I culti degli eroi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Oltre a essere protagonisti dei miti, gli eroi greci rivestono ruoli importanti nelle istituzioni civili e religiose della città, che li ricorda e celebra in base alle funzioni in cui si distinguono in vita o nel tempo del mito. Esattamente come gli dèi, gli eroi hanno in effetti delle sfere d’azione privilegiate in cui esercitano i loro poteri. La maggior parte degli eroi ha però un’esistenza puramente locale, e il culto eroico, legato alla loro tomba, ne limita la celebrità e l’influenza al territorio in cui sono onorati.
La questione delle origini dei culti eroici è ancora controversa, dopo secoli di un dibattito che ha opposto illustri studiosi della religione greca come Erwin Rohde (Psyche: the Cult of Souls and the Belief in Immortality Among the Greeks, 1893), Lewis Richard Farnell (Greek hero cults and ideas of immortality, 1921), Martin Persson Nilsson (Cults, Myths, Oracles and Politics in Ancient Greece, 1951). Il problema verte in particolare sull’influsso esercitato dalla poesia epica nell’incoraggiare o nel determinare il diffondersi dei culti. Sono dunque in gioco non solo delicate questioni di datazione, ma tutta una serie di fenomeni letterari, linguistici, archeologici e storico-religiosi, non da ultimo le credenze greche relative all’aldilà.
In Omero non vi è traccia esplicita del culto eroico, ma si fanno diverse allusioni a pratiche che si consolidano nei secoli successivi in rituali destinati a onorare gli eroi. Diversi passi omerici lasciano supporre una certa familiarità con la pratica del culto eroico, in particolare i sacrifici in onore di Eretteo (Iliade, II 546-551), i riti compiuti da Odisseo nella scena dell’evocazione dei morti (Odissea, XI 23-36) e soprattutto i giochi funebri celebrati per onorare la morte di Patroclo (Iliade, XXIII), che ricordano molto da vicino gli epitaphioi agones ("giochi funebri") che nei secoli successivi hanno luogo nei pressi della tomba dell’eroe. Eppure Omero non parla di culto a proposito delle tombe che menziona, tra cui quelle di Achille e di Ilo, eroe eponimo della città di Troia. L’influenza dell’epica omerica non va sopravvalutata, ma è innegabile che la circolazione di questi poemi panellenici deve aver giocato un ruolo significativo, visto il loro statuto di "enciclopedia tribale", secondo la felice espressione di Eric Havelock (Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, 1963). La loro diffusione può in particolare aver favorito l’identificazione delle tombe dell’età micenea con il luogo di sepoltura degli eroi resi celebri dal canto dei poeti. L’archeologia indica chiaramente che i culti eroici trovano uno sviluppo particolare a partire dall’VIII secolo a.C., nel periodo di piena fioritura della poesia epica, quando alcuni santuari di epoca micenea sono dedicati agli eroi del mito e dell’epos, identificati da iscrizioni.
È soprattutto Pausania, viaggiatore accorto e curioso, a darne l’indicazione. In Laconia, a est di Sparta, gli scavi hanno riportato alla luce il Menelaion, santuario che data al VII secolo a.C., in cui Menelao è venerato insieme alla moglie Elena. Anche Agamennone, capo della spedizione achea, è oggetto di un riconoscimento cultuale: un santuario è eretto in suo onore non lontano da Micene. Tuttavia nelle tombe micenee di questo periodo sono stati ritrovati anche oggetti e offerte votive che testimoniano la presenza di un culto tombale reso non agli eroi ben noti della mitologia, ma a personaggi anonimi, ricordati su cocci che presentano un’iscrizione "all’eroe", senza precisarne il nome. La diffusione dell’epopea sembra dunque essere sullo sfondo dei culti consacrati agli eroi omerici, ma non l’ispiratrice delle pratiche rituali, soprattutto non di quelle numerose e spesso anonime nei pressi della tomba di eroi locali.
Tra i molteplici fattori di natura economica, sociale, militare e politica che contribuiscono alla genesi e alla diffusione dei culti eroici, un ruolo determinante è esercitato dalle rivalità che, nel corso dell’età arcaica, segnano i conflitti tra le famiglie aristocratiche. Desiderosi di affermare ciascuno la propria specificità, i clan aristocratici fanno risalire la propria genealogia e le proprie tradizioni a un illustre antenato eroico consacrato dal mito (per esempio i re di Sparta reclamano come antenato Eracle) oppure procedono all’eroizzazione di uno dei loro membri. La presenza di un eroe, riconosciuto come eponimo o fondatore, permette dunque di assicurare la coesione del corpo civico. Questo ruolo identitario degli eroi, siano essi antichi o recenti, panellenici o locali, continua fino all’epoca ellenistica e romana.
Brillanti analisi (François de Polignac, La nascita della città greca, 1991; Irad Malkin, Religion and Colonization in ancient Greece, 1987 e Myth and Territory in the Spartan Mediterranean, 1994) mostrano l’importanza degli eroi nella fondazione dello spazio civico arcaico, continentale e coloniale, e insistono sul ruolo dei culti eroici nel rinforzare le comunità nascenti a partire dall’VIII secolo a.C. Il diffondersi dei culti eroici è in effetti contemporaneo alla nascita della polis, la città-stato, e si configura come una risposta all’insieme di mutamenti che conducono all’affermarsi di questa forma organizzativa tipicamente greca. Gli eroi permettono spesso di affermare il diritto al possesso del territorio cui sono associati.
Ovunque, nel panorama greco, si vedono non solo i templi degli dèi, ma anche le tombe degli eroi, fulcro del culto eroico. L’eroe assume una funzione vitale per il benessere della comunità grazie al culto che gli è reso nei pressi del luogo in cui si ritengono sepolte le sue reliquie e da cui egli protegge la città contro i nemici, i saccheggi, le carestie, le epidemie e i conflitti di ogni sorta. Semplici monumenti funebri, statue o veri e propri edifici porticati e circondati da un recinto, le tombe sorgono nel centro della città, nell’agorà (soprattutto nel caso di eroi fondatori), ma spesso anche nelle zone isolate di campagna, lungo le strade, nei crocicchi. Non di rado il luogo del sepolcro è nascosto (si ritiene per esempio che le ossa dei primi re di Atene, Cecrope ed Eretteo, giacciano sotto l’Eretteo, sull’Acropoli) o può trovarsi nel santuario di un dio. A differenza delle tombe dei defunti comuni, considerate focolai di contaminazione da evitare, le tombe degli eroi possono dunque essere situate in spazi abitualmente preclusi ai morti e riservati ai vivi o agli dèi.
Monumento simbolico destinato a garantire la presenza dell’eroe nello spazio civico, l’heroon non contiene sempre le reliquie dell’eroe, ma a un certo punto il ritorno delle ossa sembra imporsi e costituisce una tappa significativa all’interno della storia delle singole città. Gli Ateniesi, nel 476-475 a.C., sotto la direzione del generale Cimone, e conformemente all’oracolo della Pizia, rimpatriano le spoglie di Teseo scoperte a Sciro, per fissare il suo heroon al centro della città, nei pressi dell’agorà. Le reliquie sono portate in processione solennemente e accompagnate da preghiere e sacrifici. Il culto nasce dunque da un’impresa organizzata ufficialmente, che consacra l’appropriazione definitiva da parte degli Ateniesi di questo eroe del mito, appartenente alla tradizione del mondo greco, riconosciuto e onorato a partire da quel momento come fondatore di Atene.
La Grecia antica conosce diversi casi di politica di traslazione delle ossa dell’eroe. Una storia simile è raccontata dallo storico Erodoto a proposito delle ossa gigantesche di Oreste, figlio di Agamennone (Erodoto, I, 67- 68).
Erodoto
Il furto delle ossa di Oreste
Storie, Libro I, capp. 67- 68
Così durante la prima guerra lottarono contro i Tegeati sempre con esito sfavorevole; invece durante il regno di Creso e di Anassandrida e Aristone gli Spartani riuscirono a vincere in questo modo: poiché venivano sempre sconfitti dai Tegeati, mandarono messi a Delfi per chiedere quale degli dèi propiziarsi per riuscire a prevalere sui Tegeati. La Pizia profetò che sarebbero riusciti quando avessero riportato in patria le ossa di Oreste, figlio di Agamennone. […] Lica, aiutato e dal caso e dalla sua avvedutezza trovò a Tegea la tomba. Essendoci in quel periodo buone relazioni con i Tegeati, capitato in una officina egli osservava la lavorazione del ferro, e stava tutto meravigliato a contemplare il lavoro. Il fabbro, accortosi della sua meraviglia, gli disse interrompendo il lavoro: "Certo, forestiero spartano, se tu avessi visto ciò che vidi io ti saresti meravigliato molto, dal momento che tanto ammiri la lavorazione del ferro. Infatti io, volendo farmi in questo cortile un pozzo, scavando trovai un’urna sepolcrale di sette cubiti. Non credendo che fossero mai esistiti uomini più grandi di quelli di oggi la aprii e vidi il cadavere, che era della stessa lunghezza; dopo averlo misurato tornai a seppellirlo". Questi dunque disse ciò che aveva visto, e l’altro, avendo riflettuto su tali parole, congetturò che quello doveva essere Oreste, secondo le indicazioni dell’oracolo […]. Allora, dissotterrata la tomba e raccolte le ossa, tornò a Sparta portandole con sé e da quel momento, ogni volta che combatterono con i Tegeati, gli Spartani riuscirono di gran lunga superiori in guerra. E ormai la maggior parte del Peloponneso era stata da loro sottomessa.
Erodoto, Storie, trad. it. di A. Izzo D’Accinni, Milano, BUR, 1995
Quando un eroe è onorato in diversi luoghi e gli sono attribuite più tombe, possono sorgere conflitti tra le località che se ne contendono il possesso. Si elaborano dunque versioni del mito ad hoc, che non esitano a stravolgere o distorcere la tradizione a fini propagandistici, pur di spiegare la presenza dell’eroe in quel luogo. Emblematici sono a tal proposito i racconti sulle origini di Atene, imperniati intorno alle figure leggendarie di Cecrope, Eretteo ed Erittonio. Le varianti del mito sono numerose, ma tutte convergono nell’attribuire al primo re, l’antenato comune a tutti, un’origine autoctona (Erittonio nato dalla Terra in cui Efesto ha disperso il suo seme, è il successore di Cecrope, primo re di Atene, metà uomo, metà serpente, che è la creatura ctonia per eccellenza).
Quanti abitano sul suolo dell’Attica non sono semplici residenti, ma sono i figli di questa terra, ne sono i frutti, proprio come le olive dell’albero piantato da Atena sull’acropoli. Il mito dell’autoctonia, che presenta il fondatore come un essere nato dal suolo stesso, gioca un ruolo considerevole nell’ideologia politica ateniese dell’epoca classica (si veda in particolare N. Loraux, Nati dalla Terra. Mito e politica ad Atene, 1998) Numerose feste religiose ricordano alla città le sue origini e i suoi gloriosi antenati per giustificare la superiorità degli Ateniesi su tutti gli altri popoli.
Insieme ad Atene, le città che presentano la maggiore concentrazione di culti eroici sono Sparta e le sue colonie. A Sparta sono venerati eroi leggendari come Agamennone, Oreste o i Dioscuri. Elena è onorata in due luoghi di culto vicino Sparta: a Terapne e a Platanistas, dove è associata alla sfera delle iniziazioni per le adolescenti che si preparano alla maturità sessuale e al loro ruolo di mogli adulte (Teocrito, Epitalamio di Elena, 1-8, 18-25, 38-44 e 54-58).
Teocrito
Idillio XVIII
Idillio XVIII - Epitalamio di Elena
Una volta a Sparta, nel palazzo del biondo Menelao,
vergini dalle chiome ricinte di florido giacinto
formarono un coro dinanzi al talamo testé dipinto
– erano dodici, le prime della città, delle splendide Spartane –,
allorquando con la Tindaride Elena amata
si appartò il più giovane dei due Atridi, che l’aveva chiesta in sposa.
Cantavano tutte insieme all’unisono, battendo il suono
con passi intrecciati, e il palazzo risuonava dell’imeneo.
[…] Tu solo tra gli eroi avrai per suocero Zeus Cronide.
La figlia di Zeus è venuta con te sotto lo stesso manto,
bella come nessun’altra delle donne achee;
avrà certo splendidi figli, se saranno simili alla madre.
Noi tutte siamo sue coetanee, e corriamo in gara,
unte come uomini presso le correnti dell’Eurota,
quattro volte sessanta ragazze, giovane schiera femminile;
ma nessuna è irreprensibile, se comparata a Elena.
[…] Bella, attraente fanciulla, tu ormai sei una padrona di casa,
noi invece al mattino andremo al campo e nei prati
fioriti, a cogliere ghirlande odorose,
e avremo vivo il ricordo di te, Elena, come agnellini
da latte che desiderano la poppa della madre.
Per prime intrecceremo una ghirlanda di umile loto
e la porremo su un ombroso platano
[…] Dormite, spirando l’uno sul petto dell’altra amore
e desiderio, e non dimenticate di destarvi all’aurora.
Torneremo anche noi domattina, quando il primo cantore
effonda la sua voce, levando dal giaciglio il collo piumato.
Imene, o Imeneo, rallegrati per queste nozze.
Teocrito, Idilli e Epigrammi, a cura di B.M. Palumbo Stracca, Milano, BUR, 1993
Beneficiano di tributi eroici anche legislatori illustri, come Licurgo, fondatore della costituzione di Sparta, o figure storiche eroizzate per i servizi resi alla patria, come il generale e uomo politico Lisandro, morto sul campo di battaglia nel 395 a.C., durante la guerra corinzia.
Il carattere locale del culto eroico è dunque particolarmente marcato. Gli eroi possono essere associati a più luoghi o trasferiti da un luogo all’altro, o anche espulsi, secondo precise intenzioni politiche e territoriali.
Nei pressi della tomba supposta o reale dell’eroe si compiono sacrifici e riti, nella speranza che, in risposta agli onori cultuali, l’eroe protegga attivamente la località in cui è sepolto. I calendari sacrificali e la documentazione sulle somme importanti spese per queste circostanze indicano che il culto offerto all’eroe comprende numerosi rituali: l’eroe riceve offerte di cibo di tipo vegetale, libagioni, ex-voto e anche sacrifici cruenti, che costituiscono il momento essenziale della cerimonia. Un’ipotesi diffusa da tempo considera questi sacrifici molto diversi dal culto destinato alle divinità celesti o uraniche (da ouranos, il "cielo", che sarebbero luminose e diurne) e analoghi piuttosto al culto che ricevono i morti e le divinità infere, ctonie (da chthon, la "terra", che sarebbero tenebrose e notturne).
Quest’ultimo si svolge di notte e consiste di libagioni (choai e non spondai come quelle per gli dèi) di sangue, latte, vino o miele, versate direttamente a terra, su un altare basso, a volte incassato nel terreno (eschara, a differenza dell’altare sopraelevato, bomos, riservato al culto degli dèi), o in una vera e propria fossa sotterranea (bothros); qui ha luogo il sacrificio: gli animali immolati, con la testa rivolta verso terra, devono essere neri (non bianchi come per le divinità celesti o uraniche) e offerti integralmente, con olocausto della vittima (enagismos), senza banchetto rituale (thysia).
Da uno studio attento di tutte le fonti a disposizione, non solo letterarie, ma anche epigrafiche, archeologiche e iconografiche, emerge tuttavia un panorama molto più complesso. In un numero importante di culti eroici il rito sacrificale presenta somiglianze significative con il culto reso agli dèi, in quanto comporta la consumazione e la ripartizione della carne dell’animale sacrificato. Vi sono inoltre sacrifici eroici celebrati di giorno.
Il numero di casi è sufficiente per escludere che si tratti di eccezioni. Non è superfluo ricordare a tal proposito che spesso le tombe degli eroi sono ospitate all’interno del santuario di un dio o comunque si trovano nello spazio adiacente.
Giacinto, giovane amato e accidentalmente ucciso da Apollo durante una gara di lancio del disco, condivide con il dio un santuario ad Amicle (in Laconia), in cui l’eroe è integrato al culto di Apollo al punto che le feste in onore del dio sono chiamate Giacinzie. Certo, il culto eroico è generalmente meno sfarzoso di quello riservato agli dèi e i santuari degli eroi sono di dimensioni più piccole. Eppure non mancano eccezioni: Ippolito aveva a Trezene un santuario imponente.
Alcuni eroi ricevono inoltre tributi straordinari e in loro onore vengono celebrate feste pubbliche, con processioni, banchetti sacrificali e attività agonistiche, equestri e ginniche, simili a quelle destinate agli dèi. Le feste Theseia, istituite nel 475 a.C. in onore di Teseo, sono celebrate ad Atene una volta all’anno e presentano analogie significative con le feste Panathenaia in onore della dea Atena.
Il culto degli eroi si distingue invece da quello dei morti comuni, perché dura più a lungo e le manifestazioni cultuali non sono ristrette all’ambito privato familiare, ma implicano la partecipazione dell’intera comunità.
L’eroe, anche se si tratta di un personaggio storico, perde i suoi legami con la famiglia (che può rendergli omaggio, naturalmente), ma appartiene alla sfera pubblica ed è onorato a livello ufficiale.
Anche se diversi testi letterari ed eruditi tendono a opporre le due procedure cultuali prima descritte – Erodoto racconta per esempio che Eracle riceve un culto eroico (enagizein) o divino (thyein) a seconda della città in cui è onorato (Storie, II, 44) – questa distinzione non risulta mai teorizzata dagli antichi e in ogni caso non si riscontra in maniera netta nella pratica rituale.
Essa trova un terreno fertile soprattutto nella tendenza dei moderni a contentarsi di rassicuranti e schematiche classificazioni binarie (puro/impuro, bianco/nero, cielo/terra, alto/basso, propiziatorio/apotropaico ecc.). Esistono tra l’altro documenti letterari che smentiscono questa schematica opposizione tra il rituale della thysia, per gli dèi, e quello dell’enagismos, per gli eroi. Nel rievocare gli onori (timai) tributati al generale spartano Brasida, sepolto con rito solenne al centro della città in piena guerra del Peloponneso, lo storico Tucidide precisa che all’interno del santuario dell’eroe (heroon), nei pressi della sua tomba, vengono offerti sacrifici (thysia) con sgozzamento di vittime e competizioni (agones) annuali. Brasida, riconosciuto come autentico salvatore (soter) dai cittadini di Anfipoli (che in quel momento, per timore di Atene, preferiscono l’alleanza di Sparta), è inoltre designato come eroe fondatore della colonia al posto dell’ateniese Agnone (La guerra del Peloponneso, V, 11). Ancora una testimonianza su come nasce un eroe, o meglio su come se ne sostituisce uno nuovo a uno antico.
Pausania
Sacrifici per l’eroe Miiagro
Guida della Grecia, Libro VIII, 26, 7
L’aneddoto raccontato da Pausania mostra quanto il campo d’azione di un eroe possa essere specializzato e quanto sfera eroica e divina siano legate: gli abitanti della piccola città di Alifera, in Arcadia, durante le feste in onore della dea Atena invocano con sacrifici l’eroe Miiagro ("colui che scaccia le mosche") per evitare di essere molestati dalle mosche.
Gli Aliferesi celebrano anche una festa solenne in onore di un qualche dio, credo di Atena: in questa festa solenne sacrificano in primo luogo a Miiagro, rivolgendo suppliche all’eroe sulle vittime e invocando Miiagro; una volta che abbiano fatto ciò le mosche non danno loro più alcun disturbo.
Pausania, Guida della Grecia. Libro VIII. L’Arcadia, a cura di M. Moggi e M. Osanna , Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2003
Nel campo del rituale le differenze tra dio ed eroe risultano dunque meno nette e invalicabili di quanto si presume generalmente (Pausania, VIII, 26, 7). Del resto si fa appello agli eroi, come agli dèi, in numerose circostanze legate alla vita privata, sociale e politica della città. Il celebre legislatore Dracone ordina esplicitamente agli abitanti dell’Attica di onorare sia gli dèi sia gli eroi (theous timan kai heroas, Porfirio, De abstinentia, IV, 22); e il filosofo Platone, quando nelle Leggi immagina le pratiche religiose della città ideale, afferma che agli dèi e agli eroi devono essere indirizzati sacrifici, preghiere e feste pubbliche.
Vi sono poi eroi che diventano dèi, come Asclepio, celebre per i suoi poteri guaritori. Figlio di Apollo e della mortale Coronide, educato alla medicina dal centauro Chirone, Asclepio è ucciso da un fulmine di Zeus, che lo punisce per aver risuscitato un morto, Ippolito, grazie alle sue arti. In Omero Asclepio è un "guaritore eccellente" ma mortale, e anche Pindaro lo qualifica come heros. E come eroe è venerato nella sua patria, Tricca, in Tessaglia, centro più antico del culto. Tuttavia, nel santuario di Epidauro, che nell’età classica è il centro principale del suo culto, Asclepio viene venerato come un dio, così come ad Atene, a Pergamo e a Cos, dove nel V secolo a.C. si sviluppa una rinomata scuola medica. Tra gli "asclepiadi" spicca il nome di Ippocrate (Pausania, II, 27, 3-4).
Pausania
Il culto di Asclepio
Guida della Grecia, Libro II, 27, 3-4
All’interno del recinto, anticamente, erano erette anche più stele oltre alle sei che restano ai miei tempi: su di esse sono iscritti i nomi di uomini e di donne guariti da Asclepio, e insieme la malattia di cui ciascuno aveva sofferto e il modo della guarigione; le iscrizioni sono in dialetto dorico. Distinta dalle altre c’è una stele antica, che attesta che Ippolito dedicò venti cavalli al dio. Con l’iscrizione di questa stele s’accorda ciò che narrano gli Aricini, che cioè Ippolito, morto per effetto delle maledizioni di Teseo, fu resuscitato da Asclepio: quando tornò in vita, non volle perdonare il padre, ma ne disattese le preghiere, e venne in Italia ad Aricia, e qui regnò e consacrò un recinto ad Artemide, dove, ancora ai miei tempi, si svolge un duello che, fra i vari premi per il vincitore, comporta il conferimento del sacerdozio della dea.
Pausania, Guida della Grecia. Libro II. La Corinzia e l’Argolide, a cura di D. Musti e M. Torelli, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 1986
Le motivazioni che sono all’origine di un culto eroico o divino sono dunque, molto spesso, le stesse: la richiesta di protezione e di favori particolari in cambio del culto reso. Esiste tuttavia una differenza importante tra il culto degli eroi e il culto degli dèi: il forte legame che confina l’eroe a una località specifica, limitando l’influenza della sua azione alle vicinanze del sepolcro o del santuario. E infatti, proprio Eracle e Asclepio, il cui culto è diffuso su tutto il territorio greco, sono al tempo stesso eroi e dèi.
Culti e sacrifici possono essere celebrati non solo per consacrare la memoria dell’eroe e propiziarselo, ma anche per placarne l’ira ed evitare che arrechi malanni. Gli eroi e le eroine sono generalmente presenze benefiche che intervengono in diversi campi legati al benessere fisico, morale e sociale della comunità in cui sono oggetto di culto. Eppure queste potenze divine possono interferire nella vita dell’uomo anche in modo malefico, mostrando il loro lato oscuro e pericoloso (Aristofane, Gli eroi).
Aristofane
Onore agli eroi
Gli eroi, fr. 322 Kassel-Austin
Vigilate, voi uomini, e onorate gli eroi, perché noi siamo i dispensatori del male e del bene, da giù vediamo i malvagi, i ladri e i briganti.
Il mito di Edipo rivela quanto le maledizioni dell’eroe possano essere terribili fino a coinvolgere l’intera comunità. La parte conclusiva dell’ Edipo a Colono di Sofocle descrive le circostanze eroiche della morte di Edipo. Dopo un lunghissimo errare, il celebre re di Tebe, che sposa incestuosamente sua madre, macchiandosi di una colpa involontaria, giunge nel demo di Colono, accompagnato dalla figlia Antigone. È qui, nel bosco delle Eumenidi, che il vecchio, esule e mendico, ormai consapevole e prossimo alla fine, deve compiere il destino che gli è stato assegnato. Lo accompagna il re di Atene, Teseo, che gli offre la sua ospitalità e lo vede sparire misteriosamente, senza pene e senza gemiti, "sopra l’umano meraviglioso" (ei tis broton thaumastos, vv. 1664-5). Di fronte all’insostenibile visione del trapasso, il sovrano si prostra ad adorare sia la terra che l’Olimpo: fine emblematica di un eroe che dopo aver vissuto nell’inconsapevolezza lascia dietro di sé lo stupore e lo sgomento che atterrisce ogni umano di fronte alla morte e all’assenza. Poco importa che Edipo abbia raggiunto la terra infera o il cielo uranico. Prima di morire, l’eroe ha il tempo di annunciare a Teseo che la sua tomba segreta sarà più efficace degli scudi e delle lance di mille guerrieri, e proteggerà Atene dai nemici Tebani, oggetto della sua ira implacabile. Nella tensione tra i poli estremi della maledizione e della benedizione, così come nella sospensione tra sfera divina e infera, è contenuta tutta l’ambiguità della figura eroica, avvolta nel mistero che copre il rimbombare dei tuoni di Zeus, re degli uomini e degli dèi.