Vedi HIERAPOLIS dell'anno: 1961 - 1995
HIERAPOLIS (v. vol. IV, ρ. 25)
Le rovine della città costituiscono oggi uno dei poli turistici della Turchia anche per l'attrazione costituita dalle straordinarie formazioni calcaree, create dal fluire dell'acqua che sgorga abbondante dalle sorgenti calde. Il nome turco di Pamukkale, «Castello di cotone», fa infatti riferimento al bianco accecante delle concrezioni di calcare che formano vasche e inglobano gli antichi muri in travertino.
La città classica sorge in una zona di confine tra la Frigia e la Caria, in posizione dominante, sulla vasta pianura del fiume Çürüksu (l'antico Lykos), chiusa a S dal massiccio boscoso del Babadağ (l'antico Salbakos) e a SE dalla cima vulcanica del Monte Honaz (l'antico Kadmos). Sulla pianura del Lykos, posta lungo una strada importante che collegava l'Anatolia interna alla valle del Meandro e al Mar Egeo, insistono altre importanti città come Colosse, Laodicea (v.), Trapezopolis e Tripolis.
Dopo il 1887, quando la città fu oggetto di studi da parte degli archeologi tedeschi autori del volume Altertümer von Hierapolis, ricerche sistematiche ebbero inizio solo nel 1957 con la Missione Archeologica Italiana fondata e diretta da P. Verzone e, a partire dal 1984, da D. De Bernardi Ferrero. Le recenti attività di scavo hanno permesso di riconoscere l'impianto urbano che occupa un'area di c.a 1.000 x 800 m, attraversata da un asse principale N-S, la grande platèia, larga 13 m; lungo questo percorso si sviluppava un reticolo stradale ortogonale, di probabile impianto ellenistico, che divide la città in isolati rettangolari di m 29,60 x 70.
A partire dal 1964 venne condotto lo scavo del più importante monumento di H., il teatro, che occupa 4 isolati del centro urbano e si addossa in parte al pendio calcareo, su un asse diverso da quello del reticolo urbano. Il primo impianto si può riferire a età flavia, sulla base di alcune statue e di elementi architettonici reimpiegati, e corrisponde alla fase di intensa attività edilizia dopo il rovinoso terremoto del 60 d.C., regnante Nerone. La galleria di summa cavea dovette essere realizzata sotto Adriano mentre la frontescena fu completamente rifatta in età severiana; la lunga iscrizione dedicatoria fa riferimento al proconsolato in Asia di Quinto Tineio Sacerdote, verso il 206. Il crollo dell'edificio scenico nell'orchestra, certamente per un terremoto, ha permesso la conservazione di tutti i suoi elementi, dal logèion alto poco più di 3 m con una fronte ipostila a nicchie, restaurato dalla Missione Archeologica Italiana, ai tre ordini della frontescena: il primo corinzio, il secondo composito come il terzo ordine in cui i pilastri sostituiscono le colonne. Dall'iscrizione dedicatoria sappiamo che per la decorazione venne impiegato il marmo frigio di Dokimèion. Nelle cinque porte, tipiche degli edifici scenici dell'Asia minore, si dispiega, negli stipiti a girali abitati, negli architravi e nelle lesene, una raffinata decorazione marmorea, realizzata con largo uso del trapano secondo i moduli dell'età severiana.
Di particolare importanza è il programma iconografico svolto nei rilievi del podio, nei fregi e nelle statue della frontescena, in cui sono trattati i temi principali dell'identità culturale di questa città, nei suoi rapporti con la sede imperiale. La notevole complessità tematica nella decorazione del teatro ierapolitano ha fatto pensare che il sofista Antipatro, potente cittadino di H. presso la corte imperiale, come istitutore dei principi Geta e Caracalla e segretario per le lettere greche, abbia potuto ispirarne la formulazione. In effetti i temi dionisiaci, che in genere prevalgono nella decorazione dei teatri, sono a H. in posizione secondaria rispetto al fregio centrale della porta regia in cui è rappresentata l'esaltazione degli agoni cittadini alla presenza di Settimio Severo, della famiglia imperiale e di numerose personificazioni; nei rilievi con ratto di Proserpina e nella statua di Hades è un chiaro riferimento al Charonèion, la grotta considerata uno degli ingressi degli inferi, identificata nel corso degli scavi accanto al vicino Tempio di Apollo. Sul podio dell'edificio scenico, lungo 48 lastre marmoree appaiono i due cicli simmetrici di Apollo e di Artemide, in cui le divinità sono raffigurate nella tradizione iconografica classica delle scene di nascita, infanzia, e altri episodi diversi e nella tradizione anatolica dell'Artemide efesia e di Apollo Delphìnios, le cui immagini sono collocate nelle zone laterali del rilievo.
A partire dal 1979 ricerche sistematiche hanno interessato anche la zona settentrionale della città, all'inizio della grande platèia. La porta a tre fornici fiancheggiata da torri circolari, già attribuita a Caracalla, è invece da riferirsi all'età flavia sulla base della grande iscrizione dedicatoria con la menzione di Domiziano nell'anno del suo XII consolato (86 d.C.) e del proconsole d'Asia Sesto Giulio Frontino. All'autore del trattato sugli acquedotti di Roma l'iscrizione bilingue (in latino e in greco) attribuisce, sulla base di un frammento rinvenuto di recente, la costruzione della porta, delle torri e anche della strada.
Nel tratto iniziale di 170 m sino al punto in cui verrà in seguito costruita la Porta bizantina, la sede stradale appare lastricata con grandi blocchi di travertino, sotto i quali corre una grande cloaca. Lungo i lati si aprono botteghe e depositi per le merci collegati da una facciata in travertino, di ordine dorico, con pilastri a semicolonne addossate, come in altre simili disposizioni attestate dalle vicine città di Blaundos (v.) e di Tripolis.
Al progetto ambizioso di sistemazione monumentale di quest'area periferica della città, iniziata in età flavia con la costruzione del complesso di Frontino, si riferisce, nel corso del II sec. d.C., l'impianto dell'agorà commerciale, una grande piazza, di c.a 3 ha, circondata da portici di marmo. Lungo il lato E fu costruita una monumentale stoà-basilica, lunga 230 m, in parte addossata al pendio roccioso con una maestosa scalinata in marmo che collegava il dislivello di 4 m tra il piano della stoà a quello della piazza. La facciata a due piani aveva un porticato con pilastri quadrati a semicolonne scanalate con capitelli ionici che, sulle fronti laterali corrispondenti alle lesene, recano maschere barbate. Al centro della stoà era collocato un ingresso monumentale a due corpi avanzati con una straordinaria decorazione a capitelli e mensoloni figurati con leoni che azzannano tori e sfingi dalla intensa espressività che richiama modelli pergameni. Con la costruzione delle mura di fortificazione bizantine, alla fine del IV sec. d.C., tutta l'area dell'agorà venne esclusa dal perimetro urbano e abbandonata alle distruzioni come cava per i blocchi di travertino da reimpiegare nelle mura, e come area di fornaci per tegole e per calce, in cui venne distrutta gran parte dei marmi delle stoài.
Alla fine del VI sec. si deve attribuire un rovinoso terremoto che provocò il crollo di gran parte degli edifici ierapolitani, comprese le mura bizantine. Negli ultimi anni si sono indagate sistematicamente le fasi medievali le quali attestano profonde trasformazioni dell'abitato in nuclei agricoli che fanno riferimento al castello, costruito con materiali di spoglio su uno sperone del pianoro lungo il lato occidentale.
Nel 1989 è iniziata l'esplorazione di un isolato a Ν del teatro con l'obiettivo di iniziare un programma di studio dell'edilizia privata di Hierapolis. È in corso di scavo un complesso abitativo organizzato intorno a un peristilio a due ordini con colonne in marmo brecciato e capitelli ionici di marmo bianco, databile al II secolo d.C. Nel V sec. la casa venne profondamente ristrutturata e decorata da mosaici e pavimenti in opus sedile.
Un vasto programma di studio e restauro ha interessato anche le necropoli che si infittiscono particolarmente nella zona Ν lungo la strada per Tripolis e Sardi (v.). Si è definita la tipologia dei monumenti sepolcrali che presentano una grande varietà: dal tumulo, riferibile probabilmente agli esemplari più antichi, al basamento che sostiene uno o più sarcofagi, all'esedra coperta da volta. Il censimento dei sarcofagi in travertino ha permesso di registrarne più di 1.800, con un'alta percentuale di esemplari muniti di iscrizioni.
Un ambizioso progetto di valorizzazione turistica e di protezione ambientale del sito di Pamukkale, promosso dal Governo turco, ha portato in questi ultimi anni a una radicale riorganizzazione del territorio, con la costruzione di due ingressi all'area archeologica. Alle cascate di travertino si accede ora dalla zona Ν e da quella a S della città antica. In particolare l'intervento nella zona meridionale di H. ha permesso lo scavo completo e il restauro della Porta bizantina in cui erano riutilizzati numerosi frammenti architettonici ed epigrafici, con la scoperta, nelle vicinanze, di alcuni tumuli e di sacelli funerari in travertino con lunghe iscrizioni; si è iniziato lo scavo della piatela S con le facciate doriche e con la porta a tre fornici, fiancheggiata da torri quadrate, e non circolari come nella Porta di Frontino, simmetrica e contemporanea alla sistemazione flavia della zona N.
Estesi lavori di scavo e restauro integrativo sono attualmente in corso anche nelle Grandi Terme dove appaiono, sotto gli estesi impianti medioevali che si inseriscono negli ambienti romani, i pavimenti originari sepolti da uno strato di travertino spesso a volte più di 2 m, depositato dalle acque calcaree dopo l'abbandono degli edifici in età tarda.
Negli ambienti coperti da volte a botte è sistemato il Museo Archeologico che comprende materiali e sculture rinvenute dalla Missione Archeologica Italiana nel Teatro, nel Tempio di Apollo e nella necropoli, oltre che alcune statue della vicina Laodicea e stele funerarie provenienti dal territorio. In una sala sono esposti anche i materiali dell'Età del Bronzo provenienti dal vicino hüyük di Beycesultan.
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