I'J. nella Commedia
La struttura dell'I. di D. deve necessariamente essere considerata come parte di tutto il complesso della Commedia, complesso al quale le varie cantiche sono anzi legate con un'aderenza quale raramente esiste fra le parti di ampie opere letterarie: la coerenza è chiarissima sia per le assai numerose rispondenze numeriche e simboliche (v. COMMEDIA; NUMERO); sia per le corrispondenze nella struttura morale, esistendo analogie evidenti nelle tre cantiche, e soprattutto nelle due prime, anche se non assolutamente e rigidamente precise, nella distribuzione dei peccati e delle relative pene; sia infine per talune coincidenze espressive (si pensi alle parole terminali delle stesse tre cantiche). Sono corrispondenze strutturali che nascono dal carattere fortemente coerente della mente di D., sviluppate comunque dalla chiara accettazione, da parte di lui, di una diffusa tradizione culturale-letteraria medievale tendente a stringere il molteplice nell'unità. Dal noto intento generale che presiedette alla creazione del poema, la volontà di esprimere un grande messaggio morale (è possibile al singolo individuo, e all'umanità tutta, conseguire la salvezza mediante la conquista del libero arbitrio da attuare attraverso una rimeditazione di tutti i grandi temi umani, che sono infatti volutamente adunati nella Commedia), necessariamente derivano alcuni caratteri generali della struttura dell'I. (come delle altre cantiche): la grandiosità, proporzionata alla grandiosità, del tema generale e degl'infiniti temi particolari, che nell'I. si affollano; la concretezza che rende la materia comprensibile ai molti, propria anch'essa di tutto il poema, ma nell'I. particolarmente tangibile, insita anche nella stessa natura dell'allegoria, che, astratta nelle sue posizioni di partenza, approda essa stessa poi a quello che è stato definito un particolare tipo, medievale, di tendenza al concreto (derivante anche da un carattere della mente dello scrittore, la precisione, che genera una capacità di controllo, maturata sui classici letti, non numerosi ma profondamente meditati). Da questa precisione nasce, costituendo un elemento essenziale della struttura minuta del poema, la quasi sempre esatta indicazione del luogo (anche per il desiderio di dare verosimiglianza al meraviglioso non di rado, nell'I., singolarmente abnorme o fiabesco, mediante una minuziosa realizzazione dei particolari) e l'indicazione altrettanto esatta dei modi dell'azione, descritti anch'essi con precisione nella loro successione cronologica.
La struttura morale dell'I. prende forma, all'inizio della cantica, da due particolari e personali tendenze dello spirito del poeta: la sua insofferenza per gl'ignavi, per coloro che non presero una posizione nella vita, atteggiamento che l'induce a creare una particolare schiera di dannati e a collocarla, con durissima punizione, in un doloroso vestibolo, e la volontà (se non si voglia parlare di esitazione alla condanna) di lasciare, nell'interno del Limbo destinato ai non battezzati, un malinconico ma queto posto di onore agli spiriti che furono grandi pur se non conobbero Cristo, in particolare a quelli che promossero la letteratura e la cultura, o che da essa furono resi famosi. Se si escludono queste due categorie, la struttura morale complessiva si conforma essenzialmente alla partizione tra peccati d'incontinenza (eccesso nell'aderire a istinti in sé naturali come l'amore carnale, la gola, il desiderio di ricchezza, il risentimento, il desiderio di beni materiali) e peccati di malizia, comportanti la volontà di un'azione intesa a danneggiare gli altri (violenza e frode); partizione che D. deriva dall'Ethica Nicomachea di Aristotele (VII 1), di recente commentata e accettata, quando fu scritta la Commedia, da Tommaso d'Aquino: opera, quella di Aristotele, in cui il filosofo tratta ampiamente, secondo quanto lo stesso D. indica nel canto XI (v. 81) dell'I., fondamentale appunto per comprendere la struttura morale della cantica, di tre essenziali atteggiamenti peccaminosi: " circa mores fugiendorum tres sunt species: malitia, incontinentia et bestialitas ".
Si discute se D. abbia conformato con assoluta precisione la struttura morale dell'I. a siffatta distinzione (in questo caso dovrebbe trovar luogo anche la ‛ matta bestialità ' che corrisponderebbe o all'eresia o alla violenza), o se abbia attuata una sua trasformazione semplificata col ridurre la divisione da triplice a duplice (peccati d'incontinenza e peccati di malizia): ipotesi quest'ultima che si raccomanda per il fatto che la violenza sembra inclusa chiaramente nel peccato di malizia, e per la circostanza che D. attribuisce l'epiteto di ‛ bestiale ' a molti peccati. Circa la struttura morale del basso I., ove sono appunto contenuti i peccati di malizia (violenza e frode), essa si fonda sull'ulteriore distinzione della malizia che ha per fine l'ingiustizia (iniuria) in iniuria fatta con la violenza e iniuria fatta con la frode, più grave quest'ultima perché messa in atto dall'uomo servendosi della particolare prerogativa costituita dalla ragione, secondo quanto D. trovava affermato da Cicerone nel De 0fficiis (I XIII 41 " cum autem duobus modis, idest aut vi aut fraude fiat iniuria, fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur; utrumque homine alienissimum, sed fraus odio digna maiore "), concetto d'altra parte ripreso anche nel Corpus Iuris (Inst. IV IV 2).
All'interno di questa più complessa costruzione, il collocamento strutturale è determinato dal criterio generale che induce a punire il peccato con tanta maggiore durezza quanto più forte era il vincolo di amore verso la persona contro cui si è compiuta la iniuria: e la gradazione sembra qui spesso derivare da personali scelte di D. non sempre con critica sicurezza motivabili. Naturalmente, oltre e più che da fonti esterne, questa struttura morale è determinata nel suo nucleo essenziale da una convinzione di D. che ha altra manifestazione nelle sue opere, e nelle altre parti del poema stesso, sul principio cioè che l'amore verso il prossimo sia da considerare come nucleo essenziale della morale cristiana, e quindi come unico valido criterio di giudizio, mentre vi si rivelano altre tendenze certamente personali come la convinzione di una minore gravità delle colpe che siano state compiute seguendo, sia pure con erronea misura, gl'istinti naturali, una particolare repulsione verso i traditori, comprensibile in un combattente apertissimo quale fu D., ecc. La struttura topografica dell'I. si lega per molte vie alla struttura morale, perché spesso immaginata in relazione alle pene (si veda, per un esempio tipico, il lago di sangue destinato ai violenti spargitori di sangue), legate a loro volta, nella propria forma, al genere di peccato commesso attraverso il principio del contrapasso.
Al sommo dell'I. vi è una selva, simbolicamente collocata, come tutta la dolorosa valle di abisso, sotto Gerusalemme, città che si trova, a sua volta, al centro dell'emisfero abitato - quello boreale - della terra, ferma essa stessa al centro dell'universo: sul medesimo asse, a nuova dimostrazione simbolica di coerenza, dall'altra parte del globo, è collocato, per il forte desiderio dantesco di rappresentare un rigoroso ordine provvidenziale attuato nel cosmo fisico com'è da attuare nel cosmo morale, il Purgatorio, e nell'alto dei cieli l'Empireo. L'abisso infernale, a forma di cono, giunge fino al centro del globo, ove un cunicolo conduce al Purgatorio, immaginato come montagna collocata agli antipodi, in mezzo alle acque che empiono l'altra metà dell'emisfero. La coerenza della struttura complessiva, per la quale anche sotto questo aspetto è impossibile considerare isolatamente la struttura di ciascuna delle parti, viene rafforzata dal fatto che la montagna del Purgatorio è formata dalla terra un tempo presente nella voragine dell'Inferno, fuggita dal contatto con Lucifero, il quale, precipitando dai cieli per punizione della sua superbia, ha scavato la voragine infernale: con l'inizio del male - questo l'intimo significato - la Provvidenza avendo fatto coincidere la possibilità del bene. Accanto alla selva in cui D. si smarrisce s'innalza un colle luminoso: ma D. non riesce ad attingerlo, come ci narra animando il racconto con la descrizione della drammatica alternativa di speranze e di scoramento.
La struttura topografica dell'I., con i personaggi di cui è popolato (si veda la voce COMMEDIA), assume elementi, più che da qualunque altra fonte, dal canto VI dell'Eneide (di qui la livida palude dell'Acheronte, Caronte, il prato verdeggiante su cui sono gli uomini illustri, Minosse giudice sull'ampia soglia dell'I., Cerbero, il gesto di Virgilio che placa il mostro con un pugno di terra, le ombre che volgono i pesi, l'attiguità con lo Stige della città di Dite, le Erinni, il tramonto all'inizio del viaggio, l'impossibile evasione dagl'Inferi, il Flegetonte, Gerione) oltre che da altri canti dello stesso poema (di qui quasi certamente il personaggio di Pirro, la fantasia degli alberi che contengono anime, Cocito). A parte l'adattamento costante della costruzione pagana di Virgilio allo spirito cristiano e alle nuove esigenze teologiche, numerosissimi rimangono gli elementi della costruzione che hanno fonte non virgiliana: tra i principali, la selva, realizzazione della metafora già usata da D. in Cv IV XXIV 12, ove si parlava di selva erronea di questa vita, prescindendo dall'analoga selva che figurava sul principio del Tesoretto di Brunetto Latini; il colle il cui accesso vien negato dalle tre fiere, derivante dalla Bibbia (lerem. 5, 6); il sole, considerato simbolo di Dio (pseudo Dionisio De divini: nominibus), con simbologia ripresa in Cv III XII 7-8; i due Limbi son tratti dai testi dei teologi scolastici, e l'idea della contiguità di essi all'I, da Tommaso (Sum. theol. III suppl. 59 1-6). Tuttavia, se non è difficile scoprire quali siano le fonti di alcuni elementi della struttura, soprattutto nella parte iniziale (successivamente essa acquista maggiore indipendenza dalla tradizione), è da dire che il complesso di essa rappresenta opera assolutamente originale di Dante.
Quanto alla struttura narrativa, l'osservazione del testo della cantica dimostra che essa si conforma, chiaramente, nell'I., eminentemente ai principi del contrasto, della variazione di toni e di contenuti, della rapidità espressiva, del continuo movimento di azione, con uno scopo assiduamente perseguito, quello di realizzare un costante incatenamento dell'attenzione del vasto numero di lettori al quale D., proprio per gli scopi ideologici, didascalici, capaci di riformare la vita concreta, che lo muovono, si rivolge, soprattutto nella prima cantica (nella seconda non mancano parti di più ardua comprensione, che implicitamente escludono una parte di quel pubblico, e nella terza si farà addirittura una specifica riserva nei confronti dei lettori meno colti). Le rappresentazioni di fatti umani in chiave psicologica, che hanno la loro occasione più frequente, e di gran lunga più nota e maggiormente recepibile, nella forma dell'incontro seguito da un denso colloquio o da un intenso racconto; le descrizioni egualmente recepibili dei luoghi (le strutture topografiche divengono infatti quasi sempre paesaggio, fortemente investite come sono dal sentimento del poeta e coordinate allo spirito dei due pellegrini e dei dannati), dalla paurosa selva oscura al verde queto smalto del Limbo, all'esasperata tempesta dei lussuriosi, i racconti dei passaggi dall'una all'altra parte dell'Inferno, assai spesso - sempre per variare la struttura e farne parte di un'animata narrazione - drammatizzati e resi diversi l'uno dall'altro, dal misterioso passaggio dell'Acheronte al singolare traghetto dello Stige, all'aereo volo su Gerione, vengono variamente inframezzati da colloqui fra D. e Virgilio di tono alcune volte affettivo e altre volte didascalico, da rapidi scambi di parole fra D. e i dannati, fra Virgilio i dannati e i demoni, da profezie (di carattere universale come quella sul Veltro, o apparentemente personali come quelle sull'esilio), da invettive di D. incentrate su alcuni essenziali e ritornanti problemi ideologici, politici e morali insistenti nella sua mente, da confidenze del poeta al lettore, da esortazioni o riflessioni di lui sulla stessa tecnica stilistica usata, da richiami al lettore perché sia particolarmente attento al significato simbolico delle cose dette, da chiari commenti morali coordinati alla narrazione, da divagazioni esplicative o narrative (come quella sulla Fortuna o sul giudizio universale): tutti procedimenti che attenuano o eliminano quasi sempre la possibile opacità della struttura che regge il complesso.
La considerazione critica della struttura dell'I. come di tutta la Commedia, e il giudizio su di essa sono apparsi, in forma maggiormente o meno consapevole di sé, lungo tutto l'arco della critica dantesca. Il Tre e il Quattrocento col metter innanzi l'idea di un D. grande letterato in ogni scienza (G. Villani), dottissimo in tutte le cose umane e divine, esaltarono in sostanza (C. Salutati) nella Commedia la struttura morale, il carattere di ‛ summa ' grandiosa. Nella stessa epoca, sia l'interesse profondo (anche se scarsa era la consapevolezza) alla trama narrativa, sia appunto l'idea che il significato morale, religioso e simbolico (complessivo) costituisse elemento preminente, contribuirono a generare le ‛ dichiarazioni ' e i compendi, in sostanza attenti alla struttura fondamentalmente morale, e di riflesso topografica e narrativa, due dei quali specificamente interessanti: l'Inferno (Divisione sopra l'Inferno, 1322 c.) di Iacopo Alighieri e, particolarmente importante, la Dichiarazione poetica dell'Inferno di Guido da Pisa (1330), oltre a quelle sulla Commedia, o su gran parte di essa, di Bosone da Gubbio, Mino d'Arezzo, Cecco degli Ugurgeri, Giacomo Gradenigo, Simone Serdini. Un interesse più preciso, d'indole scientifico-matematica, coerente appunto con i nuovi interessi scientifici, regge nel secondo Quattrocento gli studi sulla struttura topografica dell'I. di Antonio Manetti, ripresi da Girolamo Benivieni nel dialogo Circa el sito forme et misure dello Inferno di D.A. poeta excellentissimo (1506) e nelle lezioni Intorno la figura sito e grandezza dell'Inferno di D. del Galilei (1587). Le nuove discussioni sul problema se la Commedia fosse poema o commedia, a qual genere insomma appartenesse, e qual grado di unità, e di verosimiglianza ecc. presentasse riportano nel tardo Cinquecento in modo diverso l'attenzione sulla struttura generale (Tasso, Salviati, Castrovilla, Bulgarini, Mazzoni, ecc.): mentre Tommaso Campanella riconduceva alla forza dello spirito dantesco l'unità significante della struttura, sicché le più varie scienze in un conflate sembrano " unum esse ". Proprio certi particolari della struttura sono il bersaglio di un filone della critica settecentesca, che vi trova stravaganze e oscurità (Bettinelli, Baretti ma anche Muratori, Crescimbeni che pure è ammiratore di D. scienziato, Cesarotti e altri), mentre un altro gruppo di critici (Conti, Gravina e taluni francesi) ammira la varietà del poema, e ritorna a esaltare in D. colui che concepì l'alto disegno di descrivere tutto l'universo. Ma per suo conto il Vico, esaltando le parti fantastiche e quindi poetiche della Commedia, indirettamente deprimeva la parte culturale che alimentava la struttura, fondando così, anche per questo aspetto, un motivo che sarà poi romantico, e soprattutto del De Sanctis, il quale parla di un " mondo intenzionale " da cui è nata la costruzione poetica negli episodi, ma cerebrale in sé (benché il critico accenni qua e là a una seconda tesi, secondo la quale la filosofia-teologia è da D. così vivamente vissuta e fatta sua da perdere la sua astrattezza). D'altra parte Hegel, il suo antico maestro, e lo Schelling avevano dato gran peso alla struttura, in quanto esprimeva la ‛ totalità ' della vita, e con questo un momento della storia, quello medievale. Nello stesso tempo, alla struttura, o a gran parte dei suoi elementi - in quanto portatori del segreto significato allegorico -, guardarono addirittura come a fatto essenziale Gabriele Rossetti e i suoi seguaci, che videro in certe espressioni simboliche e gergali (o ritenute tali) la prova dell'appartenenza di D. a sette ereticali anticuriali e laicistiche, secondo una tesi che si era affacciata per effetto del nuovo impegno ideologico-politico, nelle pagine del Foscolo, e dopo varie manifestazioni nell'Ottocento, proseguì per effetto di una poetica simbolistica col Pascoli, il quale compì un raffronto significante con la struttura dell'Eneide, e con Luigi Valli. Nel frattempo, la scuola storica o positivistica aveva volto la sua attenzione alla struttura, nell'ambito del suo interesse a ‛ fatti ' concreti (come quelli topografici o astronomici) indagando sull'origine storico-letteraria di molte forme strutturali, ciò che fece talvolta con eccessive minuzie. La struttura veniva invece fortemente chiamata in causa e nello stesso tempo riceveva la massima attenzione in occasione del saggio del Croce (erede con forte rinnovamento non solo del De Sanctis ma di molti romantici, ad esempio del Bouterweck che riteneva l'opera di D. " una galleria di opere con cornice grottesca "): saggio che aveva la sua formula centrale proprio nella distinzione tra poesia e struttura o romanzo teologico determinato da intento didascalico, definendo il poema, con celebre espressione, fabbrica robusta, ma grezza, rivestita da fronde e fiori, e in quanto tale capace di legare i due elementi che trovano unità nello spirito di D. e che non vanno - egli avvertì - materializzati e considerati come criteri valutativi. Considerando tuttavia il giudizio crociano, in complesso, tale da rompere l'unità che si avvertiva dai più nel poema, il moto della critica avvenne nel senso di dimostrare l'intima fusione della struttura con la poesia sia nel senso di veder la struttura come naturale espressione di un'anima " vasta e multiforme " che non può esprimersi che in una " gran mole immaginata " (Arangio Ruiz), sia nel senso che se ne indicò l'ufficio " essenzialmente estetico " (Vossler), sia affermando che la struttura non è il precedente della poesia ma è da essa liricamente generata, come " il mondo storico dell'artista in cui lai poesia si spiega " (Russo); mentre il Momigliano volse la sua attenzione, nella struttura, soprattutto al paesaggio, sentendolo come riverbero dello stato d'animo, di tale importanza che senza di esso non esisterebbe la Commedia.
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