I diadochi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La successione al regno di Alessandro appare subito questione intricatissima. In assenza di un plausibile erede, si scatena una lunga lotta per il potere tra i generali dello stato maggiore macedone. Scontro di ambizioni personali, certo, ma anche diverse concezioni del potere si affrontano in questi anni cruciali. Quarant’anni di durissime contrapposizioni porteranno alla frammentazione dell’Impero nei diversi regni ellenistici e alla progressiva affermazione di una nuova forma di regalità, nata dalla forza militare e dall’autorità personale, che si impone infine nelle nuove linee dinastiche e ridefinisce il panorama del potere nei due secoli a venire.
La morte di Alessandro, nel 323 a.C., apre una fase nuova nella vita dell’impero appena costituito. Il problema della successione si pone nel contesto di una situazione inedita, senza precedenti e perciò, in gran parte, senza regole. La legittimazione del potere resta legata alla monarchia macedone, nonostante tutto: nessun cambiamento formale è introdotto su questo piano.
Manca tuttavia un successore plausibile: non possono esserlo il figlio che Rossane aspetta da Alessandro e che nascerà di lì a qualche mese, Alessandro IV), né Filippo Arrideo, il figlio demente di Filippo II. La tradizione macedone prevede che il nuovo sovrano abbia l’appoggio dell’aristocrazia più influente e l’approvazione dell’esercito. La nobiltà macedone è però spaccata e legata ai diversi ruoli politici e militari all’interno del nuovo regno, senza contare che alcuni dei suoi rappresentanti più autorevoli sono stati eliminati dal re, come Clito il Nero, Parmenione e Filota. La morte di Alessandro semmai acuisce le divisioni interne alla nobiltà, tra ambizioni personali e diverse concezioni del potere, accompagnate da una certa rivalità generazionale tra quanti appartengono all’età di Filippo II, in genere più leali verso la dinastia degli Argeadi e le forme tradizionali della politica greca, e i più giovani, aperti a nuove concezioni del potere. L’esercito macedone, dal canto suo, è diviso in tre tronconi, parte a Babilonia, parte in Grecia sotto il comando di Antipatro, parte in marcia verso l’Ellade, guidato da Cratero – che al momento della morte di Alessandro si trovava in Cilicia: difficilmente può considerarsi un corpo unito.
Il quadro dei rapporti di forza lasciati da Alessandro non indica neppure un possibile successore politico: proprio la tendenza del sovrano ad accentrare su di sé le prerogative del potere e a evitare di creare contropoteri personali negli uomini della sua corte determinano ora una situazione di forte instabilità e incertezza. Il controllo dei territori conquistati non è peraltro completo: vaste aree interne dell’impero, quali l’Anatolia settentrionale o i confini orientali devono ancora essere assoggettati in modo definitivo al potere centrale. Infine la costruzione del nuovo impero è rimasta di fatto incompiuta: in assenza di una riorganizzazione della struttura statale, la morte prematura di Alessandro fa deflagrare le debolezze dell’assetto del potere.
Si apre dunque una fase di duro scontro tra i possibili successori del re; una lotta interna all’élite macedone che dura complessivamente più di quarant’anni, dal 323 al 281 a.C. e che si è soliti suddividere tra il periodo dei diadochi (= i successori), ovvero i primi 22 anni di scontri tra i generali di Alessandro fino al 301 a.C., e quello degli epigoni (= i successori di seconda generazione), nel quale si definiscono e consolidano le posizioni tra i vari contendenti e si apre la strada alla formazione dei regni ellenistici.
La conflittualità del primo periodo è particolarmente feroce, animata da diffidenze e sospetti reciproci tra i contendenti che sgretolano progressivamente del sogno di impero universale che aveva mosso Alessandro; un periodo sul quale siamo ben informati, grazie ai racconti completi di Diodoro Siculo e Giustino e a quello, frammentario, di Arriano, oltre a diverse biografie plutarchee (Eumene, Focione, Demetrio) e a numerose testimonianze epigrafiche.
In punto di morte Alessandro consegna l’anello con il sigillo reale a Perdicca, suo favorito dopo la morte di Efestione e chiliarca del regno (una sorta di gran visir). Il gesto pare un’indicazione per gestire la successione. Perdicca propone di attendere la nascita del figlio di Rossane e nominarlo re, ma trova l’opposizione della fanteria capeggiata da Meleagro, che vuole imporre Filippo Arrideo. Il primo scontro si risolve con un accordo che stabilisce di riconoscere entrambi i discendenti degli Argeadi come re, di nome, beninteso, perché nei fatti si tratta di fantocci in mano alle ambizioni dei generali.
Perdicca tenta di dare un primo assetto al potere. In qualità di chiliarca, egli ha il controllo dei territori asiatici, con Meleagro come luogotenente; Antipatro resta generale d’Europa; a Cratero spetta il titolo di reggente del regno (prostates tes basileias) in nome di Arrideo. Come si vede, una distribuzione del potere non priva di una forte ambiguità, che segnala la separazione tra Asia ed Europa e propone come elemento unitario una tutela del regno attraverso l’istituzione di un reggente le cui prerogative sono tutt’altro che chiare. Eumene di Cardia, unico greco nel gruppo dei diadochi, tutti macedoni, viene designato capo della cancelleria reale (è stato il segretario di Alessandro) con il compito di recuperare i territori di Cappadocia e Paflagonia in mano al re Ariarte; Peucesta è satrapo di Persia; Antigono Monoftalmo (“con un occhio solo”) ottiene Panfilia, Licia e Frigia Maggiore; Leonnato la Frigia Minore; Lisimaco la Tracia, staccata dalla Macedonia anche se, almeno formalmente, sottoposta all’autorità di Antipatro; Tolemeo ha l’Egitto. L’equilibrio di un tale assetto, frutto di una ripartizione territoriale astratta e di rapporti di forza confusamente definiti, è davvero fragile. E i principali attori delle lotte che ne seguono sono già in campo.
Perdicca è protagonista del primo tentativo di riunificare sotto il proprio nome il potere imperiale: eliminato Meleagro, trasferiti sotto la sua custodia i due “re”, il chiliarca rende esplicite le proprie intenzioni con il proposito di sposare Cleopatra, la sorella di Alessandro, sciogliendo la promessa matrimoniale che ha verso Nicea, figlia di Antipatro. Una mossa volta evidentemente a legittimare la candidatura a erede della dinastia degli Argeadi. Alleato di Perdicca è Eumene, cui è affidato il comando delle operazioni militari in Anatolia e il controllo delle principali satrapie dell’area.
Si creano così due schieramenti, a favore e contro lo stratego d’Asia. Asia Minore e Grecia diventano i teatri dei principali scontri della prima guerra tra diadochi. In Grecia scoppia una rivolta promossa da Etoli e Ateniesi, guidati da Iperide, Leostene e Demostene, nella speranza di approfittare della morte di Alessandro per sciogliere il giogo macedone. I ribelli ottengono qualche successo iniziale: costringono Antipatro nella rocca di Lamia in Tessaglia (da cui la denominazione di guerra lamiaca), sciolgono la Lega di Corinto (337 a.C.), raccolgono nuovi alleati e ingenti truppe mercenarie.
Alla lunga, tuttavia, devono cedere alla decisa reazione di Antipatro, spalleggiato da Cratero: la battaglia navale di Amorgo e quella terrestre di Crannone (estate del 322 a.C.) segnano la loro sconfitta, che costa ad Atene l’imposizione di un regime oligarchico censitario e l’eliminazione dei suoi capi: Iperide è condannato a morte, Demostene, fuggito a Calauria, si toglie la vita per non cadere nelle mani di Antipatro.
Perdicca intanto, forte del sostegno di Eumene, muove guerra contro l’Egitto. Si tratta di un obiettivo strategico, in una logica di riunificazione territoriale, ma anche dell’affermazione della propria autorità contro Tolemeo, che dimostra eccessiva autonomia: ha sottoposto Cirene al suo controllo personale e dirottato in Egitto la salma di Alessandro, con tutto il valore simbolico che essa porta con sé. Quasi una sfida a Perdicca, che infatti reagisce; ma al fianco di Tolemeo si schierano Antipatro, Cratero, Antigono e Lisimaco, preoccupati delle conseguenze di una eventuale vittoria del reggente. Prima che possa giungere a uno scontro, Perdicca viene ucciso a Pelusio, in Egitto, nel 321 a.C., in seguito a una rivolta dei suoi ufficiali, tra i quali Seleuco. Resta Eumene: Antipatro e Cratero attraversano l’Ellesponto e, come Antigono, sbarcato ad Efeso l’anno prima, concentrano i propri sforzi militari in Asia Minore. Cratero si muove contro Eumene, ma viene sconfitto e muore sul campo di battaglia.
La scomparsa di Cratero e Perdicca apre la strada a una ridefinizione delle posizioni e degli assetti di potere. A Triparadiso, nella Siria settentrionale, si riuniscono gli stati maggiori dell’esercito macedone. A gestire la situazione è ora Antipatro, che viene nominato custode dei re e mantiene il controllo su Macedonia e Grecia quale stratego d’Europa. Egli pone al posto di Perdicca, come stratego d’Asia, Antigono, incaricandolo di condurre guerra contro Eumene, ormai espulso dal consesso dei diadochi. Il figlio di Antipatro, Cassandro, diviene comandante della cavalleria, sottoposto all’autorità di Antigono: soluzione forse conciliatoria, forse provocatoria, che comunque dura poco per l’evidente inconciliabilità dei due. Sono assegnate le satrapie: alcune vengono confermate, come la Persia a Peucesta e l’Egitto a Tolemeo (“sembrava quasi che l’Egitto gli spettasse di diritto” afferma Diodoro e in effetti il controllo di questo territorio non gli sfuggirà più), altre attribuite a nuovi governatori, come la Babilonia a Seleuco, la Media a Pitone e la Susiana ad Antigene. Gli accordi di Triparadiso (321 a.C.) indicano una tendenza a spartire il potere individuando macroaree geografiche, indebolendo l’opzione unitaria. Antipatro e Antigono si pongono a capo dei due territori principali del regno, l’Europa greco-macedone e l’Asia; a questi si aggiunge l’Egitto, stabilmente controllato da Tolemeo. L’attenta distribuzione del potere promossa da Antipatro alla ricerca di un equilibrio tra le parti in gioco non saprà tuttavia reggere l’urto delle ambizioni personali di Antigono, cui viene presto attribuita l’aspirazione a ricostruire intorno alla sua figura l’impero universale raggiunto da Alessandro. È lui il protagonista del ventennio che segue.
Antigono si impegna per cinque anni a dare la caccia a Eumene, sconfitto definitivamente e ucciso solo nell’inverno 316/5 a.C. Questa impresa tuttavia gli consente di impiegare a lungo le sue truppe in Asia, consolidando progressivamente il controllo del territorio con la conquista di Frigia e Lidia (319 a.C.) ed esautorando i principali satrapi che vi operano, come Peucesta, rimosso dalla carica, Pitone, giustiziato, o Seleuco, che si rifugia presso Tolemeo in Egitto. Nel 315 a.C. può ormai ritenersi, a buon diritto, padrone dei territori orientali, dall’Anatolia all’Iran.
In Grecia un nuovo scenario si apre con la morte di Antipatro nel 319 a.C. Nuovo reggente e stratego d’Europa è Poliperconte, che Antipatro ha preferito al figlio Cassandro. Poliperconte insegue una politica di recupero delle tradizioni di autogoverno delle poleis, proclamandone la libertà e l’autonomia e ripristinando i vecchi regimi politici del tempo di Filippo II. Ad Atene viene abbattuto il governo timocratico, i cui capi, tra i quali Focione, sono messi a morte. Una restaurazione democratica che avrà vita breve. Cassandro, infatti, rimasto ai margini del potere, apre lo scontro contro il nuovo reggente. Con brillanti operazioni militari conquista posizioni in Grecia, fino a entrare nel Pireo e imporre un nuovo regime timocratico nella città, il cui governo è affidato al filosofo peripatetico Demetrio Falereo, che la reggerà per dieci anni (317-307 a.C.). Lo scontro si sposta quindi in Macedonia, al cuore della corte: Poliperconte fugge con Rossane e il piccolo Alessandro IV, mentre Cassandro stringe alleanza con la giovane moglie di Filippo Arrideo, Euridice, la cui ambizione si è già rivelata durante le trattative di Triparadiso, frenata a fatica da Antipatro. Ora Cassandro, impegnato in operazioni militari in Grecia, le lascia di fatto il governo della corte. A sconvolgere i suoi piani giunge il ritorno sulla scena macedone di Olimpiade, ritiratasi in Epiro ma non rassegnata a deporre la sua influenza politica. Euridice stessa cerca di sbarrarle la strada prima che entri in Macedonia, in un’inedita lotta guidata da donne. L’autorità di Olimpiade e il suo ruolo di regina madre le guadagnano il favore dell’esercito macedone, che si schiera dalla sua parte. La regina compie le sue vendette: fa uccidere Euridice e Filippo Arrideo, oltre a molti membri della nobiltà macedone. Cassandro muove allora verso la Macedonia e assedia Olimpiade a Pidna, dove si è rifugiata con Rossane e l’ultimo erede di Alessandro. Presa la città, fa giustiziare Olimpiade e trasferire Alessandro IV ad Anfipoli (316 a.C.).
Poliperconte si trova ormai isolato e contrastato dagli altri diadochi: indebolito sul fronte greco, cerca un’alleanza con Eumene, nominandolo stratego d’Asia al posto di Antigono; ma la vittoria schiacciante di quest’ultimo in Asia mostra la fragilità del suo piano. La seconda guerra dei diadochi si conclude con Antigono e Cassandro saldamente in controllo di Asia ed Europa, mentre Poliperconte e quanti hanno cercato di seguire una definizione dei ruoli di potere sulla base della legittimità della discendenza vengono, di fatto, sconfitti. La potenza militare è sempre più determinante nel decidere l’esito della partita; al tempo stesso si affacciano comportamenti nuovi, come quelli di Cassandro che nel 316 a.C. fonda le città di Cassandreia sulla penisola calcidica e Tessalonica nel golfo termaico. Atteggiamenti che oppongono al lealismo e alle forme tradizionali della politica di Poliperconte – e tutto sommato, prima di lui, di Antipatro – una nuova gestione del potere incentrato sull’autorità personale come fondamento di legittimità.
Anche Antigono si muove in questa direzione, ma con ambizioni apparentemente maggiori. Così, come già è accaduto a Perdicca e Poliperconte, contro di lui si coalizzano Tolemeo, Seleuco, Lisimaco e Cassandro. Si passa, quasi senza soluzione di continuità, dalla seconda alla terza guerra tra diadochi. Per Antigono diviene fondamentale portare la Grecia dalla sua parte. In quest’ottica emana nel 314 a.C. un proclama che, chiedendo a Cassandro di distruggere le città da lui fondate e liberare il re Alessandro IV e Rossane, dichiara che le città greche devono essere libere, senza guarnigioni e autonome. Utilizza così contro Cassandro la stessa politica già seguita da Poliperconte. Tolemeo risponde con una dichiarazione simile, per non lasciare al rivale la forza propagandistica dell’enunciato. La libertà greca diviene tema cruciale nello scontro politico e sarà evocata per tutto l’ellenismo; anche i Romani, con Flaminino nel 196 a.C., la faranno propria. Antigono dà seguito al suo intento promuovendo la creazione di una confederazione degli isolani (i nesiotai) e ottiene, tra il 314 e il 312 a.C., significativi successi in Fenicia (Tiro) e in Asia Minore (Mileto).
In Grecia la sua politica raccoglie consensi crescenti a scapito di Cassandro.
Tolemeo, dal canto suo, estende progressivamente il suo controllo sul Mediterraneo orientale, procurandosi il sostegno di Cipro, Siria e Cilicia. Contro di lui Antigono invia il giovane figlio Demetrio, sconfitto tuttavia a Gaza nel 312 a.C. Come per Perdicca, l’attacco all’Egitto si rivela disastroso. Le conseguenze sono immediate: Seleuco recupera il suo ruolo a Babilonia e riesce, in breve, a estendere la propria autorità in Media e Susiana. Compresa l’impossibilità di reggere lo scontro nei diversi fronti, Antigono propone di negoziare una pace, che viene conclusa nel 311 a.C. Gli accordi riconoscono ad Antigono il ruolo di signore d’Asia e accolgono l’istanza della libertà delle città greche; a Tolemeo sono assegnati Egitto, Cirenaica e Arabia; a Lisimaco è confermata la Tracia, mentre a Cassandro resta stratego d’Europa, almeno fino alla maggiore età di Alessandro IV. Resta così in piedi una prospettiva, per quanto sottile, di riunificazione del regno sotto il nome del figlio di Alessandro Magno; ma l’inevitabile conseguenza è l’uccisione di Alessandro IV e Rossane, ordinata da Cassandro l’anno seguente. Viene meno così l’ultima ipoteca per una legittima successione dinastica in seno agli Argeadi ed è ormai manifesto che a determinare le posizioni sono esclusivamente i rapporti di forza.
Dagli accordi sono esclusi Seleuco e Poliperconte. Questi, passato dalla parte di Cassandro, viene ucciso a Sicione durante una rivolta. Seleuco invece rappresenta un impegnativo ostacolo al dominio di Antigono in Asia.
Nonostante la pace del 311 a.C., Antigono deve contrastare il fronte degli altri diadochi, che peraltro non si dimostra del tutto compatto nel decennio seguente.
Seleuco continua l’opera di consolidamento dei propri territori: respinto un attacco di Antigono, che è riuscito a entrare a Babilonia e a saccheggiarla, si volge contro il re indiano Chandragupta impegnandosi in una lunga guerra, conclusa nel 303 a.C. con un accordo che prevede concessioni territoriali al re indiano in cambio di 500 elefanti, che risulteranno strumento militare decisivo negli scontri futuri. Tolemeo, dopo la pace, intraprende una politica di espansione nell’Egeo, per poi volgersi verso la Grecia, dove raccoglie successi nell’area degli stretti e tenta di resuscitare la Lega di Corinto voluta da Filippo II; infine si accontenta di accordarsi con Cassandro rientrando nei suoi possedimenti egiziani (309 a.C.).
Più efficace è l’azione di Antigono, supportato dal figlio Demetrio Poliorcete (“assediatore di città”) che nel 307 a.C. entra con la flotta al Pireo e, forte di un immediato sostegno degli Ateniesi, depone Demetrio Falereo e ristabilisce, ancora una volta, libertà e democrazia.
Ad Antigono e al figlio sono dedicate statue d’oro nell’agorà, intitolate due nuove tribù (Demetriade e Antigonide), resi onori divini come “dèi salvatori”; per la prima volta sono designati “re”. La libertà apparentemente risarcita non può nascondere un atteggiamento di sostanziale sottomissione e servilismo da parte della polis ai due generali.
La rivalità tra Antigono e Tolemeo non si è mai sopita e giunge allo scontro aperto, risoltosi con una vittoria navale di Demetrio al largo di Cipro e la conquista dell’isola, sottratta al Lagide (306 a.C.). La vittoria è significativa ma ancora più rilevante è quel che ne segue. Antigono e Demetrio sono salutati di nuovo come re, ma stavolta accolgono la designazione e assumono il titolo di basileis, a dare sanzione formale al proprio potere. Re di cosa? Secondo l’intenzione di Antigono non è da dubitare che si tratti dell’unico regno possibile, quello unitario figlio delle conquiste di Alessandro.
Le condizioni politiche e militari non si accordano tuttavia a tale pretesa, nonostante la costituzione di un imponente esercito pronto ad attaccare l’Egitto in un tentativo presto rientrato (305 a.C.). Tolemeo non attende oltre e prende anch’egli il titolo di re, seguito da Cassandro, Lisimaco e Seleuco. L’aspirazione a ricostituire il regno unitario finisce di fatto qui, in un periodo in cui la forza militare detta legge e l’attribuzione di titoli formali è conseguenza del potere effettivamente esercitato, più che esserne la fonte e la legittimazione. La nuova condizione ha alcuni effetti immediati: Lisimaco e Seleuco costruiscono le proprie capitali, Lisimachia nel Chersoneso tracico e Seleucia sul Tigri; i sovrani battono moneta a proprio nome e riscuotono tributi dalle popolazioni sottoposte – tranne che in Grecia, dove il principio di autonomia formalmente garantita alle poleis determina un diverso atteggiamento dei sovrani.
Proprio la Grecia resta l’area più instabile. Qui si confrontano tra il 307 e il 304 a.C. Cassandro e Demetrio. Mentre il Poliorcete è impegnato in un lungo e infruttuoso assedio a Rodi, Cassandro può avanzare nella Grecia continentale, arrivando a minacciare Atene. Risolta con una pace la questione rodia, Demetrio rientra in Grecia, liberando dapprima Atene e l’Eubea e in seguito quasi tutta l’Ellade dalla Beozia al Peloponneso. A Corinto, nel 302 a.C., ricostruisce la Lega ellenica e ottiene giuramento di fedeltà ad Antigono da parte di tutti i Greci a sud delle Termopili. La politica di protezione delle tradizioni politiche greche sembra dare i suoi frutti.
Il potere raggiunto da Antigono e dall’intraprendente figlio scatena di nuovo la reazione degli altri diadochi, che costituiscono una possente coalizione contro di loro. Lisimaco dalla Tracia e Cassandro in Grecia muovono la controffensiva da nord, mentre da sud avanzano le truppe di Tolemeo, in Fenicia, e di Seleuco, verso l’Asia Minore. Lo scontro decisivo si ha a Ipso, in Frigia, nel 301 a.C.: Antigono viene sconfitto soprattutto per merito dell’esercito di Seleuco e dei suoi elefanti.
Muore valorosamente in battaglia, mentre il figlio Demetrio riesce a mettersi in salvo. I possedimenti asiatici di Antigono sono spartiti tra Lisimaco, che ottiene l’Asia Minore fino al Tauro, e Seleuco, che entra in possesso dei territori asiatici al di là del Tauro (ora confine occidentale dell’area asiatica); Tolemeo estende il suo controllo alla Siria e alle regioni dell’Asia Minore meridionale (Cilicia, Licia, Pisidia). La divisione tra Asia ed Europa greco-macedone è ormai compiuta. Le lotte tra i diadochi terminano qui, con la costituzione delle prime forme embrionali di regni e la definizione del potere formale dei loro nuovi sovrani.
Dopo la sconfitta subita a Ipso, Demetrio rimane escluso da ogni spartizione. Anche la Grecia ormai pare averlo abbandonato, a favore di Lisimaco e Cassandro. Il suo tentativo di recuperare posizioni domina il decennio che segue, agevolato dalla morte di Cassandro nel 298 a.C. Con una politica accorta, alternando interventi militari e alleanze strategiche, prima con Tolemeo, poi con Lisimaco, rientra in gioco, fino ad arrivare in pochi anni a un controllo quasi totale della Grecia. Nel 294 a.C. fonda la sua capitale, Demetriade, in Magnesia.
Il suo recupero è segnato da un cambiamento di indirizzo politico: da fautore della libertà e dell’autonomia delle poleis greche egli si sposta progressivamente verso una intromissione sempre maggiore nei loro affari interni, dando sostegno alla parte oligarchica: impone una guarnigione nelle città della Beozia che hanno tentato di ribellarglisi (292 a.C.) e richiama ad Atene gli esuli oligarchici, facendo invece esiliare (291 a.C.) Democare, nipote di Demostene. La reazione, tardiva ma imponente, di Lisimaco dalle frontiere orientali, e del giovane re epirota Pirro da occidente interrompono i suoi piani; a Lisimaco si uniscono Seleuco e Tolemeo, rinnovando l’alleanza contro Antigono. Demetrio affronta per primo Pirro, meno esperto e potente, ma il suo esercito lo abbandona vicino a Berea ed egli deve darsi alla fuga. Lisimaco e Pirro si spartiscono la Macedonia, mentre anche Atene si libera. Demetrio tenta un’ultima disperata impresa in Lidia, con la conquista di Mileto e Sardi, nell’area anatolica soggetta a Lisimaco, per poi scendere verso Tarso, in Cilicia, in zona seleucide. Dopo un tentativo fallito di accordo, Seleuco riesce a vincere l’avversario, di nuovo abbandonato dai suoi uomini, catturandolo nel 286 a.C. Demetrio resta prigioniero del re ad Apamea, dove muore pochi anni dopo (283 a.C).
A beneficiare del nuovo quadro è soprattutto Lisimaco. Un primo scontro con Pirro per il controllo della Macedonia si risolve a suo favore, anche grazie all’autorità di cui gode presso i soldati, in quanto vecchio compagno di Alessandro. Già nel 283 a.C. Lisimaco riesce a recuperare le posizioni non solo in Macedonia, ma anche in Grecia e in Asia Minore, mentre Pirro torna entro i confini epiroti. Inoltre il matrimonio di sua figlia Arsinoe con il figlio di Tolemeo I, lo collega alla nuova dinastia egiziana, visto che il genero sarebbe succeduto al padre, come Tolemeo Filadelfo, quello stesso anno. La situazione precipita per un’intricata vicenda familiare che porta diversi esponenti della famiglia di Lisimaco, ma anche il suo tesoriere Filetero, a rifugiarsi presso Seleuco chiedendone l’intervento. Seleuco entra nei territori micrasiatici di Lisimaco, accolto ovunque come un liberatore. I due eserciti si affrontano a Curupedio, vicino a Magnesia sul Sipilo, nel 281 a.C.: Lisimaco è sconfitto e ucciso sul campo. A Seleuco si apre l’opportunità di ricostituire un impero che unisca Europa e Asia, insediandosi sul trono macedone in un dominio che giunge fino all’Iran. Ma non può dar seguito ai suoi progetti: Tolemeo Cerauno (?-279 a.C.), deluso dal mancato supporto di Seleuco a contrastare la salita al trono del Filadelfo, lo uccide a tradimento, a Lisimachia. A Seleuco succede, nel regno asiatico, il figlio Antioco, mentre il Cerauno rivendica a sé Tracia e Macedonia, ma il suo governo è assai instabile, indebolito dalle scorrerie di Galli nelle regioni del suo regno, combattendo i quali muore nel 279 a.C. Il vuoto politico creatosi nel regno macedone viene colmato da Antigono Gonata, figlio di Demetrio Poliorcete, che, sconfitti i Galli a Lisimachia (277 a.C.), si insedia sul trono, dando finalmente un assetto stabile al regno e aprendo una stagione di prosperità, politica ma anche culturale: è seguace dello stoicismo e uomo di buona cultura egli stesso.
Con l’instaurazione degli Antigonidi in Macedonia si conclude la complicata e confusa fase di redifinizione del potere riassegnato sulle ceneri dell’impero di Alessandro. L’esito finale porta lontano dai progetti del conquistatore macedone, ma apre la via a una innovativa fase storica, quella dell’ellenismo, che saprà conseguire risultati fecondi sul piano politico, economico, culturale.