Münsterberg, Hugo
Psicologo e filosofo tedesco, naturalizzato statunitense, nato a Danzica il 1° giugno 1863 e morto a Cambridge (Massachusssetts) il 16 dicembre 1916. Scrisse un solo testo sul cinema, The photoplay: a psychological study (1916; trad. it. 1980), che pubblicò poco prima di morire, al culmine di una carriera accademica dedicata alla psicologia sperimentale; in questo saggio elaborò una delle prime teorie dello spettatore cinematografico, focalizzando l'attenzione sui mezzi mentali coinvolti nella percezione del film. Il suo contributo è stato rivalutato negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, nel contesto della svolta cognitivista che ha attraversato gli studi sul cinema.
Di famiglia borghese, dopo gli studi in psicologia sociale e medicina compiuti presso le università di Ginevra e di Lipsia, nel 1891 conobbe a Parigi, al primo congresso internazionale di psicologia, il filosofo W. James, che lo fece chiamare alla Harvard University per l'allestimento del laboratorio di psicologia. Nel 1897 assunse la direzione del laboratorio e la cattedra di psicologia sperimentale, che avrebbe tenuto fino alla morte. L'anno seguente venne eletto presidente dell'American Psychological Association e anche in questa veste svolse un'intensa attività per promuovere le relazioni culturali tra gli Stati Uniti e la Germania, Paese cui rimase sempre profondamente legato.
L'attività teorica di M. si sviluppò in due direzioni principali, tra loro idealmente connesse. Da un lato elaborò una filosofia dei valori di carattere sistematico, traendo ispirazione dall'idealismo etico di J.G. Fichte, oltre che dalla scuola del Baden (Philosophie der Werte, 1908). Più fortuna ebbero tuttavia i suoi lavori nel campo della psicologia sperimentale (Grundzüge der Psychologie, 1900; Psychology general and applied, 1914), che nel corso degli anni si indirizzarono verso la psicologia applicata (Grundzüge der Psychotechnick, 1914). Pionieristiche furono inoltre le sue ricerche sulla psicologia forense (On the witness stand, 1908) e sull'attendibilità delle testimonianze processuali.In questa prospettiva filosofico-scientifica maturò anche un interesse non occasionale per le arti e l'estetica, di cui The photoplay costituisce una testimonianza significativa. Privilegiando il cinema di finzione, M. ne analizza i mezzi tecnici ed espressivi attraverso il confronto con i dispositivi propri del teatro. Le carenze strutturali della rappresentazione cinematografica ‒ la bidimensionalità dell'immagine e l'impossibilità di 'catturare' suoni e colori dalla realtà ‒ sono infatti compensate dall'attività dello spettatore, il quale crea, sia pure involontariamente, le illusioni della profondità e del movimento. In questa attività costruttiva un ruolo determinante è svolto dai mezzi tecnici e linguistici del cinema, come il flashback, il flashforward e, soprattutto, il primo piano, che oggettivano importanti funzioni mentali, quali la memoria, l'immaginazione e l'attenzione, spingendo lo spettatore in un universo a sé stante, in cui il corso degli eventi è plasmato dalle leggi dell'associazione psichica. Coerentemente con questa impostazione, che scarta il problema del rapporto tra immagine e realtà, nella seconda parte del saggio M. guarda al film attraverso un'estetica di matrice neokantiana (già sviluppata peraltro in The principles of art and education, 1905), negando a esso ogni finalità conoscitiva o pratica, per associarne il valore artistico al rispetto di alcune 'leggi' generali del racconto ‒ l'unità d'azione e dei personaggi, e l'unità della forma ‒ volte a rafforzare il rapporto tra l'opera e il suo fruitore.
G. Grignaffini, Sapere e teorie del cinema. Il periodo del muto, Bologna 1989, pp. 65-71; J. E L. Spillman, The rise and fall of Hugo Munsterberg, in "Journal of the history of the behavioral sciences", 1993, 29, pp. 322-38; A. Boschi, Teorie del cinema. Il periodo classico 1915-1945, Roma 1998, pp. 61-62, 166-73.