Vedi HERMOGENES. - 2 dell'anno: 1961 - 1995
HERMOGENES (῾Ερμογένης, Hermogenes)
2°. - Architetto, nato forse a Priene, vissuto tra la seconda metà del sec. III e la prima del II a. C., da considerarsi come il rappresentante più famoso dell'ultimo periodo dell'architettura ionica. Fu un innovatore e nello stesso tempo un teorico fornito di grande originalità. Costruì, oltre ai due piccoli templi di Zeus Sosìpolis a Magnesia sul Meandro e di Dioniso a Teos, anche il grande tempio di Artemide Leukophriene, pure a Magnesia; e, in occasione di questa sua ultima opera, raccolse le norme che regolavano il suo sistema costruttivo e i suoi canoni d'arte in uno scritto andato perduto.
Lo stile ionico, che aveva sollecitato nel sec. V e nel IV due diverse correnti di sviluppo, la ionica e l'attica, per opera prevalentemente di H., tende a una certa fusione e a subire importanti modifiche; molti elementi decorativi e architettonici, adottati per l'Eretteo e per il tempio di Atena Nike sull'acropoli di Atene, vengono prescelti per le nuove costruzioni dell'Asia Minore. Soprattutto originali sono le piante che H. disegnò per i suoi edifici.
Il tempio di Dioniso ha sei colonne per undici e presenta per la prima volta il nuovo canone relativo alla spaziatura delle colonne, consistente nel distanziare una colonna dall'altra di due diametri e mezzo (tempio eustilo); il tempio aptero dedicato a Zeus Sosìpolis ha una pianta volutamente originale con fronte prostila, a quattro colonne, e il lato opposto a forma di tempio in antis; quello di Artemide Leukophriene infine (8 × 15 colonne) si presenta sotto un nuovo aspetto pseudoperiptero, ed ha l'ampio portico risultante sui lati, con le colonne laterali più ravvicinate (diametro 1¾). Vitruvio, dopo aver notato in quest'ultima costruzione la distanza delle colonne dal muro della cella e lodato il nuovo porticato che veniva a dare un maestoso aspetto all'edificio, accenna alla ratio intercolumniorum (iii, 3, 8) propugnata da H., e ci dice che appunto in seguito alla maggior larghezza dei μεσοστύλιοι e dei portici, si fu costretti ad adoperare tutti epistilî in legno.
Il nuovo indirizzo architettonico voluto da H. si affermò anche a Roma: ricorderemo il tempio detto della Fortuna Virile, una delle poche opere quasi intatte che ci rimangono dell'epoca in cui l'arte greca venne a innestarsi sul tronco italico (G. Lugli, Roma antica, Il centro monumentale, Roma 1946, p. 554 s.), nel quale si debbono riconoscere i caratteri stilistici delle costruzioni ermogenee. Vitruvio si servì certo degli scritti dell'architetto di Caria, e nel suo De architectura si mostra ancora un seguace convinto della sua teoria.
Bibl.: H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 258 ss.; E. Fabricius, in Pauly-Wissowa, VIII, 1913, c. 879, n. 29; M. Schede, in Thieme-Becker, XVI, 1923, p. 512 ss.; A. Birnbaum, in Denkschriften der Wiener Akademie, Philol.-hist. Klasse, LVII, 1914, p. 4; O. Puchstein, Berliner Winckelmannsprogramm, XLVII, 1887, p. 40; R. Delbrück, Die drei Tempel am Forum Holitorium in Rom, Roma 1903, p. 51; C. Humann, J. Kohte, C. Watzinger, Magnesia am Mäander, Berlino 1904, pp. 39 ss.; 163 ss.; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950, p. 272 ss. Sul tempio di Teos; R. P. Pullan-W. W. Lloyd, in Antiquities of Jonia, IV, 1881, p. 35 ss., tavv. 22-25; F. Hiller von Gärtringen, Inschriften von Priene, pp. XVI e 212, nn. 516 e 207: spetta ad un Hermogenes Harpalou.