Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lorenzo de’Medici, patrono delle arti e del sapere, sembra anche essere al centro della trasformazione delle feste carnevalesche fiorentine, forse dagli anni Ottanta del XV secolo. Il suo contributo potrebbe essere stato legato soprattutto all’introduzione dei canti carnascialeschi, componimenti elaborati in cui si palesa il desiderio di rivestire la festa di un interesse capace di stimolare anche la dimensione intellettuale, in linea con le idee e le concezioni che distinguono l’opera del più noto rappresentante del casato toscano.
La Firenze quattrocentesca e il Carnevale
Antonfrancesco Grazzini, detto Il Lasca
Come festeggia Lorenzo il Magnifico
Festeggiamenti
Et questo modo di festeggiare fu trovato dal Magnifico Lorenzo vecchio de Medici; […] perciocche prima gli uomini di quei tempi, usavano il Carnevale, immascherandosi, contraffare le Madonne, solite andar per lo Calendimaggio: e così travestiti a uso di Donne, e di fanciulle cantavano canzoni a ballo, la qual maniera di cantare, considerato il Magnifico esser sempre la medesima, pensò di variare, e non solamente il canto, ma le invenzioni, e il modo di comporre le parole.
Il Carnevale fiorentino nel secolo XV è una festa cavalleresco-cortese con giostre – quelle celebrate da Pulci (1432-1484) e Poliziano si svolgono per Carnevale –, tornei e balli. Accanto a queste celebrazioni istituzionali vi sono usanze come quella di andare in maschera nelle feste delle “mummie” – le maschere –, mentre i più giovani si divertono con sassaiole di strada, piccoli furti di denaro per divertimenti minuti e falò per le vie della città. Non si hanno notizie di carri carnevaleschi fino alla fine degli anni Ottanta, mentre altri carri sono già in uso in altre feste cittadine.
Sembrerebbe che nel primo periodo dell’esercizio del potere, dalla fine del 1469, il Magnifico si sia adeguato alle tradizioni preesistenti, partecipando egli stesso alle giostre (1469 e 1475). Nondimeno, già commentatori antichi gli attribuiscono un ruolo determinante, di innovatore, nelle feste del Carnevale; le novità di Lorenzo de’Medici, secondo Grazzini (1503-1584) e Vasari – che scrivono ormai nella Firenze ducale – riguarderebbero proprio i canti carnascialeschi. I testi di Lorenzo, che inaugurano probabilmente il genere, manifesterebbero, secondo vari commentatori moderni, un’ambizione letteraria non riducibile a modelli tradizionali.
Per quanto riguarda il piano spettacolare, potrebbe essere però dovuta a Lorenzo anche l’introduzione, forse posteriore al 1488, dei carri per il Carnevale. Del 1489 sarebbe una “magna mumieria” con sette trionfi di sette pianeti, celebrata dall’umanista Naldo Naldi nell’ Elegia in septem stellas errantes, secondo cui Lorenzo “primis hic in terra altum deduxit Olympum”. Per questo trionfo egli stesso avrebbe inoltre composto la Canzone dei sette pianeti.
Durante il governo (1494-1498) del domenicano Girolamo Savonarola, laude e processioni religiose, già praticate in altri periodi dell’anno, assorbono l’attenzione in luogo delle manifestazioni carnevalesche. Queste verrebbero però riprese già nel breve periodo repubblicano che precede il ritorno dei Medici (1512). In questa fase potrebbe essersi delineata l’idea di un diretto collegamento tra l’attività politica e culturale di Lorenzo e il Carnevale. Savonarola scrive che il Tiranno ““studia di fare ch’el popolo sia occupato circa le cose necessarie alla vita; e però, quanto può, lo tiene magro con gravezze e gabelle. E molte volte, massime in tempo di abondanzia e quiete, lo occupa in spettaculi e feste, acciò che pensi a sé e non a lui””. Machiavelli ritiene che ““il fine suo era di tenere la città abbondante, unito il popolo e la nobiltà onorata””.
Dopo il rientro mediceo, il Carnevale assolve decisamente alla funzione di celebrare la dinastia esaltando il periodo del principato di Lorenzo; la stessa spettacolarità è presentata come continuazione dei fasti del Magnifico. A quest’epoca risalirebbero le prime edizioni a stampa di canti carnascialeschi. Al tempo del ducato, il Carnevale viene infine a inscriversi pienamente nel cerimoniale di corte.
Le fonti dei canti carnascialeschi
Il corpus di canti carnascialeschi è tramandato da sette manoscritti fiorentini e uno perugino. Al primo Cinquecento risalgono alcune edizioni a stampa illustrate, come quella delle Canzone per andare in maschera per Carnesciale (1515 ca.).
La tarda raccolta compilativa di Grazzini, Tutti i trionfi, carri, mascherate o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico Lorenzo vecchio de’Medici; quando egli hebbero prima cominciamento per infino a questo anno presente 1559, rinuncia invece all’apparato di illustrazioni tradendo ambizioni prettamente letterarie.
Sono frequenti i casi in cui le musiche dei canti carnascialeschi vengono riadattate per cantare laude devote. Laude dello stesso Lorenzo sono conservate nei manoscritti con l’indicazione cantasi come; così è anche per Quant’è grande la bellezza da cantarsi con la musica del noto Trionfo di Bacco e Arianna. Di molti canti carnascialeschi si può quindi ricostruire la musica grazie alle laude trascritte o stampate con la notazione musicale dalla fine del secolo XV a tutto il XVI.
Lorenzo il Magnifico e la musica
L’interesse di Lorenzo per la musica non pare dettato, secondo più di un commentatore, dalla sola competizione tra corti e dalla politica del prestigio.
La musica ha certamente una parte importante nel dare lustro alla figura pubblica del Magnifico, ma Lorenzo sarebbe animato soprattutto da una sincera passione per la pratica musicale, che è sorretta anche da una buona istruzione musicale ricevuta fin da bambino e da applicazione ed esperienza. Se non lo si può definire pienamente un professionista della musica, Lorenzo è senz’altro buon intenditore e musicista amatore di ottimo livello, come mostrano vari documenti.
Giuliano Catellaccio
Richiesta di aiuto
Lettera a Lorenzo il Magnifico
Spectabilis vir et mi maior singualirissime etc. Questa sola per avisarvi come io vi mando uno faxiano per l’apportatore di questa. Non ho altro al presente che mandarvi. Appresso, perché fornito il tempo ho a stare qui, non ho alcuno aviamento, il perché vi pregho siate con gli maestri di doana e ingegnativi abia un passo. A voi ricorro, non avendo alcuno altro protreptore, e come servitore dela casa vostra che sempre son stato e sono; perché anchora essendo io stato vostro maestro dela viola, il discepolo ha a preghare e impretare [sic!] pel maestro. Però ricorro ala vostra reverenza, ala quale sempre mi raccomando. Ex Castro Fiorentino, primo decembris 1466. Per lo vostro servitore Giuliano Sopradetto Catellaccio.
MAP, XXIII, 92 (Mediceo Avanti il Principato)
Cantore egli stesso e forse improvvisatore alla maniera dei fiorentini “cantimpanche”, nella sua produzione poetica sono molti i titoli di cui è nota la destinazione musicale. Sicuramente suoi sono 11 canti carnascialeschi e accanto a questi vi sono le laude devote, le ballate, come Un dì lieto già mai, messa in musica da Heinrich Isaac (1450 ca. - 1517), e liriche diverse, come la canzone Amor ch’ai visto ciascun mio pensiero, che fu inviata a Guillaume Du Fay con la richiesta di comporne la musica, che non è però pervenuta.
I compositori
Il primo musicista affermato che si leghi ai canti carnascialeschi è lo stesso Heinrich Isaac, attivo a Firenze dal 1485. Prima di Isaac non si conoscono nomi di compositori che si dedichino a musiche per il Carnevale e questo potrebbe confermare quanto scrive Grazzini facendo pensare a un intervento artistico sulla tradizione promosso dallo stesso Lorenzo, in cui Isaac è coinvolto. Alla figura dello stesso Isaac, secondo D’Accone, si deve la nascita di una “nuova scuola fiorentina”, segnata da una cantabilità chiara e ben articolata o dall’uso di elaborate tecniche canoniche e imitative, oltre che dalla ricerca di contrasti e varietà ritmica, con autori quali Alessandro Coppini, Bartolomeo degli Organi, detto Baccio, e Giovanni Serragli.
Da quanto risulta dai documenti disponibili, Isaac inizia la sua attività come maestro della cappella di San Giovanni a Firenze nell’estate 1485. Da quest’anno può quindi datarsi il suo contributo alla composizione di canti carnascialeschi. A Firenze rimane fino al 1497, anno in cui entra al servizio della corte imperiale a Innsbruck, per poi ricomparire in Toscana dal 1512 sino alla sua morte, con incarichi diplomatici da parte di Massimiliano I.
Il lascito musicale di questo esponente del polifonismo nordico, che, come molti altri, fa carriera al di qua delle Alpi, è importante: messe, mottetti, la raccolta sacra conosciuta come Choralis Constantinus e un centinaio tra chansons, lieder, ballate e canti carnascialeschi, oltre ad alcune musiche strumentali. La sua vicinanza alla corte di Lorenzo, che è assai lecito ritenere il fautore della sua venuta a Firenze, è attestata da varia documentazione e da composizioni dedicate alla signoria. Isaac avrebbe anche istruito alla musica i figli del Magnifico, tra cui Giovanni de’Medici, il futuro Leone X . La raffinatezza della sua arte è ben presente al principe, che ne apprezza la qualità e scrive che i suoi canti sono “di diverse maniere et gravi et dolci et anchora ropti et artificiosi”.
Il repertorio: poesia e musica
Su 300 testi letterari di canti carnascialeschi, 70 sono pervenuti con la trascrizione della musica. Difficile è però istituire una cronologia per la gran parte del repertorio, salvo per i componimenti attribuiti a Lorenzo e per pochi altri – soprattutto alcuni certamente situabili nel secolo XVI. Lo stesso Grazzini lamenta, nel comporre la sua raccolta del 1559, le difficoltà incontrate nella ricerca di informazioni sui canti.
Come suggerisce ancora Grazzini retrospettivamente, i caratteri letterari e musicali dei canti carnascialeschi sono riconducibili alle innovazioni dello stesso Lorenzo. Dove in precedenza si cantavano semplicemente “canzoni a ballo”, il Magnifico “pensò di variare, e non solamente il canto, ma le invenzioni e il modo di comporre le parole, facendo canzoni con altri piedi vari”. Nei canti carnascialeschi attribuiti a Lorenzo, tutti organizzati su modelli di ballata, più della metà usano il verso endecasillabo, fin da quello che sarebbe il primo composto dal Magnifico, la Canzone de’ confortini: “Berricuocoli, donne, e confortini”. Per quanto riguarda le “invenzioni” – che Lorenzo avrebbe variato istituendo così una nuova tradizione –, i testi dei canti carnascialeschi danno la parola alla maschera, sia quella di arti e mestieri (i fornai, gli innestatori) o di condizioni sociali (la malmaritata, gli accattoni), sia quella di figure mitologiche (Bacco e Arianna) o di virtù (i “visi addrieto”); comune a molti canti il doppio senso erotico e in tal senso vanno letti l’infornare dei fornai e l’innestare degli innestatori, così come poi il combattere delle amazzoni.
Canzone delle amazzoni (adespota)
Donne siàno, use in battaglia,
che vestiàn di piastre e maglia.
Sian l’amazzone chiamate,
gran maestre d’ogni guerra,
di più regni incoronate,
vincian sempre in mare e ‘n terra;
tristo l’uom che l’arme afferra
per voler con no’ far prova:
ognun po’ vinto si trova,
contra noi non è chi vaglia.
Quante volte abbiàn la pancia
fatta lor del sangue rossa!
Nostro scudo a ogni lancia
regge forte ogni percossa;
reston gli uomin’ vinti e stanchi:
in noi par che si rinfranchi,
con furor che gli sbaraglia.
Non ci piace il fuso o l’ago,
ma d’aver il caval sotto,
che, se fussi com’un drago,
lo facciàan latin di botto:
galoppare e ir di trotto,
saltar, correre e ir piano,
drieto e ‘nnanzi a ogni mano;
pur è me’ quando si scaglia.
Grazzini ricorda come anche le musiche dei canti carnascialeschi di Lorenzo sarebbero state nuove, per volontà dello stesso: “e la musica fevvi comporre con nuove e diverse arie”. Il compositore riferito da Grazzini è lo stesso Isaac. Si può ritenere che tali novità consistessero nella scrittura polifonica e nell’assunzione di modalità musicali più complesse, dato che Grazzini ricorda che la Canzone de’ confortini fu “composta a tre voci” – ma la musica non è disponibile. La polifonia a tre o a quattro voci – quest’ultima comune nel secolo XVI –, pure negli esempi più elaborati, non mette comunque in ombra la chiarezza dell’incedere. L’animazione delle voci interne raramente entra in gioco come contrappunto imitativo ma ha invece valore di propulsione ritmica, salvo in pochi momenti in cui singole frasi melodiche sono imitate tra due voci a motivo di enfasi di specifici passi testuali.
Caratteristiche dell’esecuzione
I canti carnascialeschi sono destinati in primo luogo a un’esecuzione all’aria aperta, nelle strade fiorentine, in mascherate, carri e trionfi del Carnevale, sebbene non manchino attestazioni di un uso anche domestico. Esemplare l’illustrazione nell’edizione delle Canzone per andare in maschera (1515 ca.), che ritrae Lorenzo all’ascolto di un quintetto di cantori (tre adulti e due fanciulli) in veste turchesca mentre mostrano dolciumi alle donne affacciate alle finestre; è il canto dei venditori di “confortini”. Impressionanti dovettero essere gli allestimenti dei trionfi, come quelli dei “sette pianeti”, citati da Filippo da Gagliano nel 1489, che scrive di “una magna mumieria con sette trionfi di sette pianeti, con mille belle cose e invenzioni di mano del maestro”. Grazie alle Vite di Vasari si può avere un’idea delle feste carnevalesche del 1513, che coinvolsero più di 900 partecipanti e un totale di dieci carri. Impressionante la ricostruzione – sempre nelle Vite – del trionfo del Carro della morte – precedente il 1512 – a preparare il ritorno dei Medici.
Giorgio Vasari
Le Vite, parte IV
[…] e sopra il carro era una Morte grandissima in cima, con falcie in mano, ed aveva in giro al carro molti sepolcri col coperchio: ed in tutti que’ luoghi che il trionfo si fermava a cantare, s’aprivano e uscivano alcuni vestiti di tela nera, sopra la quale erano dipinte tutte le ossature di morto nelle braccia, petto, rene e gambe […]; questi morti, al suono di certe trombe sorde e con suon roco e morto, uscivano mezzi di que’ sepolcri, e sedendovi sopra, cantavano in musica piena di malinconia quella oggi mobilissima canzone: Dolor, pianto e Penitenza, ec. […] Appresso al trionfo si strascinava dieci stendardi neri; e mentre camminavano, con voci tremanti ed unite diceva quella compagnia il Miserere, salmo di Davit.
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani
Secondo quanto scrive Grazzini in una lettera (1558), l’accuratezza dell’esecuzione musicale e la qualità fonica non sono l’elemento centrale della mascherata ma anche la musica partecipa della dimensione mimetica: ““E che diavolo sono eglino poi altro, che Canti Carnascialeschi? Composizione plebeia e del volgo; e [ ] quanto peggio stanno, tanto è meglio, e tanto più piacciono”.