Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La prosa latina umanistica recupera i generi letterari antichi e li rilancia nel segno di un’imitazione dei classici il più possibile fedele ai modelli. Ma oltre all’adesione all’eredità classica, intento degli umanisti è l’utilizzo della tradizione antica, attualizzata all’interno delle nuove forme di scrittura, per il rinnovamento dei valori etici e per la creazione di un sistema culturale adeguato alla società contemporanea.
I generi dell’impegno e della riflessione: oratoria, dialogo, trattato
La prosa umanistica acquisisce la fisionomia nuova dell’impegno civile e dell’azione sul campo della vita attiva e pubblica, e tutte le forme di scrittura si rinnovano sull’esempio dei classici nell’intento di riutilizzare l’antico, ricostruito nella sua esatta e integrale verità storica, come chiave di lettura e soluzione di tutti gli aspetti della modernità. Accanto alla storiografia, la tipologia che nella dimensione più distesa e completa risponde all’istanza umanistica di interpretazione e rappresentazione corale del mondo passato e contemporaneo attraverso il filtro della classicità, altri generi destinati alla partecipazione collettiva e già praticati nel Medioevo conquistano nuovo e più ampio spazio. Primo tra questi, l’oratoria civile e sacra, che ha i suoi principali centri di espressione a Firenze e Roma.
Nel capoluogo toscano la coltiva per esempio Leonardo Bruni, soprattutto in volgare ma anche in latino. Con raffinata eloquenza e singolare efficacia espressiva le si dedica a Roma Pio II, al secolo l’umanista Enea Silvio Piccolomini, il cui pezzo più ricordato è l’orazione a favore della crociata antiturca al congresso di Mantova (1459).
Un altro genere di comunicazione deliberativa che acquista rilievo e importanza è il dialogo. Aperto al dibattito sui temi filosofico-morali e culturali più cari all’umanesimo, esso può essere “narrativo”, sull’esempio del De Oratore (55 a.C.) di Cicerone, in cui questi conduce il racconto e introduce gli interlocutori, oppure “scenico”, sul modello di Platone e Luciano, ovvero fatto di battute dirette tra i protagonisti non mediate dall’autore. E in forma di dialogo è una delle opere più celebri e significative dell’umanesimo, che in qualche modo inaugura il movimento di rinascita mettendone a nudo il primo principale nodo nevralgico. Nei Dialogi ad Petrum Paulum Histrum (1401-1408) dedicati a Pier Paolo Vergerio, Bruni affida a Coluccio Salutati, Roberto de’ Rossi e Niccolò Niccoli la discussione sul confronto-contrasto tra antica cultura latina e moderna cultura volgare. Ma nel genere si distinguono anche Poggio Bracciolini con i suoi dialoghi sul potere, la nobiltà, la fortuna (De infelicitate principum, 1440; De nobilitate, 1440; De miseria humanae conditionis 1445; De varietate fortunae, 1448); Leon Battista Alberti in molte delle sue Intercoenales (1440); Lorenzo Valla nelle opere sull’epicureismo (De vero falsoque bono, 1430), sulla predestinazione (De libero arbitrio, 1439), sulla superiorità dei laici sui religiosi (De professione religiosorum, 1439-1442). Importanti nella Firenze medicea sono anche le Disputationes Camaldulenses scritte tra il 1472 e il 1473 da Cristoforo Landino, sulla connessione tra filosofia neoplatonica misticheggiante e vita contemplativa e, in età umanistica matura, i dialoghi di argomento morale e letterario del grande esponente dell’umanesimo napoletano Giovanni Pontano.
È tuttavia nella trattatistica che si rinvengono forse le prove migliori offerte dagli umanisti in fatto di prosa. La speculazione attorno ai temi filosofico-morali più sentiti, già avviata in merito ad alcuni argomenti nelle trattazioni proto-umanistiche di Coluccio Salutati, per tutto l’arco del XV secolo continua a trovare nel trattato morale, oltreché nel dialogo, la sede privilegiata. A due celebri trattati dell’umanesimo pieno, il De dignitate et excellentia hominis (1452) di Giannozzo Manetti e il De hominis dignitate (1486-1487) di Giovanni Pico della Mirandola, è consegnato il luminoso ritratto del nuovo uomo umanistico, l’homo faber posto al centro dell’universo e creatore della propria fortuna. Pier Paolo Vergerio con il suo De ingenuis moribus et liberalibus adolescentiae studiis (1400-1402) inaugura la fortunata serie di opere sulla nuova pedagogia basata sugli studia humanitatis. Prosegue Bruni con il De studiis et litteris (1423-1426), vero e proprio manifesto della rinnovata educazione liberale, e dedicano all’argomento trattati di rilievo Maffeo Vegio e Piccolomini. Si scrive anche riguardo alla dialettica tra nobiltà di sangue e di virtù, tema anch’esso assolutamente centrale nel pensiero umanistico, in vari trattati tutti in forma dialogica stesi, per fermarci ai maggiori, dal già citato Bracciolini, da Buonaccorso di Montemagno, da Cristoforo Landino.
Il particolare interesse nutrito dall’umanesimo per la vita civile e personale si estende alla sfera privata della famiglia e del matrimonio e si rispecchia, oltreché in volgare nei grandi Libri della famiglia (1432-1441) di Alberti, anche in opere latine di ben minore respiro e levatura ma assai interessanti quale, per esempio, il De re uxoria (1416) di Francesco Barbaro, riflessione sui criteri di scelta della sposa cui fa eco l’opuscolo del nipote, Ermolao Barbaro detto il Giovane, convinto assertore del celibato come esclusiva condizione propizia agli studi letterari nel De coelibatu (1471-1473). Nella Firenze laurenziana alle grandi questioni filosofiche e religiose poste dal neoplatonismo è dedicata la trattazione filosofico-religiosa di Marsilio Ficino nella monumentale Theologia Platonica (1482) e nel De christiana religione (1474). E nell’ultimo trentennio in ambito meridionale e aragonese tutte le problematiche politico-morali sono riprese e sviluppate con particolare ampiezza, spessore e sistematicità, anche arricchendosi di temi ed elementi nuovi come astrologia, astronomia e mitografia, nelle molte opere di Pontano.
Lo studio e la riflessione finalizzati al recupero sempre più completo e storicamente accertato dei testi antichi trovano spazio in numerosi trattati specialistici, tecnici ed eruditi dedicati a tutte le branche delle scienze linguistico-retoriche e in cui, in modo e a livello diverso, si esprime la filologia degli umanisti. Tra di essi si annoverano opere celeberrime e capitali per la cultura occidentale come il De falso credita et ementita Constantini donatione (1440) di Valla, dove grazie all’esame linguistico del testo si smaschera la falsità del documento che legittimava il potere temporale dei papi sui territori dell’impero romano. In taluni casi a queste trattazioni è attribuita la fisionomia di un genere diverso: la Donazione valliana è per esempio proposta in veste di orazione, ma viene condotta sul filo di una puntigliosa dimostrazione linguistico-filologica. Parimenti la Cornucopia (1489) di Niccolò Perotti si presenta come un commento al testo del poeta Marziale che si evolve in una disquisizione linguistica, filologica e storica e nella raccolta di una miniera di notizie sulla latinità antica. Nella produzione tecnico-specialistica degli umanisti rientrano anche opere dedicate a discipline non letterarie, cui si dedicano i personaggi più versatili come Alberti, autore di scritti matematici (Ludi matematici, 1451-1452; De componendis cifris, 1466) e urbanistici (Descriptio urbis Romae, 1443-1449?), o Piccolomini, animato da precisi interessi geografici (De situ, moribus et conditione Germaniae descriptio, 1457; De Europa, 1458; De Asia, 1461).
Fra Trecento e Quattrocento si assiste a Firenze a una rivoluzione epocale. L’arte da attività “meccanica” diventa disciplina “liberale” connessa con la filosofia e la politica, e gli artisti cominciano a essere considerati e a sentirsi non più artigiani, bensì intellettuali. Da questa trasformazione radicale del ruolo dell’artista prende avvio un’eccezionale fioritura di letteratura, in primo luogo fiorentina e toscana, anzitutto nella direzione della storicizzazione del mestiere artistico, culminata nelle Vite (1549-1550) del Vasari e rappresentata in latino nella Firenze del Quattrocento dai Commentarii (1447-1455) dell’orafo e scultore fiorentino Lorenzo Ghiberti, un trattato di storia della pittura dall’antichità a Giotto, e nell’ambiente aragonese dalle latine Vite dei pittori accolte nel De viris illustribus (1457) di Bartolomeo Facio. Sul versante della teoresi campeggiano naturalmente gli scritti di Alberti: il De pictura (1435), il primo trattato di pittura dell’età moderna; il De re aedificatoria (1452), 12 volumi sull’architettura che guadagnano all’autore l’appellativo di “Vitruvio fiorentino”; il De statua (1435?) sulla scultura.
Gli epistolari e le autobiografie
Sull’esempio degli epistolari petrarcheschi (Familiari, 1351-1366; Senili, 1354-1374) la raccolta di lettere diviene un tassello fondamentale dell’autobiografia culturale e spirituale ideale che gli umanisti sogliono delineare di se stessi e presentare a sodali e corrispondenti. Negli epistolari umanistici, siano essi “libri di lettere” confezionati dagli autori appositamente per la pubblicazione o collezioni spontanee, è evidente l’utilizzo della colloquialità congeniale allo spirito umanistico, e parimenti riversata nei dialoghi, come dimensione ottimale di espressione delle idee, sullo sfondo di un racconto autobiografico reso con gradi molto differenziati di realismo.
La lettera, contraddistinta talora anche da sfoggio stilistico nella direzione dell’imitazione del modello offerto da Cicerone e Seneca, può sconfinare in altri generi (dialogo, trattato, novella), secondo un procedimento di contaminazione che riguarda anche le altre forme della prosa umanistica. Nel caso del forlivese Flavio Biondo un’epistola a Leonardo Bruni è l’occasione per una breve ma fondamentale trattazione di linguistica (De verbis romanae locutionis,1435), in cui si riferisce la famosa discussione tenutasi tra i segretari apostolici di Eugenio IV sulla questione di quale fosse, tra latino e volgare, la lingua parlata nella Roma antica. La memoria degli umanisti si affida poi anche ad altre forme di scrittura autobiografica come i Commentarii rerum memorabilium, quae temporibus suis contigerunt di Pio II, stesi durante il pontificato, o la Vita latina di Alberti (1438).
Produzione encomiastica e polemica
In età umanistica godono di particolare fortuna i generi letterari contigui all’oratoria e a essa affini che sviluppano l’encomio e il biasimo di luoghi, persone ed eventi. Anche a scopo politico si riscopre il panegirico delle città, quale è l’orazione di Bruni per la città di Firenze (Laudatio florentinae urbis, 1403 o 1404), e dei personaggi illustri, sul modello dell’opera di Plutarco e Svetonio (69 ca.-104 ca.). Nel quadro del frequente e duro scontro scientifico, accademico e personale, tra gli umanisti trova giustificazione la vitalità dell’invettiva, cui il soggetto attaccato può rispondere con un testo specificamente difensivo che di volta in volta assume il titolo di antidotum, recriminatio, apologia, defensio. Ha carattere storico-politico il conflitto tra Salutati (Invectiva in Antonium Luschum Vicentinum, 1403) e Antonio Loschi (Invectiva in Florentinos, 1399, perduta), sorto in seno al confronto tra la Firenze repubblicana e la Milano viscontea. Scaturiscono da odi privati e idiosincrasie culturali i celebri scambi di invettive tra Lorenzo Valla e Poggio Bracciolini e tra Bartolomeo Facio e lo stesso Valla.
Un genere narrativo “nuovo”: la facezia
La narrativa breve quattrocentesca in latino è dominata dalla nuova novella dotta inaugurata da Petrarca con Griselda, ma si contraddistingue anche per la riedizione della facezia antica in una forma attualizzata che manifesta la preferenza umanistica per l’intrattenimento colto e raffinato, inteso come esercizio e anche esperimento intellettuale.
La facezia umanistica nasce infatti ad opera del suo demiurgo quattrocentesco, Poggio Bracciolini, con la funzione programmata di mettere alla prova le possibilità del latino sul campo nuovo degli argomenti “bassi” e scurrili a cui esso è rimasto finora estraneo. Secondo la teoresi di Cicerone nel II libro del De oratore (55 a.C.), la facezia è in antico una storiella arguta e piccante di cui il retore si serve per colorire l’orazione. Derisoria e corrosiva, profitta perlopiù di battute salaci e anche volgari.
Il Liber facetiarum
È Poggio a estrapolarla definitivamente dal contesto oratorio in seno al quale nasce, e da cui già in età classica tende spontaneamente a distaccarsi per assumere la fisionomia di una forma letteraria a sé, raccogliendo 273 motti nel Liber facetiarum (1438-1452). In esso viene ripreso il modello teorico ciceroniano nell’utilizzo di personaggi contemporanei (e famosi) colti nella vita di tutti i giorni come protagonisti degli episodi. Nel contempo, vi si accolgono e fondono tutti i tradizionali sottogeneri della narratio brevis esemplare medievale (proverbio, parabola, allegoria, fiaba, exemplum, motto di spirito, novella ecc.) all’insegna della polimorfia della “forma-facezia” e della sperimentazione letteraria e linguistica.