Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra letteratura e arti visive, la grande stagione internazionale della Maniera è caratterizzata da ampie quanto omogenee caratteristiche. L’eleganza, la ricchezza, l’intellettualismo e la teatralità diventano le fondamenta di una vera e propria civiltà nata dalle esperienze di inizio Cinquecento e troncata dalla svolta neofeudale della Chiesa controriformista.
Premessa
Sin dal terzo decennio del secolo nei grandi centri del Rinascimento italiano nasce e si sviluppa una corrente artistica dai caratteri ben definiti. Si tratta di un insieme di esperienze caratterizzate da tratti tanto vasti quanto comuni e omogeneamente indirizzati. La "civiltà della Maniera" – come comunemente si definisce questo periodo storico – solo di recente ha ricevuto una definizione teorica mirante a definirne meglio i contorni, liberando al contempo il termine "manierismo" dai connotati negativi che ha portato con sé per secoli. Questo processo di riscrittura storica nasce dalla consapevolezza che ciò che per tanto tempo è stato indicato come manierismo non è un organismo compatto, costruito intorno al dogma dell’antinaturalismo, dell’eccentricità e della accademizzazione dei moduli del primo Rinascimento. La breve ma significativa stagione che oggi definiamo anticlassicismo – Pontormo, Rosso, Pordenone e altri – è in realtà un’entità con proprie caratteristiche, diverse "eticamente" e cronologicamente dalle opere prodotte a Roma o a Firenze nell’ambito delle corti papali e medicee. In questi ambienti, infatti, si sviluppa una civiltà figurativa artefatta (nel senso letterale di "fatta ad arte"), imbevuta di cultura e di intellettualismi desunti dalle esperienze letterarie del tempo. Le sperimentazioni del primo Rinascimento (specie dell’ultimo Raffaello (1483-1520) diventano una costante fonte di ispirazione nella misura in cui vengono viste come una specie di vasto repertorio di schemi compositivi. Questa vocazione "accademica" si esplica poi in una naturale vocazione a moduli formali tanto complessi quanto ripetitivi (come la celebre figura serpentinata).
Maniera: significati di un termine
È possibile comprendere meglio cosa si intende per civiltà della Maniera se ci si riferisce alle Vite di Giorgio Vasari, opera simbolo della cultura cinquecentesca.
L’utilizzo del vocabolo "Maniera" presenta una certa omogeneità nell’ambito della storia dell’arte. Come sostanziale sinonimo di stile, esso compare ininterrottamente da Cennino a Milizia, ma nel Cinquecento assume un connotato specifico. Nelle Vite il termine appare spesso, anche se con valenze non sempre univoche; si può comunque affermare che per "maniera" Vasari intende tanto lo stile personale dell’artista, quanto quello collettivo del tempo (la "Maniera moderna" di Raffaello, Leonardo e Michelangelo).
Oltre a queste definizioni primarie, nelle Vite compare una connotazione speciale, tesa a indicare nella "Maniera" l’individuale apporto dell’artista rispetto alla semplice rappresentazione del naturale. Così, nell’ambito dell’estetica vasariana, più un artista è dotato di scioltezza nel disegno, di armonia nel colorire, di grazia e di velocità, più è dotato di "maniera". Così, alla conquista della rappresentazione del naturale della generazione di Masaccio, nella terza età si aggiunge quell’elemento in più, quell’invenzione umana e intellettuale che permette all’arte di "gareggiare" con le bellezze della natura, in un delicato rapporto tra la natura stessa e l’inventiva dell’artefice.
Questo elemento in più nell’ottica vasariana coincide spesso con la "grazia", promossa a vera e propria categoria estetica.
Ma Vasari non è il solo ad associare il concetto di "maniera" a categorie come bellezza e grazia; nello stesso senso si muove gran parte della letteratura comportamentistica, fiorita negli stessi centri frequentati da Vasari. Il Cortegiano di Baldassare Castiglione o il Galateo di Giovanni Della Casa sono testi che nascono per le corti italiane ed europee come veri e propri prontuari delle buone maniere, impostati sui medesimi valori di grazia, leggiadria, artificio e scioltezza; queste sono infatti le qualità richieste nella vita di corte in Italia come in Europa.
È quindi possibile parlare di una "civiltà della Maniera " per opere che si pongono come vere e proprie espressioni di una cultura ben definita; si può allora definire la Maniera come una nuova arte di corte dallo spirito internazionale (si pensi alle esperienze della scuola di Fontainebleau), una sorta di atteggiamento di fondo che interessa le tradizionali forme "nobili" di espressione artistica (decorazione d’ambienti, scultura ecc.), ma anche i campi delle arti minori (l’oreficeria fiorentina al tempo di Cosimo I) , del teatro, degli apparati d’onore (la coreografia del principe), fino al tema del giardino come "spazio delle meraviglie" (Boboli a Firenze e il Sacro bosco di Bomarzo vicino a Viterbo).
Itinerari
La Maniera nasce e si sviluppa a Roma nell’ambito della bottega raffaellesca, subito dopo la morte del maestro. Fautori, ciascuno con formule personali, sono Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, ma anche Rosso Fiorentino e Parmigianino. Questa breve stagione, denominata dal critico d’arte André Chastel "stile clementino", si qualifica per l’accentuato carattere intellettualistico e raffinato, determinato dal clima della corte di Clemente VII, ricca di presenze – come ad esempio il segretario del papa Paolo Valdambrini – che hanno nel culto della "bella vita" l’elemento comune.
Questa breve ma determinate stagione è paragonabile a una vera e propria incubazione del germe manierista, diffuso poi dalla diaspora degli artisti seguita al sacco di Roma. Non è un caso che quasi tutti cerchino riparo nei circoli culturali cortesi, quasi alla ricerca di atmosfere familiari dopo le violenze del Sacco. Le esperienze di Giulio Romano nella Mantova di Francesco Gonzaga (già dal 1524), di Parmigianino a Bologna e Parma, di Rosso a Fontainebleau, di Perin del Vaga a Genova rappresentano snodi fondamentali per le scuole locali. Qualche anno dopo Francesco Salviati e Giorgio Vasari, nuove leve della Maniera formatesi sul culto di Raffaello e Michelangelo, diffondono ulteriormente gli stilemi manieristici in tutta Italia: insieme a Bologna nel 1539-1540 e a Venezia nel 1540-1541, il solo Vasari a Napoli nel 1545.
A Firenze dopo l’episodica esperienza repubblicana (1527-1530), il potere torna ai Medici grazie all’appoggio di Carlo V. Nel 1537 Cosimo I diviene duca della Toscana: è l’inizio di un’esaltante stagione artistica dal sapore spiccatamente cortese, destinata a mutare il volto di Firenze, a opera di artisti quali Bronzino, Vasari, Buontalenti, Cellini e Giambologna.
Il ricco clima culturale è testimoniato dai ritratti dei personaggi della cerchia medicea eseguiti da Agnolo Allori detto il Bronzino (si veda quello di Lucrezia Panciatichi.Tra il 1540 e il 1545 il Bronzino dipinge per la moglie del duca la Cappella di Eleonora da Toledo in Palazzo Vecchio, dove le "sforzature" anatomiche di Michelangelo vengono messe in posa, e congelate in colori preziosi e brillanti. Contemporanea è la tavola raffigurante Venere e Cupido (ora a Londra): si tratta in realtà di una complessa allegoria del gioco e del piacere, dove l’intellettualismo manierista raggiunge vertici davvero esemplificativi. Significativa è anche la circostanza: il dipinto viene commissionato da Cosimo I che lo vuole donare al re francese Francesco I, quasi a unire idealmente i due maggiori centri europei di elaborazione della Maniera.
In Palazzo Vecchio vengono quindi intrapresi lavori di decorazione, tesi a mutare e adeguare gli interni dell’edificio al nuovo ruolo di rappresentanza ducale. Dal 1544 la Sala dell’Udienza viene decorata da Francesco Salviati con le Storie di Camillo, impostate su vaste composizioni riccamente descritte (quasi una rilettura della Battaglia di Costantino di Giulio Romano nelle Stanze Vaticane).
Un ruolo di primo piano è rivestito da Giorgio Vasari, che dal 1554 viene chiamato a realizzare i programmi decorativi e architettonici di casa Medici.Prototipo dell’artista manierista, sempre in contatto con letterati e potenti (che favoriscono continuamente la sua carriera), si pone a capo di un’organizzatissima équipe che gli permette di tenere in piedi più commissioni in diverse città e di lavorare velocemente.
Nell’ottica della già avviata trasformazione di Palazzo Vecchio, si inseriscono le sale dei Quartieri, cominciate dalla bottega vasariana nel 1555 su elaborazioni tematiche degli eruditi Cosimo Bartoli e Benedetto Varchi.
Un’analoga attenzione iconografica è presente in un altro celebre cantiere diretto da Vasari: lo studiolo di Francesco I, eseguito nel 1570-1572 per il nuovo granduca. La personalità del figlio di Cosimo I è complessa e variegata; cultore dell’alchimia, collezionista insaziabile e amante delle buone letture, i suoi interessi traspaiono nella preziosità dello studiolo, al quale lavorano il fiammingo Jan van der Straet – noto come Giovanni Stradano – che prende il posto dello scomparso Vasari, Jacopo Zucchi, ma anche i giovani Ludovico Cigoli e Santi di Tito. Questi, già alla metà degli anni Settanta, sono i più attenti al richiamo all’ordine sancito dal rigorismo controriformistico che segna la fine della grande stagione della Maniera a Firenze.
Roma
Il terremoto del Sacco impone alla corte papale un repentino mutamento di rotta. Bisogna attendere perciò qualche anno prima che vengano riprese le attività di committenza. L’intraprendenza non solo artistica di Paolo III Farnese appare, assieme al ritorno di Michelangelo, occasione di nuovi stimoli che vengono raccolti e sviluppati da Giorgio Vasari, Francesco Salviati, Jacopino del Conte, Daniele da Volterra, ai quali si aggiunge Perin del Vaga, tornato nella città eterna dopo anni di assenza.
L’affresco sembra la dimensione ideale per esprimere in grande questa nuova stagione, sia in ambito privato che sacro. L’oratorio di San Giovanni Decollato viene decorato attorno al 1538 da Francesco Salviati e Jacopino del Conte con l’intento dichiarato di cercare una coniugazione tra Raffaello e Michelangelo (come nella Predica del Battista di Jacopino). Ma l’evento più importante è la realizzazione degli affreschi (1544-1548) nell’appartamento di Paolo III in Castel Sant’Angelo, realizzati da Perin del Vaga a capo di una monumentale bottega; è il suggello della seconda fase della Maniera, certo più attenta al Michelangelo del Giudizio per la potenza espressiva, ma sempre con un occhio all’esperienza delle Stanze Vaticane per la complessità decorativa.
Le ultime opere di Michelangelo rappresentano il modello di riferimento di una serie di artisti, come Daniele da Volterra.
Nella Deposizione della cappella Orsini in Trinità dei Monti del 1541, se Perino è il riferimento pittorico primario, l’impronta drammatizzante e dinamica della composizione richiama il Michelangelo del Giudizio universale, appena terminato.
Ma la presenza del papato, sempre più risoluto nel contrapporsi all’eresia nordeuropea, segna lo svolgimento della Maniera. Il gusto intellettualistico manierista, infatti, appare sempre più inadatto a trasmettere la nuova aspirazione alla chiarezza espositiva della Chiesa tridentina. Non mancano così esempi di regolarizzazione della Maniera forniti dagli stessi artisti manieristi, come dimostra il confronto tra la Flagellazione (1573) di Federico Zuccari nell’oratorio del Gonfalone e la contigua Resurrezione (1557 ca.) di Marco dal Pino, o ancora con la celebre Deposizione (1560 ca.) di Daniele da Volterra in Santa Maria dell’Anima. Semplificare pare essere la nuova parola d’ordine, senza dimenticare come certe accentuazioni possano venire "deviate" verso fini drammatizzanti, come nel caso di Daniele da Volterra.
Questo fenomeno abbastanza ampio – legato ad artisti quali Girolamo Muziano e Scipione Pulzone – riguarda però più ambiti sacri pubblici che scelte private: il cardinale Alessandro Farnese, ad esempio, importante committente per gli austeri Gesuiti, è fautore di opere profane tese all’esaltazione del proprio casato (come gli affreschi di Taddeo e Federico Zuccari in Palazzo Farnese a Caprarola).
Il tramonto della Maniera
Le cause del graduale tramonto del manierismo internazionale sono essenzialmente due. Sicuramente importante è la svolta della Chiesa cattolica in materia artistica che, a queste date, resta il maggiore ambito di committenza; si tratta di un mutamento che è ben misurabile anche nella trattatistica contemporanea. Ma un altro importante motivo che contribuisce al tramonto manierista è rappresentato da fattori interni al campo artistico, e in particolar modo le innovazioni introdotte da alcuni artisti.
Federico Barocci rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per comprendere l’evoluzione artistica del manierismo. Il sostrato manierista è senz’altro presente nella sua formazione, rafforzata dal breve soggiorno romano e dai contatti con Taddeo e Federico Zuccari, ma la vocazione raffaellesca si stempera presto in una vivace ricerca espressiva coniugata a delicati effetti di colore e di sfumato dalla singolare portata emotiva. Esemplare la Deposizione del duomo di Perugia (1567-1569) che mostra una sostanziale deviazione della grazia manierista in direzioni "affettive", nel senso indicato dai teorici controriformistici.
La scelta di risiedere nel piccolo centro di Urbino non impedisce la diffusione delle opere di Barocci. Il nuovo senso della natura, impostato su una ricerca pittorica libera e morbida, sperimentata e verificata, sembra sempre più congeniale alle richieste di una committenza sensibile alle esortazioni antintellettualistiche e naturalistiche della Chiesa di fine Cinquecento. L’attività di Barocci costituisce così un punto imprescindibile per chi, come i Carracci, si propone di porre la natura al centro del fare artistico, rifiutando le mediazioni manieristiche.