Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La situazione dei contadini europei durante il Seicento è estremamente varia, come vari sono i paesaggi agrari e le forme di conduzione agricola. I contadini europei sono comunque accomunati da un peggioramento delle loro condizioni in conseguenza dell’accresciuta pressione dei ceti dominanti. La proletarizzazione e la disgregazione della comunità contadina appaiono ormai in molte aree come fatti compiuti.
L’economia contadina
Il termine “contadino” può indicare genericamente il lavoratore della terra e l’abitante delle campagne, contrapposto quindi a coloro che esercitano un’attività commerciale o artigianale e risiedono in città. Tuttavia questo termine, insieme con l’espressione “economia contadina”, assume un significato più preciso nel contesto della storia europea dell’età moderna. In questo caso si vuole identificare un tipo particolare di logica sociale ed economica e il contadino tradizionale viene quindi a opporsi all’agricoltore moderno, al farmer, che opera all’interno di un’economia orientata al mercato.
Quali sono dunque i tratti specifici dell’economia contadina? Innanzitutto, il contadino produce essenzialmente per l’autoconsumo. Il suo orizzonte è quello dell’autosufficienza per sé e per la propria famiglia. Il ricorso al mercato, sia a quello del lavoro, che a quello delle merci e dei capitali, è quanto più limitato possibile. L’azienda contadina è inoltre di dimensioni contenute, in genere pochi ettari. Su scala europea le sue dimensioni possono naturalmente variare notevolmente in funzione della qualità del terreno, delle condizioni climatiche e del tipo di coltivazione.
La logica economica contadina è una logica familiare, non individuale. Il problema principale è quindi l’adattamento dell’azienda, vale a dire della quantità di terra disponibile, alle dimensioni della famiglia, che è l’unità di consumo e l’unità di lavoro fondamentale. Un adattamento che può prendere forme diverse a seconda delle regioni europee e delle diverse forme di conduzione.
Comunità di villaggio e famiglia contadina
Ricerca dell’autosufficienza e produzione su piccola scala non significano però che le famiglie contadine siano cellule autarchiche indipendenti dal mondo circostante. Innanzitutto bisogna ricordare come in molte regioni d’Europa l’economia della famiglia contadina sia strettamente legata all’esistenza di forti comunità di villaggio e di pratiche agricole comunitarie.
La comunità di villaggio come si presenta in molte zone dell’Europa protomoderna non è un’eredità di epoche remote, ma piuttosto una costruzione storica relativamente recente che nasce e si rafforza con il passaggio dalla corvée al pagamento di un censo, trasformazione del sistema signorile che si traduce nel consolidamento dei diritti del contadino sulla terra che coltiva.
All’interno della comunità di villaggio, soprattutto ove predomina il sistema dei campi aperti in cui i campi di ogni famiglia sono dispersi in una vasta area, le operazioni agricole sono coordinate dall’autorità del villaggio. Anche il pascolo del bestiame è in genere gestito comunitariamente.
D’altra parte le famiglie contadine sono pur sempre sottoposte al prelievo di una quota del loro prodotto da parte di una vasta serie di gruppi sociali e istituzionali. Il contadino non è mai lasciato a se stesso: deve essere indotto, vale a dire obbligato, a fornire cibo a quel 10-15 percento della società europea del tempo che non lo produce direttamente, cioè ai suoi superiori sociali detentori del potere politico e militare e alla ristretta fascia di artigiani e abitanti delle città.
Questo prelievo assume forme diverse. Può essere in denaro, in natura o in lavoro. Può trattarsi del censo che deve essere pagato al signore feudale, della decima da versare alla Chiesa, della metà del raccolto da dare al proprietario borghese della terra condotta a mezzadria, delle giornate di lavoro che un contadino polacco deve prestare sulle terre del magnate oppure delle tasse che vengono riscosse dallo Stato, o infine della semplice rendita fondiaria.
Comunque sia, dopo un periodo favorevole ai contadini europei, durato sostanzialmente fino alla fine del Quattrocento, nel Cinque e nel Seicento la pressione sulla famiglia e sulla comunità contadina si fa sempre più forte e il raggiungimento dell’obiettivo dell’autosufficienza sempre più problematico. Nello stesso tempo si approfondiscono le differenziazioni all’interno della stessa società contadina.
Crisi dell’economia contadina
Le forze che concorrono a erodere la posizione della famiglia contadina sono essenzialmente tre: una di natura in qualche modo ciclica – l’aumento della popolazione – un’altra che rappresenta invece una tendenza di lungo periodo – l’allargamento dell’economia di mercato – e in ultimo il rafforzamento, almeno in certe aree, delle compagini statali.
L’elevato livello raggiunto dalla popolazione europea nel Cinque-Seicento contribuisce alla frammentazione della proprietà contadina. Un numero crescente di contadini si ritrova con troppo poca terra per vivere e d’altra parte le condizioni tecniche dell’agricoltura non permettono un significativo aumento della produttività. In queste condizioni è più difficile per i contadini resistere alla pressione multiforme che viene esercitata dai proprietari urbani, dai signori e dallo Stato, le cui pretese fiscali aumentano enormemente nel corso del secolo, provocando vaste rivolte antifiscali e antisignorili. Questa situazione spinge molte famiglie contadine a dedicarsi ad attività artigianali per integrare i loro redditi agricoli. È il fenomeno della cosiddetta protoindustrializzazione.
Nell’Europa orientale, fin dal Cinquecento, sono i nobili ad approfittare delle opportunità offerte dall’esportazione dei cereali verso occidente e dai prezzi crescenti del grano. La nobiltà riesce a imporre nuove prestazioni di lavoro obbligatorie anche grazie alla debolezza delle città e delle comunità contadine.
La pressione nobiliare non diminuisce del resto neppure dopo la diminuzione del prezzo dei cereali a partire dal 1640-1650 e la contrazione delle esportazioni dopo il 1650. Anzi, per mantenere il livello delle proprie entrate, i nobili non hanno altro strumento che diminuire i costi di produzione intensificando lo sfruttamento del lavoro contadino.
Un’altra modalità di crisi dell’economia contadina è la diffusione della mezzadria. È un fenomeno di lunga durata che interessa soprattutto certe regioni dell’Europa mediterranea, come la Francia meridionale e l’Italia centro-settentrionale. In questo caso il carattere di azienda familiare di ridotte dimensioni orientata alla sussistenza non viene del tutto meno. La famiglia mezzadrile, in genere numerosa, non produce per il mercato, e l’unica porzione del raccolto che in parte viene commercializzata è quella spettante al proprietario. La debolezza economica della famiglia mezzadrile la costringe a indebitarsi con il proprietario, accentuando così la sua subordinazione.
La diffusione della mezzadria comunque implica una profonda ristrutturazione del paesaggio e dell’habitat. A un popolamento concentrato in villaggi si sostituisce un insediamento sparso con le case situate all’interno dei poderi del proprietario.
In questo contesto la crisi della comunità contadina è aggravata dalla differenziazione sociale fra i contadini stessi, provocata dalla pressione demografica e padronale. In molte aree, parte dei poderi affidati ai massari vengono infatti suddivisi in unità minori concesse in affitto, per brevi periodi e a condizioni molto onerose, a piccole famiglie di affittuari.
Sviluppi economico-sociali
Nei Paesi più avanzati, Inghilterra, Francia nord-occidentale, Province Unite, l’agricoltura assume sempre più un carattere orientato al mercato e un’organizzazione capitalistica.
Il binomio contadino-signore e la piccola azienda a base familiare tendente alla sussistenza vengono sostituiti dalla terna lavoratore agricolo-affittuario-proprietario e da aziende medio-grandi dotate di capitali, la cui produzione è destinata al mercato. Ciò significa la scomparsa dei contadini e dell’economia contadina nel senso sopra descritto.
Questa trasformazione coincide con – e rende possibile – un miglioramento delle tecniche agricole il cui tratto distintivo è la combinazione più efficace di agricoltura e di allevamento grazie alle modifiche introdotte nella rotazione delle colture. L’aumento della produttività così ottenuta consente ai Paesi più avanzati di non dipendere più dalle importazioni dell’Europa orientale e anzi di divenire essi stessi esportatori.
Gli sviluppi sociali ed economici nelle campagne inglesi e francesi sono oggetto di interpretazioni contrastanti. Secondo alcuni autori in Inghilterra si realizza una più radicale concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani dei nobili con una quasi completa sparizione della piccola-media conduzione indipendente, quella di yeomen e copyholders, i primi destinati almeno in parte a diventare affittuari e i secondi salariati agricoli. In Francia invece il consolidamento della proprietà contadina avrebbe impedito quelle trasformazioni istituzionali in direzione del formarsi di grandi proprietà che costituirebbero la premessa indispensabile per i miglioramenti tecnici.
Secondo alcuni studiosi la differenza tra gli sviluppi inglesi e quelli della Francia settentrionale non sono così rilevanti, dato che la differenziazione interna alla società contadina francese fra i laboureurs più agiati, dai quali emergono i grossi fittavoli, e la massa dei maneuvriers privi di terra porta a forme di conduzione e all’adozione di tecniche non molto diverse da quelle presenti oltremanica.