SCHUCHARDT, Hugo
Linguista, nato a Gotha il 4 novembre 1842, morto a Graz il 21 aprile 1927. Oriundo da colta famiglia borghese, studiò prima a Jena con lo Schleicher, poi a Bonn col Ritschl e col Diez; qui si laureò nel 1864, nel 1870 conseguì a Lipsia la libera docenza in filologia romanza, nel 1873 fu nominato professore ordinario a Halle, poi nel 1876 passò a Graz dove insegnò fino al 1900. Visse il resto della vita a Graz, dedito ormai esclusivamente all'attività scientifica.
L'innata curiosità per lo studio delle lingue e la propensione per le ricerche filologiche e storiche egli applicò primamente alla storia del latino volgare. Nel Vokalismus des Vulgärlateins (I-III, Lipsia 1866-68) è il filologo latinista che per la prima volta sistematicamente tenta una storia del latino volgare, ottenuta direttamente sulle iscrizioni e sulla grafia dei manoscritti dei bassi secoli, che ancor oggi ha valore fondamentale; inoltre questo libro, in un momento in cui la scienza era soprattutto intenta a ricostruire comparativamente l'unità delle lingue romanze, si pone invece il problema della loro varietà; problema ripreso di proposito nella lezione di abilitazione Über die Klassifikation der romanischen Mundarten (Graz 1900), dove si dimostra che le varietà romanze non sono delimitabili le une dalle altre con netti confini, come presupponeva l'antica teoria genealogica che le concepiva quali rami distinti, staccatisi dal comune eeppo della latinità, ma piuttosto, nell'insensibile digradare dell'una nell'altra, devono essere concepite come il risultato di una complessa sovrapposizione di correnti innovatrici. Come romanista lo attrassero soprattutto problemi che allora parevano di eccezione: come quello delle lingue creole (Kreolische Studien, I-VIII, 1882-90, in Sitzungsberichte der Wiener Akad., CI, CIII, CV, CXVI, CXVII) e in generale quello degli effetti risultanti dal contatto e dalla sovrapposizione di lingue diverse (Slawo-Deutsches und Slavo-Italienisches, Graz 1884). Passò quindi allo studio di dialetti celtici e del basco, dapprima per isolarne gli elementi romanzi (Romano-Baskisches, in Zeitschrift f. rom. Philologie, XI, 1887, XXIII, 1900, XXIX, 1905, XL, 1919), quindi per determinarne alcuni caratteri grammaticali (Baskische Studien, in Denkschriften der Wiener Akad., XLII, 1893), infine per stabilirne la parentela che fissò con le lingue caucasiche per alcuni elementi grammaticali più antichi, e con il camitico per elementi più recenti (Baskisch und Hamitisch, in Revue Basque, VII, 1913, VIII, 1914), o per precisarne i rapporti con l'antico iberico (Die iberische Deklination, in Sitzb. cit., CLVII, 1907). Da queste ricerche fu tratto a occuparsi direttamente di alcune varietà caucasiche (Khartwelische Sprachwissenschaft, I-III, in Wiener Zeitung f. d. Kunde des Morgenlandes, X-XI, 1896-97), d'iberico, e speeialmente di berberico (Berberische Studien, ibid., XXII, 1908; Die rom. Lehnwörter im B., in Sitzb. cit., CLXXXVIII, 1918).
Il contributo dato dallo Sch. alla lessicografia e all'etimologia romanza, da termini di questo o di quel dialetto, a voci costituenti problemi panromanzi, come quelli esprimenti i concetti di "andare" o "trovare", è enorme e si distingue per la ricchezza e l'esattezza del materiale comparato, per l'acutezza con cui sono ritrovati inaspettati riavvicinamenti di immagini e di parole; più importante ancora l'insegnamento metodico che egli trasse da queste ricerche e ripetutamente rilevò (Romanische Etymologien, I-II, in Sitzb. cit., CXXXVIII, 1897, CXLI, 1899; Cose e parole, in Rassegna contemporanea, IV, 1911). Per lo Sch. la ricerca etimologica, più che mirare a ricostruire l'aspetto e il significato più antico di una parola, si allarga a fare una vera e propria storia della parola in quanto in essa si riflettano la cultura e la mentalità di chi di mano in mano l'adoperò (v. etimologia). In generale poi la concezione della linguistica storica come storia della cultura fece sì che lo Sch. più deliberatamente e prima di altri insorgesse contro la concezione puramente evoluzionistica di una lingua i cui mutamenti fonetici sarebbero uniformemente retti da leggi (Über die Lautgesetze. Gegen die Junggrammatiker, Berlino 1885). Vige qui il concetto che l'uniformità nel mutamento dei suoni, lungi dall'essere una legge che s'impone alla singolarità della parola e all'individualità del parlante con il carattere di una legge biologica, è il risultato di un conguagliamento (analogia fonetica), raggiunto per imitazione, semplice effetto sociologico del contatto che ogni individuo ha con la comunità linguistica; ma poiché il concetto di legge presuppone quella di lingua nettamente delimitata, lo Sch. lo scalza riprendendo qui il motivo svolto nella Klassifikation. A questo modo egli giunge pure a rovesciare il concetto della parentela genealogica delle lingue e vi sostituisce quello di un continuo succedersi e sovrapporsi e mescolarsi di contatti culturali attraverso il quale si determina la storia di una lingua. Questa critica del concetto di parentela conduce infine lo Sch. ad asserire che la parentela storica costituisce una perenne antinomia con la parentela elementare, cioè con quei procedimenti con cui l'individuo elabora la materia linguistica, procedimenti che, indipendentemente da contatti storici, sono uniformi perché fondati sull'uniformità dello spirito umano; donde la conclusione che poligenesi e monogenesi sono i due momenti entro i quali si tesse la storia linguistica (Sprachverwandschaft, I-II, in Sitzb. der Berliner Akad., 1917-1926). Dalle forme più semplici di questa elaborazione della materia linguistica egli trasse il punto d'appoggio più sicuro per formulare ipotesi su procedimenti primitivi del linguaggio umano (Sprachursprung, I-II, in Sitzb. cit., 1919); eosì come nei procedimenti spiritualmente più elevati di essa egli vide il fondamento naturale che giustifica la formazione delle lingue artificiali (Auf Anlass des Volapüks, Berlino 1888; Weltsprache u. Weltsprachen, Strasburgo 1894). Caratteristico dello Sch. fu l'aver tenuto costantemente presente che la lingua non va studiata per sé, ma in funzione di chi la parla; segno esteriore di questa concezione sono dapprima l'interesse suo per la letteratura e il folklore di popoli romanzi e celtici (Ritornell und Terzine, Halle 1874; Keltische Briefe) e più tardi l'attenzione da lui rivolta a problemi etnografici. Conseguenza essenziale di questa sua posizione è che lo Sch. viene salutato capo del movimento che andò facendo della linguistica una disciplina nettamente storica, mentre l'interesse suo per l'attività dell'individuo linguistico fa sì che la linguistica idealistica pure riconosca in lui uno dei suoi precursori. Proclive a mettere in rilievo i procedimenti del linguaggio, li affrontò con una soda cultura di psicologo e soprattutto con la sorprendente acutezza di uno spirito ragionatore, rotto alla critica dei concetti. Sensibile a ogni sfumatura del pensiero, egli fu essenzialmente un grande superatore di antinomie e di schemi; attraverso alla risoluzione continua di contrasti, come per mezzo di un perpetuo lavorio di successive sfaccettature, ridusse a pensiero scientifico l'intuizione che egli ebbe del linguaggio come di un perpetuo divenire. Questo suo metodo critico, fortemente personale, che procede per successivi approfondimenti più che non si adagi in sistemi, da una parte ci rappresenta la sua concezione stessa del sapere, dall'altra è l'espressione più schietta della sua forte individualità.
Cenni autob., in Der Individualismus und die Sprachforschung, in Sitzb. d. Wiener Akad., CCIV (1925); M. Friedwagner, H. Sch., in Zeitschrift f. rom. Philol., XLVIII (1928), pp. 241-260; E. Richter, H. Sch.'s wissenschaftliche Persönlichkeit, in Neuere Sprachen, XXXVI (1928), pp. 35-48; L. Spitzer nella pref. a H. Sch. Brevier. Ein Vademecum der allgemeinen Sprachwissenschaft zusammengestellt und eingeleitet von L. S., 1ª ed., Halle 1922; 2ª ed. 1928 (con bibl. completa).