GROOT, Huig van (Grotius)
Nacque il 16 aprile 1583 a Delft (Olanda). Avuta la prima educazione da un pastore riformato, nel 1594 s'immatricolava nell'università di Leida, dove ebbe a maestri Scaligero e Francesco Junius. Nell'ambiente umanistico di Leida il G. coltivò le lingue e le letterature classiche, si distinse negli studî di filologia e di erudizione, ma non conseguì titoli accademici. Il grande pensionario I. van Oldenbarneveldt lo volle con sé in un'ambasciata a Parigi presso Enrico IV. Entrò in rapporti tra gli altri con l'erudito J. A. de Thou e conseguì il titolo di dottore in legge a Orléans (5 maggio 1598). Ritornato in patria si dedicò all'Aia alla professione forense. Un conflitto diplomatico col Portogallo gli diede occasione di scrivere il trattato De iure predae. Un capitolo di esso col titolo Mare liberum, pubblicato anonimo nel 1609, comparve col suo nome nel 1618. Nel 1607 il G. divenne avvocato generale delle provincie d'Olanda, Zelanda e Frisia occidentale. Alla morte di Arminio (v. arminius) compose un carme in suo onore, e ciò lo pose in sospetto presso i gomaristi. Nel 1613 fece parte di un'ambasciata in Inghilterra per risolvere un conflitto diplomatico relativo al commercio olandese nei mari indiani. Non fu estraneo a tale missione lo scopo d'interessare Giacomo I alla causa dei rimostranti. In quegli anni G. aveva coltivato intensamente gli studî teologici, confermandosi vieppiù nelle dottrine arminiane. Divenuto nel 1613 pensionario di Rotterdam, ebbe parte preminente nelle controversie teologiche del suo paese in unione a varî capi rimostranti. A questo periodo risalgono i suoi scritti polemici in difesa della politica religiosa seguita dagli Ordini nei rapporti coi controrimostranti. L'appoggio dato a questi ultimi da Maurizio d'Orange e da Giacomo I decise le sorti degli arminiani e del governo di Oldenbarneveldt. Alla condanna nel sinodo di Dordrecht (1618) seguì la condanna a morte di Oldenbarneveldt e la condanna di G. alla prigionia perpetua nel castello di Loevenstein (18 maggio 1619). Dopo soli due anni di prigionia, con l'aiuto della moglie, Maria van Reigersbersh, riuscì a fuggire e a riparare a Parigi, dove pubblicava nel 1625 l'opera sua più famosa, il De iure belli ac pacis. Riusciti vani tutti i tentativi da lui fatti per tornare in patria, nel 1634 accettò la carica di ambasciatore di Svezia a Parigi. Dopo aver tenuto la carica per dieci anni con scarso successo, ottenne di essere esonerato per ragioni di salute (1645). Sfuggito a un naufragio, riparò a Rostock dove ammalò e venne a morte il 28 agosto 1645. Ebbe sepoltura nella chiesa di Delft.
L'importanza storica del G. è legata non tanto ai suoi studî storico-filologici, al carattere umanistico della sua cultura, quanto all'attività teologica e giuridica da lui spiegata, sotto la pressione degli avvenimenti eccezionali nei quali si trovò coinvolto nei primi decennî del secolo. D'indole dolce, conciliante, il G. nelle controversie teologiche fra arminiani e gomaristi fu per la moderazione e per la tolleranza reciproca. Il favore dimostrato per le dottrine arminiane fu in lui determinato dalla convinzione che esse meglio servivano alla causa della pace, all'autorità e agl'interessi dello stato, al prestigio stesso della fede.
Il C. fu avverso al dogma luterano della giustificazione per la fede senza le opere, al dogma più propriamente calvinista della predestinazione e della grazia; egli vedeva in tali dogmi il disconoscimento dei valori umani, specialmente di quelli politici e civili, nonché un'offesa alla divinità. È evidente nel G. la tendenza a interporsi tra arminiani e gomaristi nella questione della predestinazione, conciliando la dottrina preagostiniana dei primi con quella agostiniana dei secondi. Né meno evidente è in lui la tendenza a subordinare la ragione al dogma che non può però a quella contraddire. D'altra parte il G. nella scelta, determinazione e valutazione dei dogmi ebbe sempre di mira il loro significato etico e civile. Egli affermò la sua indipendenza di pensiero rispetto a tutte le confessioni religiose e direzioni teologiche del suo tempo, anche verso i sociniani, ai quali è inesattamente avvicinato. È nota la sua polemica con Socino in ordine al modo d'intendere l'opera di Cristo nella redenzione. Non sfuggirono al G. i riflessi politici della controversia teologica tra arminiani e gomaristi. Essa coinvolgeva la questione dell'intervento dello stato in materia teologica e non solo religiosa. E il problema era aggravato dal carattere di religione di stato riconosciuto alla chiesa riformata in Olanda. In una prima fase, corrispondente alla sua partecipazione al governo di Oldenbarneveldt, il G. non ebbe dubbî sulla legittimità dell'intervento dello stato nelle lotte religiose e sul suo diritto di decidere in merito a questioni teologiche indipendentemente dai sinodi, quando lo imponessero le esigenze dello stato e della pubblica pace. Tale tesi il G. sosteneva nel De imperio summarum potestatum circa sacra (1614), che inspirò la politica olandese contro i gomaristi. Nell'interesse della religione e dello stato il G. la ruppe col particolarismo religioso nato dalla riforma protestante per elevarsi all'idea di una religione universale fondata sulla rivelazione e sulla tradizione evangelica, e lottò per attuare l'unità religiosa dell'umanità nelle forme del diritto e con l'appoggio dello stato.
La politica ecclesiastica del G. fu tragicamcnte interrotta e soffocata nel 1618. Non perciò il G. abbandonò la sua idea di preparare la pace religiosa fondata sull'unità di tutte le confessioni non esclusa la cattolica. Se non che egli si convinse che l'attuazione della sua idea era condizionata dall'organizzazione giuridica degli stati all'infuori di qualsiasi presupposto religioso. Di qui la prima idea del De iure destinato ad attuare tra i popoli cristiani la pace e l'unità giuridica da cui solo può dipendere la pace e l'unità religiosa. Si spiega dopo ciò come il problema centrale del De iure fosse quello di un diritto, di una giustizia naturale, la quale valesse universalmente, quali che fossero le credenze religiose. Il G. divenne così il fondatore e il rappresentante di quella scuola che fu detta del diritto naturale perché in essa era implicita la tendenza ad affermare la naturalità del diritto, in contrapposto all'idea cristiana di una giustizia sovrumana, eterna. Nella natura umana si devono ricercare i germi della giustizia naturale, germi che la ragione può svolgere e sistemare. Il diritto naturale procede per G. dall'appetitus societatis che porta l'uomo a unirsi coi suoi simili in una convivenza pacifica e razionalmente ordinata. Conservare la società umana è il fine e la ragione del diritto naturale. L'utilità non ne è la causa, ma solo l'occasione. Il G. riconosce l'esistenza di un diritto naturale volontario, cioè di un diritto che la volontà crea nelle forme del patto a integrare e a svolgere il diritto naturale assoluto, poiché solo nello stato originario d'innocenza e di semplicità gli uomini vivevano in comunione di vita e di beni secondo le norme del diritto naturale assoluto. Col corrompersi dei costumi, col moltiplicarsi dei bisogni, col sorgere dell'agricoltura, gli uomini si fissarono al suolo e convennero di por fine allo stato di comunione per instaurare un ordine sociale fondato sulla proprietà privata. La categoria del patto diveniva per tal modo la categoria suprema dell'ordine giuridico, il quale in tutte le sue parti trae validità e stabilità dal patto, la cui osservanza è di diritto naturale assoluto. La ragione e l'utilità consigliano che, a meglio garantire i patti e la pace, gli uomini convengano di organizzarsi in società civili. Lo stato è originato da un patto col quale gli uomini convengono di affidare la determinazione e l'applicazione del diritto naturale a un sovrano, e di sottoporsi irrevocabilmente al suo volere. Se è vero che il sovrano deve usare del potere nell'interesse comune e per meglio garantire il godimento del diritto naturale, è vero anche che egli esercita il potere per diritto proprio, in senso assoluto, così che nessuna garanzia rimane al cittadino contro l'arbitrio. All'ordinamento interno degli stati deve corrispondere il loro ordinamento esteriore sul fondamento del diritto naturale. Questo aspetto internazionale del problema della giustizia fu la ragione prima e ultima del De iure. Anche i rapporti internazionali devono potersi regolare col patto che implica uguaglianza e riconoscimento reciproco di diritti e di doveri. Il G. vide l'inscindibilità del problema della guerra e della pace da quello della giustizia. Per lui la guerra acquista un carattere e significato giuridico. Vi sono guerre giuste e guerre ingiuste. Quando vi è violazione del diritto, la guerra diventa la giusta necessaria sanzione. D'altra parte non si può parlare di pace vera se questa non si fonda sulla giustizia. Le convenzioni fra gli stati determinano fra di essi la norma di giustizia volontaria che non può essere violata senza provocare, come legittima sanzione, la guerra. La quale, anche se giusta, deve essere condotta con certe norme di umanità, in rapporto ai suoi fini; col G. s' iniziava la procedura giuridica della guerra. L'unione giuridica convenzionale degli stati non era la sola garanzia di sicurezza e di pace: essa doveva preparare l'intesa dei popoli d'Europa sulla base della comune civiltà cristiana. Fu questo l'ideale che confortò gli ultimi anni dell'esistenza del G.; non valsero a fargli perdere la fede nel suo trionfo né le rivalità delle sette protestanti, né l'accentuarsi degl'interessi antagonistici ed egemonici degli stati nazionali in via di formazione. E sperò nel cattolicismo romano, di cui apprezzava così il valore sociale, come l'organizzazione unitaria della fede e del culto.
Opere. - A) Opere letterarie e poetiche: Poemata... edita a fratre G. Grotio, Leida 1617 (comprende odi, epitalamî, poemi, composti soprattutto nel periodo giovanile). Delle tragedie scritte dal G. ricordiamo Adamus exsul, Aia 1601; Christus patiens, Leida 1608; Sophompaneas, Amsterdam 1635 (cfr. Tragoediae selectae, Monaco 1845).
B) Opere filologiche: Nel 1599 pubblicò l'edizione di Marziano Capella; nel 1600 l'Aratus; nel 1604 l'ed. di Teocrito, Mosco, Bione e Simmio; nel 1614 curava l'ed. della Farsaglia di Lucano. Seguirono: Dicta poetarum quae apud Stobaeum exstant, Parigi 1623; Excerpta ext ragoediis et comoediis graecieu, Parigi 1626; la trad. latina delle Fenicie di Euripide, Parigi 1630; l'ed. di Tacito (1640). Postume furono pubblicate le Sententiae philosophorum de fato (Parigi 1648); le tragedie di Seneca (Delft 1728); un'Anthologia Graeca con la trad. latina in 5 volumi (Utrecht 1795-1822).
C) Opere storiche: Liber de antiquitate Reipublicae Batavicae, Leida 1610; Chronicon Hollandiae, Leida 1617; Grollae obsidio, Amsterdam 1629; Dissertatio de origine gentium Americanarum, Amsterdam 1642; Dissertatio altera de origine gentium Americanarum advrrsus obtrectatorem, Parigi 1643. Furono pubblicate postume: Historia Gotthorum, Vandalorum et Langobardorunt, Amsterdam 1655; Annales et histotiae de rebus belgicis, Amsterdam 1657; Parallelon Rerumpublicarum, liber tertius, Haarlem 1801-1803.
D) Opere teologiche: Defensio fidei catholicae de satisfactione Christi adversus Socinum, Leida 1617; Disquisitio an Pelagiana sint ea dogmata qua nunc sub eo nomine traducuntur, Parigi 1622; De veritate religionis christianae, Leida 1627 (e numerosissime ediz. seguenti; trad. in undici lingue. È l'unica opera di Grozio tradotta in italiano: Brescia 1762; Piacenza 1788; Foligno 1806-07): Dissertatio de Coenae administratione, Amsterdam 1638; Annotationes in libros Eevangeliorum (Amsterdam 1641); ad Vetus Testamentum (Parigi 1644). Postume furono pubblicate le Annotationes ad Novum Testamentum (Parigi 1646-1650). L'ed. delle Opera omnia theologica in voll. 4 fu fatta dal Blaeu ad Amsterdam nel 1679 (2ª ed., Basilea 1732).
E) Opere politiche e giuridiche: a) opere di politica ecclesiastica: Ordinum Hollandiae ac Westfrisiae pietas, Leida 1613; Bona fidess Sibrandi Lubberti, Leida 1614; Decretum Ordinum Hollandiae et Westfrisiae pro pace ecclesiarum, Leida 1614; De imperio summarum potestatum circa sacra, Parigi 1647; Apologeticus, Parigi 1633; Via ad pacem ecclesiasticam, Parigi 1642; Votum pro pace ecclesiastica contra Rivetum, Amsterdam 1642; Rivetuabu Apologetici discussio, Amsterdam 1645. b) Opere giuridiche: De iure praedae commentarius, Aia 1868; Mare liberum, Leida 1609; De iure belli ac pacis libri tres, Parigi 1625; altre edizioni di Amsterdam 1631, 1632, 1642, 1646 (l'ediz. del 1632, aumentata dlle note dell'ed. del 1642, deve considerarsi come la redazione definitiva; ed. recente, riprodotta da quella del 1646, Washington 1913). Sempre consultate sono le traduzioni francesi del Barbeyrac (1724) e di Pradier-Foderé (1867). Altre opere giuridiche del G. sono: L'introduzione alla giurisprudenza olandese (Aia 1631 in olandese; ed. con traduzione inglese e note dal Lee, Oxford 1926); Florium sparsio ad ius Iustinianeum, Parigi 1642.
F) Epistole: Epistolae quotquot reperiri potuerunt, Amsterdam 1687. Nel 1928 è stato pubblicato il primo volume dell'ediz. critica delle opere di G. (comprende le lettere fino all'agosto 1618).
Bibl.: Per la bibliografia delle opere del Groot e della letteratura relativa: Concise Bibliography of H. Grotius, per cura di J. ter Meulen, Leida 1925. Essa è continuata in Grotiana, di cui furono pubblicati due fascicoli nel 1928 e nel 1929.