzione in ambito veneto, in G. Cracco, A. Castagnetti, S. Collodo, Studi sul Medioevo veneto, Torino 1981, pp. 25-42.
45 L. Canetti, Prospettive per la ricerca sui santuari cristiani in Emilia Romagna, in Per una storia dei santuari cristiani d’Italia: approcci regionali, a cura di G. Cracco, Bologna 2002, pp. 239-264, in partic. pp. 242-243.
46 G. Cracco, Prospettive sui santuari. Dal secolo delle devozioni al secolo delle religioni, in Per una storia, cit., pp. 7-61.
47 D. Julia, Sanctuaires et lieux sacrés à l’époque moderne, in A. Vauchez, Lieux sacrés, cit., pp. 241-295, in partic. pp. 277-283.
48 A. Vauchez, Lo spazio, l’uomo e il sacro nel mondo mediterraneo: premesse a un’indagine, in Contributi alla storia socio-religiosa. Omaggio di dieci studiosi europei a Gabriele De Rosa, a cura di A.L. Coccato, Vicenza-Roma 1997, pp. 141-150, in partic. p. 150.
49 L. Scaraffia, Loreto, Bologna 1998, pp. 97-105.
50 F. Mattioli Carcano, Santuari à répit: il mito del “ritorno alla vita” o “doppia morte” nei luoghi santi delle Alpi, Scarmagno 2009; M. Sensi, Santuari del perdono e santuari eremitici «à répit». Esempi umbro-marchigiani, in A. Vauchez, Lieux sacrés, cit., pp. 215-239; A. Folgheraiter, I sentieri dell’infinito: storia dei santuari del Trentino-Alto Adige, Trento 1999, pp. 296-310.
51 M. Weber, Economia e società, a cura di P. Rossi, 4 voll.: II, Economia e tipi di comunità, Milano 19992, pp. 261-289; IV, Sociologia del potere, Milano 1995, pp. 218-259.
52 G. Cracco, Memoria e istituzioni. Attorno alla leggenda di fondazione di un santuario, «Annali dell’Istituto storico italo germanico in Trento», 26, 2000, pp. 393-407; E. Curzel, Note per una storia dei santuari trentini, in Per una storia, cit., pp. 157-172, in partic. p. 171.
53 V. Bo, s.v. Santuario, in Dizionario di Pastorale della comunità cristiana, a cura di V. Bo, C. Bonicelli, I. Castellani, et al., Assisi 1980, p. 522.
54 Les croyances collectives, «L’Année sociologique», 60, 2010, 1, nr. monografico; G. Rech, Les mécanismes d’adhésion aux croyances collectives dans le domaine du religieux. Une étude de cas dans l’Italie du Nord, thèse de doctorat, Université Paris IV-Sorbonne, dir. prof. F. Chazel, S. Abbruzzese, a.a. 2007-2008.
55 M. Eliade, Il sacro, cit., p. 18.
56 S. Abbruzzese, Introduzione a La sacra terra, cit., pp. 19-23, in partic. p. 20.
57 A. Dupront, Il Sacro. Crociate e pellegrinaggi, cit., pp. 379-381.
58 P. Cozzo, Santuari del Principe. I santuari subalpini d’età moderna nel progetto politico sabaudo, in Per una storia, cit., pp. 91-114.
59 E.J. Hobsbawm, Introduction: Inventing Traditions, in The invention of tradition, ed. by E.J. Hobsbawm, T. Ranger, Cambridge 1983, pp. 1-14.
60 G. De Rosa, I codici di lettura del «vissuto religioso», in Storia dell’Italia religiosa, II, L’età moderna, a cura di G. De Rosa, T. Gregory, A. Vauchez, Roma-Bari 1994, pp. 345-354.
61 Des Hauts Lieux. La Construction Sociale de l’Exemplarité, éd. par A. Micoud, Paris 1991; Hauts Lieux, éd. par M. Crépu, R. Figuier, R. Louis, cit.
62 E.J Hobsbawm, Il secolo breve, cit.
63 Intesa qui nel duplice senso storico e sociologico: Santi, culti, simboli nell’età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di E. Fattorini, Torino 1997; O. Tschannen, Les théories de la sécularisation, Genève 1992.
64 R. Pettazzoni, Italia religiosa, Bari 1952, pp. 67-72.
65 C. Brice, L’espace, l’homme, le sacré: la «religion civile» dans l’Italie libérale (1860-1922). Premières approches, in A. Vauchez, Lieux sacrés, cit., pp. 383-392, in partic. p. 386; G. Verucci, I simboli della cultura laica e delle istituzioni civili, in Santi, culti, simboli, cit., pp. 235-245.
66 G. Cracco, Prospettive sui santuari, cit., p. 47; M. Tosti, La ripresa dei santuari tra Ottocento e Novecento, in I santuari cristiani d’Italia: bilancio del censimento e proposte interpretative, a cura di A. Vauchez, Roma 2007, pp. 45-61, in partic. p. 52.
67 I luoghi della memoria, a cura di M. Isnenghi, 3 voll., Roma-Bari 1995-1998.
68 G. Cracco, Culto mariano e istituzioni di Chiesa tra medioevo ed età moderna, in Arte, religione, comunità, cit., pp. 25-52.
69 J. Davallon, Produire les hauts lieux du patrimoine, in Des Hauts Lieux, cit., pp. 85-102, in partic. p. 87.
70 J. Davallon, Produire les hauts lieux, cit., p. 86.
71 L. Scaraffia, Loreto, cit.; Loreto: crocevia religioso tra Italia, Europa ed Oriente, a cura di F. Citterio, L. Vaccaro, Brescia 1997; I pellegrini alla Santa Casa di Loreto: indagine socio-religiosa, a cura di P. Giuriati, Loreto 1992.
72 O. Confessore, I santuari contemporanei come luoghi di aggregazione (Madonna di Pompei, Santa Rita da Cascia, San Giovanni Rotondo), in I santuari cristiani, cit., pp. 257-268. La devozione a s. Rita è emblematica per quel che riguarda i legami di conservazione dell’identità nazionale e religiosa: beatificata nel 1627, viene santificata soltanto il 24 maggio 1900 da Leone XIII: M. Tosti, La ripresa, cit., p. 55; L. Scaraffia, La santa degli impossibili: vicende e significati della devozione a S. Rita, Torino 1990.
73 A San Giovanni Rotondo dove visse Padre Pio, in Santi e santuari. Atlante dei personaggi e dei luoghi della fede, presentazione di Monsignor F. Caraffa, I, Milano 1979, in partic. pp. 240-251.
74 O. Confessore, I santuari contemporanei, cit., p. 258.
75 M. Tosti, La ripresa, cit., p. 45.
76 Si tratta soprattutto del culto mariano e le sue implicazioni devozionali: cfr. E. Fattorini, Il culto mariano tra Ottocento e Novecento: simboli e devozione: ipotesi e prospettive di ricerca, Milano 1999; Id., Santuari mariani in Italia tra Otto e Novecento, «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», 117/2, 2005, pp. 457-486.
77 G. Cracco, Prospettive sui santuari, cit., p. 47; M. Tosti, La ripresa, cit., p. 52.
78 G. Cracco, Prospettive sui santuari, cit., p. 43. Anche in diocesi periferiche e per santuari minori si possono rilevare tendenze simili. Espressione di un clima diffuso sono le affermazioni di un ecclesiastico riguardanti un santuario nella diocesi di Feltre: «Le voci che il governo avesse impedito le processioni, e quindi quelle che vengono da tutta la Diocesi a S. Vittore nel giorno della sua festa, incominciarono a commuovere queste popolazioni, che della libertà si hanno formato un concetto diverso da quello di coloro che tengono il mestolo. Le furono voci solamente, e le processioni si fecero con la loro grandiosità tradizionale», A S. Vittore, «Il Tomitano. Periodico religioso politico letterario della Diocesi di Feltre», 7, 1888, 10, p. 80.
79 O. Confessore, I santuari, cit.
80 Si veda il contributo di L. Ferrari sull’Azione cattolica in questa stessa opera.
81 Ci riferiamo ancora al santuario dei santi Vittore e Corona di Feltre: G. Dal Molin, Mons. Giuseppe Bortolon e l’avvio della casa di esercizi spirituali di San Vittore, San Vittore. Restauri e studi, a cura di S. Claut, Feltre 1996, pp. 29-55, in partic. pp. 35-36.
82 V. Turner, E. Turner, Il pellegrinaggio, Lecce 1997, p. 52.
83 Monte Berico a Vicenza, «I santuari d’Italia illustrati», Supplemento del «Pro familia», 1, 1928, 8, p. 127.
84 La Madonna del Rocciamelone, «I santuari d’Italia illustrati. Rivista mensile», 3, 1930, 6, p. 93.
85 P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna 2006.
86 P. Cozzo, Le mille e una sindone, «Micromega», 4, 2010, pp. 55-66.
87 P. Baima Bollone, Sindone. Storia e scienza 2010, Scarmagno 2010.
88 R.P. Violi, Religiosità e identità collettive. I santuari del Sud tra fascismo, guerra e democrazia, Roma 1996, p. 77.
89 Si veda il contributo di E. Fattorini, Devozioni e politica in quest’opera.
90 G. Cracco, Santuari e pellegrinaggi nella storia cristiana, in Il Cristianesimo. Grande atlante, II, Ordinamento, gerarchie, pratiche, a cura di G. Alberigo, R. Ruggieri, R. Rusconi, Torino 2006, pp. 880-907.
91 R. Naz, s.v. Pèlerinage, in Dictionnaire de droit canonique, cit., 1965, VI, coll. 1314-1317.
92 P. Cortelazzo, P. Zolli, s.v. Pellegrinaggio, in Dizionario etimologico della lingua italiana, cit.
93 V. Turner, E. Turner, Il pellegrinaggio, cit., p. 52.
94 Il pellegrinaggio nella formazione dell’Europa: aspetti culturali e religiosi, a cura di M. Maragno, Padova 1990.
95 C. Prandi, Il Santuario: funzione, storia, modello, in La sacra terra, cit., pp. 39-45, 53-55; Id., Devoti, pellegrini, miracolati. Il santuario oggi. Storia e modello, in Grazie: miracoli, arte, storia. Il santuario della Beata Vergine delle Grazie presso Mantova, Parma 1991, pp. 46-115.
96 J. Chélini, H. Branthomme, Les chemins de Dieu. Histoire des pèlerinages chrétiens des origines à nos jours, Paris 1982, pp. 18-19.
97 R. Sauzet, Contestation et renouveau du pèlerinage au début des temps modernes (XVIème et début du XVIIème siècle), in Les chemins, cit., pp. 242 segg.
98 L. Scaraffia, Il giubileo, Bologna 1999, cap. 4; R. Sauzet, Contestation, cit., p. 243.
99 Si veda il contributo di G. Turbanti, sul concilio Vaticano II in quest’opera.
100 Lumen Gentium: costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, Milano 199331, nn. 49-50.
101 J. Brière, Les racines bibliques du pèlerinage chrétien, in Les chemins, cit., pp. 23-24.
102 M.-H. Vicaire, Les trois itinérances du pèlerinage au XIIIème et au XIVème siècles, in Le pèlerinage, «Cahiers du Fanjeaux », 15, 1980, pp. 17-18.
103 J. Brière, Les racines, cit., p. 23.
104 Es. XXIII, 14-19; J. Brière, Les racines, cit., pp. 23-53, in partic. pp. 24-27.
105 J. Brière, Les racines, cit., p. 53.
106 M. Halbwachs, La topographie légendaire des Evangiles en Terre Sainte. Etude de mémoire collective, Paris 1941, 19712.
107 G. Imbrighi, Lineamenti, cit., p. 110.
108 C.Pietri, L. Pietri, Le pèlerinage en Occident à la fin de l’antiquité, in J. Chélini, H. Branthomme, Les chemins de Dieu, cit., pp. 79 segg.; T. Caliò, R. Michetti, Un’agiografia per l’Italia. Santi e identità territoriali, in Europa sacra, cit., pp. 135 segg.
109 Sono le finalità delineate da papa Paolo VI ai pellegrini dell’anno santo 1975. A. Dupront, Il Sacro. Crociate e pellegrinaggi, cit., pp. 391-392.
110 E. Zapponi, Pregare con i piedi: in cammino verso Finis Terrae, Roma 2008.
111 V. Bo, s.v. Pellegrinaggio, in Dizionario di Pastorale della comunità cristiana, cit., pp. 422-424, in partic. 422-423.
112 M.-A. Di Giovine. The heritage-scape: UNESCO, world heritage, and tourism, Lanham 2009.
113 E. Gulli-Grigioni, Parole, gesti, cit., pp. 145-156.
114 T. Verdon, L’arte nella vita della chiesa, Città del Vaticano 2009.
115 Don Lorenzo Milani. Il destino di carta. Rassegna stampa 1949-2005. Catalogo, a cura di L. Fiorani, Bologna 2010.
116 R. Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano. Dalle sue origini al turismo religioso del XX secolo, Genova 1997, p. 533.
117 Il turismo in una società che cambia, a cura di P. Guidicini, A. Savelli, Milano 1988.
118 W.H. Swatos, L. Tomasi, From medieval pilgrimage to religious tourism: the social and cultural economics of piety, Westport (CO)-London 2002.
119 G. Imbrighi, Lineamenti, cit., p. 110.
120 V. Turner, E. Turner, Il pellegrinaggio, cit., p. 35.
121 N. Costa, Il turismo religioso: definizione e caratteristiche, «Annali italiani del turismo internazionale», 1, 1995, 2, pp. 121-167.
122 Z. Bauman, Da pellegrino a turista, «Rassegna italiana di sociologia», 36, 1995, 1, pp. 3-26; D. MacCannel, The tourist: a new theory of leisure class, New York 1976.
123 Direttorio generale per la pastorale del turismo, Peregrinans in terra, in Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della Santa Sede. Testo ufficiale e versione italiana, Bologna 197610, III, pp. 1015-1054, in partic. p. 1023.
124 Sono tre fra le mete di maggiore attrazione secondo gli studi della Trademark Italia. Cfr. Il turismo religioso, un fenomeno in grande ascesa, Rimini 2010, documento di sintesi gentilmente concesso.
125 G. Rech, Frequentare i luoghi sacri, oggi, fra tradizione e innovazione, in La dimensione religiosa: problemi di metodo, «Quaderni del Dipartimento di scienze umane e sociali», 1, 2010.
126 Nel 1875 parte il primo convoglio che da Milano raggiunge Lourdes: R. Lavarini, Il pellegrinaggio, cit., p. 539.
127 N. Costa, Il turismo, cit., p. 130.
128 G. Cracco, Dai santi ai santuari, in Storia vissuta del popolo cristiano, éd. par J. Delumeau, ed. italiana a cura di F. Bolgiani, Torino 1985, pp. 249-272; G. De Rosa, I codici di lettura del «vissuto religioso», cit., pp. 303-373.
129 S. Marin, Il culto dei santi e le feste popolari venete: l’inchiesta del Senato veneziano (1772-1773), Vicenza 2007; U. Bernardi, Gli studi sul costume e le tradizioni popolari nell’Ottocento, in Storia della cultura veneta, VI, Dall’età napoleonica alla prima guerra mondiale, Vicenza 1986, pp. 311-341.
130 R. Guarneri, Fonti vecchie, cit., p. 9.
131 Lettera di risposta del Rettore di data 16 maggio 1953, Feltre, Archivio del santuario dei santi Vittore e Corona, n. inventario 71. Allo stato attuale delle ricerche non siamo riusciti a rintracciare gli esiti di questa inchiesta a livello nazionale.
132 S.S. Acquaviva, L’eclissi del sacro nella civiltà industriale. Dissacrazione e secolarizzazione nella società industriale e postindustriale, Milano 19856.
133 M. Weber, Intermezzo. Teoria dei gradi e delle direzioni di rifiuto religioso del mondo, in Id., Sociologia della religione, II, L’etica economica delle religioni universali, Milano 1982, 2002, pp. 315-352.
134 Si veda in quest’opera la sessione Produzione e consumo di cultura.
135 R. Astorri, Leggi eversive, soppressioni delle corporazioni religiose e beni culturali, in La memoria silenziosa. Formazione, tutela e status giuridico degli archivi monastici nei monumenti nazionali, Atti del Convegno (Veroli-Ferentino 1998), Roma 2000, pp. 42-69.
136 Ente nazionale industrie turistiche, I santuari d’Italia, Roma 1923, p. 4.
137 Bibliotechina delle Lane Marzotto, I santuari d’Italia, 4, III serie, s.l. s.d.
138 L. Borroero, Il santuario come spazio museale, in Lo spazio del santuario. Un osservatorio per la storia di Roma e del Lazio, a cura di S. Boesch Gajano, F. Scorza Barcellona, Roma 2008, pp. 273-277.
139 L. Scaraffia, Il giubileo, cit., pp. 108-111.
140 Mons. A. Giannini, don G. Minozzi, Anno Santo: Giubileo del MCML, Milano 1950.
141 In particolare la Guida dei Santuari d’Italia per l’Anno Santo 1950. Itinerari dell’Italia sacra per il pellegrino ed il turista, Genova 1949, fornisce anche una lista delle fonti della compilazione che mostra come l’editoria sacra-culturale sia già sviluppata: cfr. p. 202.
142 Atlante storico dei pellegrinaggi e dei santuari cristiani nel mondo, a cura di F. Lanzi, G. Lanzi, Roma 2005; P. Caucci von Saucken, P. Asolan, Cammini in Europa: pellegrinaggi antichi e moderni tra Santiago, Roma e la Terra Santa, Milano 2009.
143 A. Riccardi, Santuari italiani e Vaticano II: tradizioni, crisi, ripresa, «Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée», 117/2, 2005, pp. 522-535, in partic. p. 533.
144 S. Boesch Gajano, Conclusioni, in A. Vauchez, Lieux sacrés, cit., pp. 393-405, in partic. pp. 404-405.
145 S. Boesch Gajano, La santità, Roma-Bari 1999.
146 E. Zerubavel, Ritmi nascosti. Orari e calendari nella vita sociale, Bologna 1985.
147 É. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano 1963.
148 F.-A. Isambert, Le sens du sacré. Fête et religion populaire, Paris 1982.
149 G. De Rosa, Tempo religioso e tempo storico: saggi e note di storia sociale e religiosa dal Medioevo all’età contemporanea, 3 voll., Roma 1987-1998.
150 M. Halbwachs, Les cadres sociaux de la mémoire, Paris 1994, pp. 178-221.
151 C. Prandi, Il santuario, cit., p. 44.
152 R. Boudon, Il senso dei valori, Bologna 2000.