I libri liturgici e la suppellettile
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il passaggio dalla tradizione orale all’uso di libri in ambito liturgico avviene a partire dal VI-VII secolo per una volontà di codificazione e per un probabile abbassamento nel livello d’istruzione del clero; il libro utilizzato dai cristiani ha la nuova struttura del codex, caratterizzato dall’agilità di lettura e consultazione. I testi liturgici medievali si presentano poi ricchi di illustrazioni, a testimoniare materialmente la preziosità della parola divina, ma anche a fare da guida nell’utilizzo del testo all’interno della liturgia. Accanto a questi libri preziosi e curatissimi, compaiono i primi arredi d’altare utilizzati per il culto e la celebrazione, come calici e patene spesso dorati o argentati.
Il cristianesimo affonda le proprie radici nella cultura e nella religione ebraica ed è per questo che sin dalle origini la lettura e, quindi, i libri ricoprono un ruolo primario nella liturgia. Tuttavia dai primi secoli fino al V-VI nella pratica liturgica cristiana domina ancora l’oralità, ovvero non esiste un libro compilato per il celebrante, e la trasmissione dei formulari avviene in gran parte oralmente.
Il passaggio dalla pratica orale all’uso dei libri si verifica in primo luogo per una volontà di codificazione in ambito liturgico, in modo quindi che le preghiere e le letture esprimano l’ortodossia, e poi per un probabile abbassamento nel livello d’istruzione del clero locale, causato, soprattutto a partire dal VI-VII secolo, dal momento storico decisamente travagliato. Da qui l’esigenza di creare una serie di testi che raggruppino in modo corretto le letture, le preghiere e gli usi liturgici propri del celebrante, sia nella versione per il pontefice, sia in quella per le parrocchie suburbicarie. Il libro utilizzato dai cristiani si presenta nella nuova struttura del codex, che soppianta le antiche tavolette o i rotuli di papiro, in virtù di una maggiore agilità nella lettura e nella consultazione. Il codice è infatti formato da fascicoli di pergamena, cuciti e poi legati a una copertura, con un risultato molto simile al nostro libro a stampa. La pergamena, molto più resistente e di facile approvvigionamento rispetto alla pianta di papiro, si ricava da un’accurata lavorazione della pelle degli ovini, che, attraverso rasature, bagni di calce, alternati a risciacqui in acqua fresca, e asciugature, viene liberata del pelo e dei residui di carne. Levigata la pelle con la pietra pomice e asciugata dall’untuosità, un ulteriore passaggio può essere costituito dalla tintura dei fogli, spesso con la porpora o con lo zafferano.
Dopo la rigatura, i fogli sono pronti per ospitare la scrittura del testo, che di norma precede la decorazione, lasciando in bianco lo spazio per l’immagine. Questa si concretizza attraverso la realizzazione di un disegno preparatorio tracciato a punta metallica, l’applicazione, ove previsto, della foglia d’oro, e infine la stesura del colore. Spesso infatti i testi liturgici medievali appaiono ricchi di illustrazioni, in virtù di un’eredità lasciata loro dal libro antico. L’inserimento di immagini, favorito sicuramente anche dalla richiesta di alcuni committenti di codici di lusso, nonché dalla volontà di testimoniare materialmente la preziosità della parola divina, a volte può essere legato anche allo svolgimento del rituale liturgico. Nel Pentateuco Ashburnham (Parigi, Bibliothèque Nationale, Nouv. Acq. Lat. 2334), già assegnato all’Africa del Nord o alla Spagna e oggi ricondotto alla Roma di papa Gregorio Magno, si troverebbero, secondo alcuni studiosi, le tracce di un utilizzo per letture rituali. Non solo infatti un dettagliato elenco dei capitula fornisce una preziosa indicazione per il reperimento delle singole letture, ma le scene dell’Esodo rappresenterebbero le cerimonie del ciclo pasquale, a riprova che principalmente l’immagine doveva avere un ruolo guida nell’utilizzo del testo all’interno della liturgia religiosa.
La lettura, facendo parte delle tre azioni essenziali della liturgia insieme alla preghiera e al canto, compare molto presto nelle pratiche liturgiche del cristianesimo e fin dalle origini a essere letta è soprattutto la Bibbia, secondo il principio della lectio continua. Già a partire dal II secolo si diffonde, tuttavia, l’usanza di scegliere i passi della Bibbia da leggere in relazione al tema e al senso della festa o del momento liturgico che si viveva. Soprattutto nei primi secoli poi si lascia ampio spazio all’improvvisazione del celebrante, mentre nel Medioevo il numero e il tipo di letture variano a seconda dell’adozione del rito romano, che prevedeva un sistema a due letture (Vangeli ed Epistole), o di altri riti latini occidentali, nei quali era uso leggere anche l’Antico Testamento.
Per ornare i libri delle Scritture i cristiani fanno proprio il sistema di decorazione libraria del mondo antico, con in apertura il ritratto dell’autore del testo – che, nel caso dei libri sacri, può diventare un evangelista o un profeta – la decorazione dei titoli e infine una serie di immagini a carattere narrativo, disposte in sequenza o all’interno della pagina scritta. È chiaro che la mole di testi contenuti nell’intera Bibbia genera non poche difficoltà sul piano illustrativo; così, quando non si è scelto di realizzare e miniare un solo libro (Genesi, Esodo, Vangeli o Apocalisse per esempio), sono state adottate diverse soluzioni per ornare una Bibbia intera: il solo ritratto degli autori dei vari libri e un assai ristretto numero di cicli narrativi, l’inserimento del solo frontespizio miniato in corrispondenza delle più importanti suddivisioni testuali oppure, nei casi più ricchi, l’inclusione della scena dedicatoria, delle iniziali miniate e dei frontespizi al principio dei passi di maggior rilievo.
Un ampliamento nella illustrazione delle Bibbie complete si conosce in età carolingia, come mostra, con le sue 24 miniature a pagina intera, La Bibbia di Carlo il Calvo, conservata nella chiesa romana di San Paolo fuori le Mura e così chiamata perché portata a Roma per l’incoronazione del sovrano e in quell’occasione donata a papa Giovanni VIII.
Anche per i Vangeli, una delle letture più importanti nella liturgia cristiana, il sistema illustrativo si presenta variegato. Per esigenze di chiarezza i Vangeli furono introdotti dall’immagine delle Tavole delle Concordanze, elaborate da Eusebio di Cesarea ma sopravvissute solo a partire da codici del VI secolo. Le Tavole, organizzate figurativamente in una griglia architettonica a colonne, permettevano di visualizzare rapidamente un rimando tra i testi degli evangelisti. Quello che del racconto evangelico destava allora più preoccupazione erano, infatti, le evidenti divergenze fra le quattro narrazioni, che avevano portato a numerosi sforzi di armonizzazione, di cui il più noto è indubbiamente il Diatessaron di Taziano, che nel 170 tenta di dar vita a un racconto unitario. Ciascun Vangelo poteva poi presentare una pagina con il ritratto del suo estensore, oppure un unico foglio con i ritratti di tutti gli evangelisti.
Gli episodi della vita di Cristo potevano invece essere disposti lungo il testo, dislocati all’inizio del singolo Vangelo o posti in sequenza a introduzione dell’intero manoscritto; quest’ultima soluzione, presente soprattutto nei codici del VI secolo, permetteva peraltro di superare il problema pratico della ripetizione degli stessi episodi nei quattro Vangeli, fornendo inoltre un corrispettivo visivo del concetto di armonia e concordanza fra le parole degli evangelisti. Le scelte iconografiche delle scene neotestamentarie da rappresentare paiono incentrate principalmente sul racconto della vita pubblica e della dottrina di Cristo, con particolare attenzione ai miracoli e alle parabole.
Una notevole diffusione ha nel Medioevo anche il libro che raccoglie i 150 Salmi dell’Antico Testamento recitati nella liturgia cristiana delle Ore, il salterio, che prende il nome dal noto strumento musicale a corde. I Salmi sono infatti inni cantati in lode della divinità, tradizionalmente attribuiti a re Davide e ai musici della sua corte, che spesso compaiono nelle illustrazioni di questi codici. Il successo del salterio nella cultura medievale, decretato senza dubbio dall’interpretazione di Davide come prefigurazione di Cristo, è evidenziata anche dalla particolare ricchezza decorativa di questi libri. Il salterio può avere infatti un’impostazione illustrativa di tipo storico-biografico, in cui Davide è protagonista delle scene dipinte, o di tipo letterale, dove a essere illustrate sono le parole narrate nel salmo, oppure di tipo cristologico, in cui la decorazione si incentra invece sugli episodi della vita di Gesù. Strettamente legati alla funzionalità della pratica liturgica sono l’evangeliario e l’epistolario, che scandiscono il sistema di letture della messa in quasi tutto l’Occidente medievale. L’evangeliario, prima di divenire un libro liturgico in senso stretto, nasce come una raccolta di particolari pericopi evangeliche, ovvero una sorta di lista con l’indicazione dei passi da ricercare nei manoscritti della Bibbia o dei Vangeli e da leggersi in relazione ai giorni dell’anno liturgico. Come entità codicologica vera e propria l’evangeliario fa infatti la sua comparsa solo dalla fine dell’VIII secolo. Accanto a questo si pone l’epistolario, il libro che contiene le lettere degli apostoli, tratte dal Nuovo Testamento e lette durante la celebrazione secondo la suddivisione dell’anno liturgico.
Nello svolgimento della messa, dell’ufficio e nell’amministrazione dei sacramenti, i ministri del culto avevano bisogno di libri corrispondenti alle diverse azioni rituali. Nel corso dell’alto Medioevo il libro basilare per la celebrazione della messa è il sacramentario.
Come abbiamo detto, l’esigenza di uno svolgimento ortodosso della liturgia e un forte abbassamento del livello culturale del clero rendono necessaria la compilazione di un prontuario contenente l’insieme delle orazioni per ciascun giorno dell’anno liturgico. Tra il VI e l’VIII secolo vedono la luce le due principali famiglie di sacramentario: il gelasiano, da papa Gelasio I, di tipo presbiteriale in uso nelle parrocchie romane, e il gregoriano, legato al nome di Gregorio Magno e riservato alle celebrazioni del pontefice a Roma. Durante il IX secolo Carlo Magno impone nella gran parte dell’Occidente un’edizione del sacramentario, che si vuole esemplata sul modello gregoriano, con un testo maggiormente enfatizzato e più ricco di illustrazioni. Per permettere invece l’amministrazione dei sacramenti e lo svolgimento degli altri atti liturgici, gli officianti erano dotati di libri descrittivi, gli ordines, una raccolta di direttive sullo sviluppo dei vari tipi di celebrazione (papale, vescovile, parrocchiale, monastica) e dei diversi rituali (battesimo, eucaristia, esequie). Gli ordines, che costituiscono per noi una fonte inesauribile di informazioni non solo sulla liturgia, ma anche sulle suppellettili, le vesti e gli arredi delle chiese, sono detti romani per la loro origine, sebbene ben presto si siano diffusi in gran parte dell’Europa. Oltre alla preghiera e alla lettura, parte viva e integrante della celebrazione è il canto.
Per questo nel Medioevo viene redatto l’antifonario, il cui nome deriva dall’antifona, ovvero il testo cantato, con lo scopo di raccogliere proprio i testi da cantare sia durante la messa sia durante le varie ore del giorno. I canti sono eseguiti, sotto la direzione di un maestro, dalla schola cantorum, ossia dai cantori, che nel Medioevo trovano posto nel recinto sito nel cuore della navata centrale della chiesa e che da loro prende il nome di coro o proprio di schola cantorum. Tra i testi riservati al canto, un ruolo molto importante è ricoperto nell’Italia meridionale dal libro dell’Exultet, termine che corrisponde alla prima parola del canto liturgico che, dall’alto del pulpito, viene intonato durante la cerimonia del Sabato Santo. Tale canto annuncia ai fedeli il mistero della Resurrezione e per esteso è passato a indicare i rotuli su cui il testo del canto veniva scritto. Per gli Exultet siamo infatti di fronte a dei veri e propri rotuli, come nell’antichità; la scelta di questa particolare forma libraria, rara nel Medioevo, si spiega con la necessità del diacono di dover svolgere in sequenza i fogli del testo contemporaneamente alle parole del canto, in modo che il tutto fosse visibile ai fedeli; in tal senso si chiarisce anche la disposizione verticale nel rotulo delle immagini e delle scritte, contrariamente all’antichità: ci sarebbe voluto davvero un miracolo perché un diacono riuscisse ad aprire da solo un rotulus orizzontale di almeno 2,5 metri! Un posto tra i libri liturgici spetta anche all’omeliario, contenente un sermone sacro, tenuto durante la messa da un vescovo o da un prelato.
La sacralità della Bibbia e dei testi liturgici, quindi della scrittura che li rende fruibili, genera un vero e proprio culto del libro sacro che si esplica in primo luogo nelle legature in materiale di pregio, veri e propri scrigni di un oggetto prezioso. Come doveva presentarsi nel Medioevo una legatura, ossia le tavole lignee ricoperte da lamine metalliche, smalti, avori che rivestivano il libro a mo’ di copertina, lo si vede in numerose pitture, come nell’icona sinaitica con il Cristo che tiene in mano un testo riccamente rilegato. Nella prima età altomedievale queste legature mostrano un’ornamentazione astratta, incentrata principalmente sul segno-simbolo, come si vede nella copertura per evangeliario legata al nome della regina longobarda Teodolinda; soprattutto dall’età carolingia si opta invece più volentieri per una decorazione figurata, dove spesso viene ricercata una corrispondenza con il contenuto del testo: ne sono esempi mirabili la coperta eburnea del Salterio di Dagulfo (Parigi, Louvre), con episodi della vita di Davide, tradizionale autore dei Salmi, e la legatura del Codex Aureus di Carlo il Calvo (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek) in lamine d’oro lavorate a sbalzo e pietre preziose, con le figure dei quattro evangelisti che alludono al Vangelo in essa contenuto.
In caso di codici particolarmente importanti e lussuosi il testo poteva essere scritto in oro e argento su pergamena tinta in porpora: sin dall’antichità, infatti, l’uso della porpora si lega alle classi sociali più elevate per le intrinseche valenze simboliche del colore e, soprattutto, a causa del suo notevole costo; la porpora si ricava infatti solo da particolari molluschi, di cui il più “prezioso” era il murex. Tra i codici purpurei più noti si segnalano il Genesi di Vienna (Nationalbibliothek, ms. Theol. Gr. 31), i Vangeli di Rossano, entrambi del VI secolo, e i Vangeli dell’Incoronazione (Vienna, Weltliche Schatzkammer, s.n.), di epoca carolingia.
Accanto ai libri liturgici, sin dall’epoca di Costantino, compaiono i primi arredi d’altare necessari all’uso cultuale e alla celebrazione eucaristica. Si tratta principalmente di calici e patene, ai quali viene subito accordata un’importanza di natura sacrale e simbolica con il ricorso all’uso dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose.
Nell’alto Medioevo spesso questi vasa sacra non sono caratterizzati da alcun segno esplicito della loro destinazione cultuale, come il calice tradizionalmente legato al nome del consigliere del re franco Dagoberto, Eloi, con un decoro a cabochons e cloisonné o il calice in avorio, di età carolingia, di Deventer, dalla decorazione esclusivamente vegetale. All’occasione non mancano tuttavia oggetti con incisi una croce o altri simboli cristiani oppure con un ricco programma iconografico cristiano, come il celebre calice donato verso il 777 dal duca di Baviera Tassilone all’abbazia di Kremsmünster. È soprattutto per l’Oriente però che si sono conservati pezzi di questo genere, mentre calici e patene in uso in Occidente non conoscono una vera e propria fioritura iconografica prima del pieno XII secolo.
Tra i vasa sacra si possono includere pure i vari tipi di ricettacolo destinati alla conservazione dell’ostia, anch’essi in materiale pregiato; è assai probabile che molte pissidi in avorio del V-VI secolo, soprattutto quelle con scene cristologiche, avessero questa funzione. I reliquiari, per quanto precocemente ammessi sopra l’altare, non fanno parte del culto eucaristico vero e proprio, ma evidenziano un diffuso bisogno di sacro che è presente nella società medievale. Inizialmente le reliquie sono collegate all’altare, ma quando dal VII-VIII secolo in poi si diffonde per la loro conservazione l’uso delle cripte sotto la chiesa, i reliquiari che le devono contenere conoscono un notevole incremento. L’esaltazione delle spoglie avviene a questo punto anche attraverso l’oggetto che le contiene, che si caratterizza quindi per la ricchezza del materiale e per la varietà delle forme: si va dai reliquiari a borsa, a cassa, a encolpio fino ai sarcofagi in pietra. Diffuso è anche il caso in cui oggetti nati con un altro scopo vengano nel Medioevo adattati a contenitori per reliquie. Questo fatto risulta particolarmente interessante soprattutto quando vengono riutilizzati oggetti di uso profano, come le ampolle in cristallo di rocca di fabbricazione fatimide, le cassette bizantine in avorio e osso oppure tessuti orientali. Non tutti i reliquiari sono sistematicamente associati a un altare e alcuni di essi nel Medioevo vengono custoditi in un locale specifico della chiesa, la sacrestia, o nel cosiddetto “tesoro”.
Profondamente radicata nella suppellettile liturgica medievale è anche la croce, quel segno che Costantino da marchio d’infamia ha elevato a simbolo di vittoria. Ciò è particolarmente evidente in una tipologia: la croce, lavorata in materiale prezioso e gemme, abbinata a una ricca corona, diffusa in età tardoantica e altomedievale, di cui si conservano splendidi esempi nella Spagna visigotica, come la corona di re Recesvindo conservata a Madrid, nel Museo Archeologico. Questo composito oggetto veniva di norma appeso come addobbo trionfale, nei pressi dell’altare, allo scopo di catturare in modo aulico con la sua luminosità e i suoi leggeri suoni l’attenzione dei fedeli. Sono poi presenti anche le croci mobili, ora portate in processione ora fissate all’altare per mezzo di un’asta, riccamente decorate con materiale prezioso e scene sacre. Già dai donativi fatti da Costantino alle prime basiliche cristiane ed elencati nel Liber Pontificalis, non sfugge il ruolo rivestito nella suppellettile sacra da lampadari, candelieri e incensieri; i primi legati alla valenza simbolica della luce, i secondi chiamati a rappresentare il corpo del Signore, mentre l’incenso corrisponde alla sua divinità e il fuoco che lo consuma allo Spirito Santo. Già nei secoli altomedievali il turibolo, bruciando e diffondendo l’incenso, permeava grazie agli effluvi di un senso mistico la celebrazione eucaristica.