HITTITI (XVIII, p. 510)
Hittito geroglifico. - Con questa espressione (anche ittito o eteo geroglifico) si intende designare la lingua usata nelle iscrizioni che sono redatte in scrittura d'aspetto geroglifico, e che figurano sui reperti archeologici - spesso monumentali - trovati in una vasta zona dell'Asia minore, da Karabel (presso Izmir) sull'Egeo verso est, e soprattutto dal centro dell'Anatolia (all'interno e a sud dell'arco dell'Halys od. Kizil Irmak) fino a Hamat in Siria. Questi testi risalgono per la maggior parte ai secoli compresi tra il 1500 e il 700 a. C. Mentre i più cospicui e significativi cominciano ad apparire dopo il 1000, i più antichi esempî sicuri si hanno su un orcio funerario trovato a Kültepe, e su un sigillo del tesoro di Soloi. Per entrambi è probabile la data del 1800 circa a. C. Si presume che questi testi siano tutti redatti in un'unica lingua, ancorché i più antichi non siano stati convenientemente decifrati. Poiché la maggior parte dei testi geroglifici appartiene all'area detta dagli Assiri "paese di Hatti" (o Khatti), poiché le più antiche iscrizioni sono coeve alle iscrizioni in hittito cuneiforme (anche se la maggior parte è più recente), da lungo tempo è invalso l'uso di designare questa lingua con il nome di hittito geroglifico.
All'inizio del nostro secolo cominciarono ad apparire le prime raccolte sistematiche delle iscrizioni geroglifiche anatoliche ad opera di L. Messerschmidt, ma solo negli anni successivi al 1930 si fecero i primi passi nella decifrazione ad opera di diversi studiosi, tra i quali principalmente E. Forrer, P. Meriggi, B. Hrozný e I. J. Gelb. Grazie al metodo combinatorio e alle riconosciute affinità con altre lingue asianiche, la decifrazione ha progredito celermente, e la lingua è risultata di tipo indoeuropeo, affine all'hittito cuneiforme ma soprattutto al luvio. Già J. Friedrich, ancor prima del deciframento, aveva lanciato l'ipotesi di lavoro che dietro i geroglifici si nascondesse il luvio. Ma poiché tra il luvio e la lingua di questi geroglifici esistono differenze (per es., il luvio ha -nzi e -nza rispettivamente al nominativo e all'accusativo plurale del genere comune laddove il geroglifico ha -ai in entrambi i casi), dopo la decifrazione, si sono proposte anche le denominazioni di "luvio orientale" (F. Sommer: Ostluwisch) e di "luvio geroglifico" (P. Meriggi, 1934; H. G. Güterbock, 1957: Bildluwisch). Molti studiosi pensano infatti che il geroglifico sia una varietà o areale o cronologica del luvio. Ad ogni modo il nome di hittito geroglifico ancor oggi è forse il più usato.
Il deciframento iniziale incerto già si avviava a divenire un'interpretazione filologicamente sicura, allorché nel 1947 veniva alla luce a Karatepe (sul fiume Piramo) in Cilicia una grande iscrizione bilingue in hittito geroglifico e in fenicio (in verità una forma classica del fenicio palestinese) con tre redazioni in semitico e due in geroglifico. La possibilità di confrontare fra loro queste due ampie versioni, molto vicine, anche se scritte in lingue entrambe "difficili" ha permesso di confermare la sostanziale esattezza delle interpretazioni fino allora conseguite col metodo combinatorio e etimologico. Il contenuto della bilingue, inoltre, offriva nuovi importanti dati a questioni di storia anatolica e greca.
La scrittura geroglifica di questi testi (v. vol. XVIII, p. 512, figura) mostra certe somiglianze con i geroglifici egiziani (da qui il nome), ma ne è indipendente. Piuttosto palesa affinità genetiche con la scrittura geroglifica dei testi minoici.
La lingua hittita geroglifica già all'epoca del grande impero hittito di Hattusas doveva essere - pur nelle sue varietà areali - una lingua di libera e frequente circolazione. Dal più antico testo hittito cuneifomme, la tavola di Anitta, del 18° secolo, apprendiamo dell'esistenza di un'iscrizione su una porta della città di Nesa. Poiché in Asia Minore la scrittura cuneiforme non risulta essere stata mai usata a scopo monumentale prima dell'epoca persiana, par bene concludere che la detta iscrizione sia stata redatta in geroglifici e probabilmente nella lingua che poi ci sarà nota come hittito geroglifico.
La continuità della scrittura almeno (sono del 700 circa otto lettere private su fogli di piombo trovate ad Assur), coinciderebbe con il fatto che non è possibile ravvisare alcuno iato storico tra il grande impero hittito (che termina nel 1200) e i più piccoli principati tardohittiti o neohittiti nordsiriani, che manifestano un deciso incremento dell'uso dell'hittito geroglifico. Come gli Hittiti (indoeuropei) avevano continuato la tradizione del regno protohattico (preindoeuropeo), così i regoli recenziori continuano la tradizione del distrutto impero di Hatti, in un'area disposta ad arco intorno al golfo di Isso, a Karkamis, a Malatia, ad Aleppo, a Zencirli, ecc. La caduta di Karkamis ad opera di Sargon II (717) segna la fine di ogni significato politico della "terra di Hatti". Nulla possiamo dire sulla sopravvivenza della nazione e della lingua hittita geroglifica negli anni successivi.
Per quanto riguarda la posizione linguistica dell'hittito geroglifico, va notato che questa lingua mostra isoglosse ora con una ora con altra lingua anatolica indoeuropea, ma soprattutto con il luvio. La flessione verbale luvia e geroglifica è sostanzialmente identica; l'uso delle particelle congiuntive -ḫa, -pa, -wa coincide. Per alcuni morfemi della declinazione, invece, luvio e geroglifico si differenziano (vedi sopra). Nel lessico il geroglifico in molti casi va con il luvio (per es., ḫarmaḫi "testa", aya- "fare", ma cuneiforme iya-) in altri va con il cuneiforme (arḫa- "confine", ma luvio irḫa-). Nei casi in cui geroglifico e cuneifome coincidono si tratta pero di prestiti penetrati nel geroglifico all'epoca della preminenza politica e culturale cuneiforme.
Come esempio di materiale indoeuropeo conservato nel geroglifico si può ricordare fra l'altro: pada- "piede" (cun. pata-, luvio pati-), wawa "manzo" (indoeur. *gu̯ou̯-, gr. βοῦς); ara- "lungo" (luvio arrai-, tocario A aryu- "lungo" detto del tempo; ciò nel caso che la variante gerogl. atasia secondaria e rispecchi l'alternanza fonetica r/t che compare anche in altri casi); as- "essere" (lat. es-); at- "mangiare" (cun. ed-, luvio az-, lat. ed-); takam "terra" (cun. tekan, toc. tkam, gr. χϑών), ecc. Singolare la presenza dell'occlusiva dentale invece della nasale dentale in tapas- "cielo" (cun. nepis-, gr. νέϕος "nuvola") e in atama- "nome" (cun. laman-, lat. nomen); al primo vediamo corrispondere in lituano debesìs "nuvola", al secondo in lidio (a)tamv.
L'analisi etimologica di tre vocaboli (asuwa- "cavallo", surna- "corno" e suwana- "cane") ha indotto alcuni linguisti a classificare l'hittito geroglifico tra le lingue indoeuropee di tipo satem. Anche a non voler attribuire soverchia importanza discriminatoria al trattamento delle occlusive palatali indoeuropee, sta di fatto che un carattere satem verrebbe a distanziare il geroglifico dalle altre lingue asianiche indoeuropee (cuneiforme, luvio, palaico) almeno fin tanto che il luvio è riconosciuto di tipo kentum. In realtà il termine per "cavallo" può ben essere un prestito da una parlata aria diffuso anche altrove in Anatolia assieme alla tecnica aria dell'allevamento dei cavalli (cf. sancr. aśva-); il senso di surna- non è molto sicuro (e quindi incerto il confronto con il greco κέρνος, κέρας, ecc.), altrettanto il senso di suwana- ("maiale" ?), che pur potrebbe essere un prestito da una lingua satem.
Bibl.: Le due pagine di bibliografia presso A. Goetze, Kleinasien, 2ª ed., Monaco 1957 (= Kulturgeschichte des alten Orients, nell'Handbuch der Altertumswissenschaft di I. von Müller-W. Otto-H. Bengtson) offrono tutto l'essenziale. Sul lessico: J. Friedrich, Hethititisches Wörterbuch, Heidelberg 1952, pp. 334-336, e I. Ergänzungsheft, ivi 1957, pp. 41-42. Materiale vario nella recente Festschrift J. Friedrich, Heildeberg 1959. Sul palaico (o palaio, palaito, palavito; vol. IV, p. 918) e sulle sue relazioni con l'hittito geroglifico e le altre lingue asianiche vedi ora A. Kammenhuber, Esquisse de grammaire palaïte, nel Bull. de la Soc. de ling. de Paris, LIV (1959), pp. 18-45.