TAINE, Hippolyte-Adolphe
Storico, nato a Vouziers (Ardenne), il 21 aprile 1828, morto a Parigi il 5 marzo 1893. Compì i primi studî a Rethel e a Parigi, e, a vent'anni, entrò nella Scuola normale, dove emerse subito per il vigore delle sue convinzioni e il sapere enciclopedico. Ammiratore dello Spinoza e del Hegel e appassionato nello stesso tempo di scienze naturali, considerava la filosofia allora dominante in Francia, l'eclettismo del Cousin, come una ben povera cosa, ma Cousin era onnipotente nel mondo accademico e T., respinto all'esame d' aggregazione in filosofia, fu inviato a insegnare prima a Nevers (1851), poi a Poitiers (1852). Visto che sarebbe stato relegato in provincia, finché i suoi nemici fossero stati potenti, T. lasciò l'insegnamento, ritornò a Parigi e passò a studiare lettere, nelle quali si laureò con l'Essai sur les fables de La Fontaine (1853). Entrò allora nella cultura militante col Voyage aux eaux des Pyrénées (1855), l'Essai sur Tite-Live (1856), Les philosophes français du XIXe siècle (1857), gli Essais de critique et d'histoire (1858), l'Histoire de la littérature anglaise (1863). Queste opere scossero finalmente il mondo accademico ufficiale e T. divenne professore di estetica e di storia dell'arte alla Scuola di belle arti nell'ottobre 1864. Mentre come frutto del suo nuovo insegnamento pubblicava la Philosophie de l'art (1865), conduceva a termine le sue giovanili meditazioni filosofiche nell'opera De l'intelligence (1870). Appassionato turista letterario, T. visitò l'Italia (Voyage en Italie, 1866) e l'Inghilterra (Notes sur l'Angleterre, 1872) e si trovava in Germania per scrivere anche su di essa un libro, quando lo sorprese la guerra franco-prussiana del 1870-71. Il triste esito della guerra svegliò in T. il cittadino e il patriota. Con l'opuscolo Du suffrage universel et de la manière de voter (1872), cominciò a interessarsi di questioni politiche contingenti e con le Origines de la France contemporaine sottopose a severa disamina il regime statale del suo paese cogliendolo nella sua genesi. Non aveva ancora terminata tale opera grandiosa, allorché lo colse la morte.
T. è una delle più belle figure morali del sec. XIX. Fermo nel culto disinteressato della scienza, a cinquant'anni come a venti, non esitò a rischiare la sua popolarità di scrittore, cercando di sfatare l'epopea della rivoluzione francese. Tale culto, perfettamente sereno dapprima, si andò a mano a mano velando d'una profonda inquietudine morale. "Nous parviendrons à la vérité", diceva, "non au calme". Privo inizialmente d'ogni interesse politico, T., l'11 dicembre 1851 scriveva a Paradol: "Taisonsnous, obéissons, vivons dans la science"; ma quando vide la sua patria calpestata dagli stranieri prese a studiarne la storia con infinito amore per prevenirla dei suoi mali. Pretendeva di essere anche in tale occasione un puro scienziato; ma era uno scienziato che studiava la sua creatura.
Come filosofo, T. tentò un compromesso tra l'idealismo germanico e il positivismo inglese, ma, più che un pensatore originale, fu un brillante volgarizzatore. Del resto egli riteneva che fosse proprio del pensiero francese il correggere le estreme unilateralità del pensiero inglese e tedesco e il diffonderne i risultati vitali.
Nell'estetica cominciò col seguire le teorie del Hegel, ma le andò contaminando di naturalismo. Famose furono le sue teorie dei fattori dell'arte (razza, ambiente e momento storico) e della gerarchia dei valori artistici, di cui l'estetica moderna ha fatto giustizia. Uomo di gusto squisito e ricco di senso storico, il T. ha lasciato tuttavia nell'Histoire de la littérature anglaise un capolavoro della critica romantica. L'Histoire, considerata come storia artistica, si spezza in una serie di magnifici saggi, allacciati ingegnosamente da legami extra-artistici; considerata nella sua unità è la storia morale del popolo inglese. V'è in essa, insomma, quella contaminatio tra storia letteraria e storia etico-politica, che fu propria dei critici romantici, ma in ambedue i campi il T. seppe, come il De Sanctis, lasciare un'impronta personale.
L'Inghilterra fu per il T. più che un oggetto di studio, un mito, un ideale: in lui confluiscono tutti i motivi dell'anglomania francese: dall'ammirazione per la scienza e la filosofia inglesi dei Francesi del Settecento all'ammirazione per la politica e l'aristocrazia inglesi dei Francesi della Restaurazione; dal culto per la costituzione britannica, spontanea creazione della storia, al culto della poesia inglese, spontanea creazione della fantasia. Piena l'immaginazione dell'Inghilterra ideale, T. quando la visitò, vi trovò tutto quello che aveva letto, ma non si accorse della profonda trasformazione economico-sociale-politica, che l'Inghilterra reale andava subendo.
E l'Inghilterra, che aveva trovata la formula dell'organizzazione politica perfetta, fu il modello, alla cui stregua T. condannò la Francia contemporanea, più egualitaria che liberale, più democratica che aristocratica, più razionalistica che storicistica. L'Inghilterra rappresentava per T. la sanità politica, la Francia la malattia.
Su questa antitesi implicita è condotto il processo alla Francia contemporanea nella famosa opera sulle Origines. Come il Burke, il T. trova nelle teorie razionalistiche astratte, nell'esprit classique, la radice degli eccessi della rivoluzione, ma tra lui e Burke, v'era stato Tocqueville, che aveva visto quanto realismo fosse stato in quel razionalismo e aveva mostrato con acume straordinario come il cammino stesso delle cose portasse alla razionalizzazione dello stato. Inoltre il T. fa completa astrazione degli avvenimenti internazionali e militari, sui quali il Thiers e il Quinet avevano giustamente tanto insistito, e ha così buon gioco a rappresentare la rivoluzione come un delirio della ragione ragionante. A questi due errori fondamentali d'impostazione, si aggiunsero gli errori di metodo storico (insufficienza di ricerche archivistiche, mancanza di critica, noncuranza delle statistiche, ecc.). Ma la grandezza di T. storico è altrove. Egli eccelle nella psicologia storica, non in quella degl'individui, nella quale ebbe il torto di voler racchiudere in una formula l'infinita complessità della vita d'un uomo (Danton: un barbaro; Napoleone: un condottiere italiano della Rinascenza), bensì in quella dei tipi storici. Le analisi dei puritani d'Inghilterra nell'Histoire de la littérature anglaise e dei giacobini nelle Origines sono due modelli classici. Se poi il T. poco s'interessava della storia diplomatica, militare, finanziaria, amministrativa, nelle quali storie il Thiers primeggiava, era un vero maestro nell'analisi di alcuni istituti, come lo Stato, la Chiesa, la scuola (v. i volumi sul regime moderno nell'opera sulle Origines). E sebbene non fosse capace di sottometterli a una metodica inchiesta, non gli sfuggì l'importanza dei fenomeni economico-sociali e sui moti agrarî del 1790-91 lanciò uno sguardo assai penetrante.
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